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Domenica, 07 Febbraio 2016 21:56

Sermone di domenica 7 febbraio 2016 (I Corinzi 13,1-13)

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Testo della predicazione: I Corinzi 13,1-13

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.
Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, l’apostolo Paolo scrive alla chiesa di Corinto segnata da divisioni interne che laceravano il tessuto comunitario; lì c’era chi credeva di dover vivere una vita perfetta fuori dal mondo astenendosi da ogni forma di contaminazione mondana, chi, invece, riteneva di possedere una libertà illimitata tanto da sentirsi autorizzato a vivere in modo licenzioso.

Insomma, gli atteggiamenti degli uni scandalizzavano gli altri e viceversa. Vi erano persone carismatiche che andavano in estasi profetando e parlando lingue incomprensibili; altri ritenevano di ricevere rivelazioni divine attraverso visioni e sogni; non mancava chi aveva il dono dell’eloquenza, di chi sapeva predicare bene, non mancavano i credenti eroici che ave­vano compiuto gesti spettacolari come la donazione dei propri beni ai poveri o chi aveva compiuto dei gesti miracolosi.

L’apostolo si rivolge a una comunità di fratelli e sorelle, ciascuno dei quali credeva che la diversità dell’altro e dell’altra li collocasse un gradino sotto, e che faceva vivere tutti all’interno di una forma esasperata di individualismo.

A chi affermava l’importanza di doversi estraniare completamente dal mondo, l’apostolo lo invitava a stare con i piedi per terra e a vivere pienamente la sua vita di credente nel mondo; a chi era affetto da furore libertario ricordava che, anche se tutto è lecito, non tutto edifica, non tutto è utile.

L’apostolo riconosce che in quella comunità, ricca di doni, manchi qualcosa di essenziale, manchi il senso di comunione fraterna, manchi il senso della reciproca appartenenza, manchino le relazioni solidali, la collaborazione, lo scambio aperto e l’aiuto fraterno. L’apostolo riconosce che tutto ciò è generato dall’amore, dall’Agape.

È per questo che l’apostolo sottolinea più volte che la chiesa è caratterizzata dal fatto che tutti i singoli formano un corpo unico.

La piccola società di credenti è come il corpo umano, è un unico corpo, benché, all’interno, ogni organo abbia il suo compito. Lo Spirito anima la Chiesa che non può ridursi a una società nella quale solo alcuni più carismatici fanno il brutto e il cattivo tempo.

Lo Spirito rende un solo corpo ciò che all’interno di questo corpo è multiformità e pluralità, necessaria per la vita del corpo, ma che non divide, non genera contrapposizioni, lacerazioni.

La diversità tra i credenti, per l’apostolo, è un dono dello Spirito, e non genera quindi egoismo, disgregazione o disunione, ma arricchimento ed edificazione di tutti e della chiesa stessa.

Certo, l’apostolo Paolo diventa molto duro nei confronti dei membri della chiesa di Corinto, dal momento che relativizza tutto quello che per loro era importante: relativizza i doni dello Spirito, le opere miracolose, la capacità di predicare con un linguaggio forbito e accattivante a tutto vantaggio dell’amore.

Paolo non fa un discorso filosofico sull’amore, non dice quello che è l’amore, ma ciò che l’amore produce, ma parte dalla concretezza della vita dei corinti: a che cosa è paragonabile chi parla lingue strane, se non ha amore? A un tam­buro assordante! E chi è il sapiente più profondo? Il guaritore più spettacolare? Non sono nulla! Il martire più eroico, il benefattore più generoso? Sono vuoti, girano a vuoto! L’apostolo vuole affermare che è solo l’amore a generare credenti autentici, senza l’amore non si è nulla e nessuno.

L’amore è una forza che mette in moto i credenti gli uni verso gli altri: chi è animato dall’amore si mostra di grande cuore di fronte a un torto ricevuto o di fronte a una ingiustizia subìta. L’amore persegue il bene dell’altro/a, non è invidioso, ma felice per gli altri; non si esaspera, dimentica il male ricevuto; è paziente: sa cioè aspettare l’altro/a; sa costruire la strada insieme; non va da solo per andare più veloce, ma va insieme agli altri per andare più lontano; l’amore crede ogni cosa: sa dare una nuova chance all’altro/a.

Per l’apostolo, è questa la comunità di credenti, la chiesa, non chi agisce indipendente, in modo individualistico, non è facendo la somma di tante individualità che viene fuori la chiesa, ma l’amore di Dio genera nella chiesa interdipendenza, cioè la consapevolezza che abbiamo bisogno gli uni degli altri e che ciascuno si sente incompleto senza l’altro, senza la diversità dell’altro; l’amore permette quindi la reciprocità, l’interazione, l’apertura serena senza pregiudizi.

L’amore non si ferma davanti alle difficoltà, alle prove, alle montagne che si presentano lungo il cammino. Perciò l’apostolo afferma che l’Amore non verrà mai meno, come dire che l’amore non si arrende mai, non si ferma davanti alle difficoltà, è caparbio, va fino in fondo, resiste alla sofferenza, l’amore ha la pelle dura, è la realtà del Regno di Dio nel nostro presente e nella nostra storia, è il futuro ultimo che ci è anticipato nel nostro oggi.

L’amore è una forza che libera: esprime perdono, salvezza, riconciliazione, apertura, accoglienza, solidarietà; non è un semplice sentimento di simpatia. È questo amore che permette di vivere oggi la prodigiosa forza del nuovo mondo di Dio, non come nostra prerogativa, perché è Dio che rende compiuto in noi il suo amore. L’amore è il nostro traguardo anticipato nell’oggi.

Certo, l’amore è sempre qualcosa che ci mette in discussione: la nostra testimonianza, la nostra generosità, la nostra fede, le nostre relazioni con gli altri. Ci dice che tutto ciò che facciamo potrebbe essere vuoto senza amore, senza Dio nella nostra storia, in quella di ciascuno di noi.

L’amore è uno soltanto, quello di Dio per noi che rende possibile il nostro amore; quello non delle nostre capacità limitate e contraddittorie, ma quello che non s’arrende mai.

L’amore è un cammino che costruisce la comunità dei credenti e il mondo intero, l’umanità; produce il senso del dono reciproco e della gratuità: è questa la novità di Dio per noi ogni giorno: la possibilità di costruire un mondo senza barriere etniche, culturali, religiose. Si tratta del progetto di Dio per noi, per la chiesa e per il mondo. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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