Culto domenicale:
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Domenica, 24 Giugno 2018 21:32

Sermone di domenica 24 giugno 2018 (I Pietro 3,8-15)

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Testo della predicazione: 1 Pietro 3,8-15

«Siate tutti concordi, comprensivi, pieni di amore fraterno, compassionevoli e umili; non rendete male per male, od offesa per offesa, ma, al contrario, benedite; perché a questo siete stati chiamati per ereditare la benedizione. Infatti: “Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da un parlare ingannevole; si allontani dal male e faccia il bene, cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi ascoltano le loro preghiere; ma la faccia del Signore è contro chi fa il male”. Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene? Se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non abbiate paura di coloro che incutono terrore e non vi preoccupate; ma santificate Cristo il Signore nei vostri cuori. Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono chiarimenti».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, una dura persecuzione attendeva i cristiani a cui si rivolge questa lettera di Pietro, e già, in parte, aveva avuto inizio, attraverso la ferocia e l’odio contro i cristiani da parte dell’imperatore Domiziano e del mondo pagano.

L’autore non nasconde le difficoltà del momento, e manifesta un pensiero per lui importante, e cioè che, facendo il bene, si induce l’avversario a convincersi che è falsa l’idea secondo la quale i cristiani sono da eliminare perché pericolosi dal momento che non s’inchinano davanti all’imperatore, ma solo davanti a Dio. Inoltre l’autore biblico è convinto che con la violenza non si va mai lontano, ma, prima o poi si ritorcerà contro di te, sebbene egli sappia bene che potrebbe sempre accadere il peggio, perciò aggiunge: «E se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi!».

L’autore della lettera di Pietro mette in guardia i credenti dalla tentazione di rispondere a tono, di ricambiare il male con il male, l’ingiuria con l’ingiuria, l’oltraggio con l’oltraggio. Mette in guardia dal dire: «Non meriti la mia attenzione, la mia compassione, il mio amore».

La Bibbia conosce bene la spirale del male, sa bene che entrando in questo circolo non se ne potrà più facilmente uscire, non si otterrà che ostilità e discordia,  guerra e distruzione; la Bibbia invita a guardare oltre la fragilità, oltre la debolezza umana, oltre il male, la malvagità, la meschinità, oltre il nostro piccolo orizzonte; la Bibbia invita a guardare alla speranza che abbiamo ricevuto come credenti e che vede già realizzarsi l’obiettivo che ci è posto davanti e che dobbiamo perseguire: la pace, la concordia, la riconciliazione.

L’aveva detto chiaramente Gesù: «Siate misericordiosi, non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati… Benedite coloro che vi maltrattano e che vi maledicono».

Tutto ciò non è fine a se stesso, ma serve a raggiungere i nostri obiettivi. Gesù sa bene che per farlo occorre essere insieme, perché non raggiungeremo mai alcun obiettivo in ordine sparso, da soli, ognuno per sé e magari “Dio per tutti”.

Gesù ci insegna che la fede è una realtà comune, non intima, singola, come molti credono: «Il mio Dio me lo prego a casa mia», la fede è condivisione delle proprie convinzioni teologiche, la fede è condivisione delle proprie vite, delle proprie storie, è portare «i pesi gli uni degli altri», è condividere l’amore di Dio di cui tutti siamo testimoni, è andare insieme nella stessa direzione della pace e della concordia, con le nostre diversità che ci rendono unici, ognuno con il proprio colore, come una corda che è forte perché costituita da tanti fili diversi, uniti insieme.

Per questo motivo il nostro brano ci insegna a essere credenti unanimi e concordi, pieni di amore fraterno.

In realtà, il richiamo all’essere concordi è un filo rosso che attraversa tutta la Bibbia: nel libro degli Atti è detto “d’un solo cuore e di un’anima sola”, nel Vangelo di Giovanni, Gesù chiama i suoi discepoli “amici”, per richiamarli al senso del segno del Patto fra Dio e il suo popolo, il segno che è dato fin dalle prime pagine della Bibbia in cui è detto che l’essere umano non nasce solo, ma è destinato a vivere insieme al suo partner; l’essere umano nasce all’interno di una comunità umana, creata per vivere nella fraternità, una fraternità che verrà sì infranta da Caino, ma su cui Dio porrà il segno della sua benedizione perché sia superata e vinta la catena della violenza, della distruzione e dell’odio. La concordia, di cui parla la Bibbia è l’esperienza della fraternità umana, che permette l’incontro e porta avanti il valore dell’unità, dell’intesa, dell’amicizia, della pace perché il mondo possa cambiare.

