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Lunedì, 27 Giugno 2016 12:22

Sermone di domenica 26 giugno 2016 (I Corinzi 1,18-25)

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Testo della predicazione: I Corinzi 1,18-25

La predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi
e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; 24 ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il brano biblico che l’apostolo Paolo scrive e che abbiamo ascoltato è un discorso di rottura, un forte testo di contestazione. A noi possono suonare ovvie le parole di Paolo: «Noi predichiamo Cristo crocifisso». Ma l’apostolo vuole richiamare i credenti di Corinto a non predicare più su altre fantasie e personaggi illustri perché solo Cristo è stato crocifisso per noi e non un altro.

L’apostolo parla della fatto che la fede nel Cristo crocifisso è centrale e i credenti di Corinto avevano perso questa centralità. L’apostolo è molto pungente nel cercare di frantumare una immagine di Dio distorta; egli vuole Paolo ricollocare la croce al suo posto, da dove è stata tolta via.

Perché tutto questo? Cos’era successo in quella chiesa?

Nella chiesa di Corinto vi erano divisioni, alcuni si schieravano con la teologia di un predicatore di nome Apollo, altri con quella di Cefa, l’apostolo Pietro, altri ancora con Paolo stesso. L’apostolo ricorda invece che la fede non si fonda né sulla teologia di uno, né sulla filosofia di un altro, né sulla scienza, né su qualche persona, spirituale per quanto possa essere.

Una parte dei credenti di Corinto fondava la propria fede nei miracoli: Dio c’è solo dove interviene con opere potenti, e non c’è dove non ci sono miracoli. «Dio ha fatto questa guarigione, vedete? Vuol dire che è dalla nostra parte».

Altri credenti si stupivano davanti a tale ingenuità e fondavano il loro cristianesimo su tesi filosofiche che spostavano la fede nell’ambito della ragione.

Paolo mette scompiglio sulle tesi dei due gruppi perché nessuno di loro sentiva il bisogno di credere e annunciare che Cristo era morto sulla croce.

Per l’apostolo Paolo, l’annuncio dell’Evangelo parte da un fondamento certo: Cristo che è stato crocifisso. Annunciare altro significava annunciare un cristo diverso, non quello che Dio aveva mandato e nel quale, Dio si era donato all’umanità.

Altra cosa è credere solo sul Cristo glorioso, sul Cristo terapeuta e guaritore, sul Cristo che pronuncia discorsi altamente filosofici. Perciò Paolo afferma: «Quando venni da voi, non venni ad annunciarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso… affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza, ma sulla potenza di Dio» (2,1.5).

Ma per i greci era una follia credere nell’annuncio di un uomo morto e, per di più, di morte violenta; era una pazzia fondare la fede su un segno infamante e umiliante come la croce; meglio era fondare la predicazione e la fede sull’immagine di un Dio glorioso, che è presente ovunque, che guarisce tutti, fondatore della sapienza e della scienza e di tutto ciò che è comprensibile e intelligibile, perché lui stesso è sapienza. A questa teoria, tutti i greci potevano credere e convertirsi al cristianesimo, ma non erano disposti a credere in un Dio morto e, per di più, crocifisso.

Per l’apostolo è la croce di Cristo la sapienza di Dio, Paolo spiega che la predicazione non è un annuncio filosofico, non è l’annuncio miracolistico delle opere di Dio, ma è semplicemente l’annuncio della nuda croce dove Dio ha dato se stesso per tutti.

La croce è il luogo dove Dio si presenta a noi tutti, al mondo, all’umanità.

Eppure, la croce è una parola che evoca violenza e brutalità. Cicerone diceva di non nominarla mai perché “porta male”.

Eppure è là, sulla croce, che accade la rivelazione di Dio; sulla croce Dio viene fino a noi e si rivela come il Dio d’amore che ci ama senza chiedere nulla in cambio.

Dio non ha bisogno di essere legittimato da noi, non deve fare miracoli e infondere sapienza per permettere di credere in lui: la fede non si fonda su queste cose, la fede è dono di Dio e basta. Noi non crediamo perché abbiamo visto, ma crediamo perché lo Spirito Santo ha agito, silenziosamente.

La fede è possibile perché Dio si è dato per noi sulla croce, in Gesù Cristo. Ecco perché riceviamo la grazia e la salvezza gratuitamente: perché nessuno di noi può pagare il prezzo della croce, dunque la libertà di Dio di donarsi a noi.

Per i greci, predicare Cristo crocifisso significava sminuire il suo messaggio e la sua opera, ma questa è la nostra logica umana, non quella di Dio che, invece ci appare come pura follia.

La nostra logica non è quella dell’amore, ma semmai quella della giustizia violenta nel senso che per noi ha senso che Dio realizzi il suo Regno soppiantando con la sua potenza tutti i regni del mondo, distruggendo i malvagi e annientando i nemici.

Quante volte ci capita di gridare a Dio i nostri “perché?”, «perché, Dio, hai permesso questo?»; è come dire: «Se tu sei il Cristo scendi giù dalla croce!»

Ecco, i corinzi annunciavano un Cristo che era sceso giù dalla croce. La potenza di Dio risiede nel suo amore, esso non si impone, ma si propone. Contrariamente alla filosofia greca, l’apostolo predica un Dio che non mostra i muscoli della sua onnipotenza e della sua gloria distruggendo i suoi nemici, ma predica un Dio che ci viene incontro con la sola forza dell’amore che ci rende liberi.

Anche oggi, per molti cristiani, Dio c’è se esaudisce la loro richiesta di guarigione o di intervento, per loro Dio esiste perché fa miracoli, al contrario, altri non credono in Dio perché, per loro, non ha mai compiuto miracoli.

Ma Dio non si lascia legare, non si lascia catturare dalle nostre egoistiche logiche umane, dai nostri bisogni di divino e di ultraterreno.

Dio è per noi davvero, vicino a noi, ma ci attende alla croce, nel luogo della rinuncia al proprio dio su misura, nel luogo dove l’amore si compie nella sua più profonda espressività. Là, anche noi, saremo capaci di donarci a Dio e al prossimo, questo è l’effetto della croce, questo accade là dove c’è Dio: accade che ci si riconcilia con il prossimo, accade che si entra nell’orizzonte della solidarietà, della condivisione con gli altri, della comunione; ci si stringe insieme e si fa quadrato per un obiettivo comune, contro le forze del male, contro la violenza, la guerra, l’indigenza, ma anche l’illegalità, la corruzione che esercitano in modo subdolo, violenza, sopruso e prepotenza nei confronti dei più deboli.

Confidiamo, invece, nell’amore, quell’amore che si concretizza nel mondo, proprio a partire da un gesto infinitamente umile: dalla croce di Cristo che insegna noi a donarci. Questa è la nostra speranza e quella di tutto il mondo. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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