La concordia permette la comprensione, permette di affrontare i conflitti senza la violenza, la capacità di amare la vita senza distruggerla, getta ponti di riconciliazione, di condivisione anche nei confronti di chi ci è ostile.

La Prima lettera di Pietro non nega che possono nascere incomprensioni, sentimenti discordanti, diverse spiritualità, diversi modi di concepire la vita e il mondo, ma ci spiega che sempre deve poter essere possibile l’incontro e il ritrovarsi per andare nella direzione di un obiettivo comune, insieme. Infatti, le differenze sono già presenti nella creazione là dove Dio crea l’essere umano maschio e femmina, cioè diversi, affinché, nella diversità, fosse possibile l’incontro, la fraternità, la comunità.

Un proverbio del Madagascar dice: «Vai da solo se vuoi andare veloce. Vai insieme agli altri se vuoi andare lontano».

Per l’autore della lettera di Pietro era di vitale importanza la compattezza della comunità che così poteva resistere meglio, stringendosi insieme e facendo quadrato, contro i tempi difficili della persecuzione.

Ci è spiegato che l’incontro e la fraternità, nel superamento dei nostri egoismi e dei nostri individualismi, è l’esercizio dell’amore che abbiamo ricevuto da Dio.

A noi oggi è data una Parola che possiamo portare con noi in questa settimana che comincia e cioè una Parola che riempie di senso il nostro essere concordi e compassionevoli, cioè la speranza: «Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono chiarimenti», al lavoro, nel vicinato, nella chiesa, ovunque. Siate pronti a spiegare perché c’è tanta speranza in voi, in un mondo che sa guardare solo al presente, all’oggi, senza un domani, senza un futuro, senza un obiettivo da perseguire.

Siate sempre pronti. Perché, come la fede, la speranza va condivisa, va vissuta nell’ambito della comunità umana, in mezzo a tutti, non in segreto o nel cucuzzolo della montagna. 

La speranza che condividiamo è la capacità di guardare oltre la crisi economica che devasta il mondo, oltre i terremoti politici, oltre la violenza e l’incapacità di risolvere i conflitti con la mediazione e l’umiltà, ma solo con la guerra.

“Guardare oltre” non significa far finta che non ci siano problemi, ma significa vivere e agire per superare le realtà di difficoltà: con l’accoglienza e non col respingimento; con la concordia e l’unione, non con l’indifferenza, la peggiore di tutti i mali; con lo spirito della condivisione e della solidarietà, non con l’egoismo, quello di chi guarda solo se stesso e i propri confini escludendo il prossimo, perché è così che sono tenuti in aree circoscritte da reti metalliche 2.000 bambini figli di genitori imprigionati e sottratti a loro per aver avuto il torto di migrare per dare ai loro figli un futuro migliore. È questo che succede oggi, non secoli fa, negli Stati Uniti, e da noi qualcosa di simile con le navi che trasportano profughi salvati dal mare e che nessuno vuole accogliere.

La nostra speranza guarda a un mondo di fraternità possibile, di solidarietà e condivisione con i poveri e gli ultimi, di integrazione con i migranti, guarda al riscatto di chi è vittima di ogni forma di schiavitù che sia la povertà o la guerra.

La nostra speranza è che un giorno la condivisione del nostro pianete con tutte le sue risorse sia una condivisione reale e non solo di pochi. È l’adesione al progetto di Gesù che proclamò il lieto annuncio della grazia di Dio e della riconciliazione per tutti e tutte. Questi aspetti dell’Evangelo non sono certo da vivere come dogmi da conoscere, ma come concretezza di vita. Questa è la nostra speranza, da tutto ciò vogliamo restare fermi e non cedere nelle nostre convinzioni. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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