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Domenica, 01 Giugno 2014 22:36

Sermone di domenica 1 giugno 2014 (Romani 8,26-30)

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Testo della predicazione: Romani 8,26-30

«Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati».

Sermone

L’apostolo Paolo, al capitolo 8 della lettera ai Romani contrappone la legge antica alla grazia di Dio; una legge che genera peccato e, quindi, morte a una legge che genera vita, quella dello Spirito. Infatti è chiamato “Spirito della vita” (8,2).

La morte di Gesù sulla croce, interrompe l’azione del peccato e della morte, e apre le porte alla libertà dello Spirito che agisce per rinnovare ogni essere umano che accoglie la grazia e l’amore di Dio.

Dunque, per l’apostolo Paolo, dalla morte di Gesù sulla croce si apre un’epoca nuova nella quale l’azione dello Spirito permette una vita che rende il nostro essere credenti non più vissuto all’insegna della paura del peccato e della morte, ma gioioso perché vive della speranza che la nostra redenzione è già presente nell’oggi e avrà il suo pieno compimento in un futuro non lontano, che sta davanti a noi. Le “primizie dello Spirito” (v. 23) ci danno serenità e pace, affinché, malgrado i nostri limiti umani, le nostre paure, le nostre incredulità, possiamo vivere in un orizzonte nel quale lo Spirito ci permette di rasserenarci.

Ecco, l’apostolo, nel brano alla nostra attenzione, affronta il tema della nostra umanità, cioè della nostra caducità, della nostra debolezza. Chi accoglie la grazia di Dio e il suo perdono, prima di tutto, non può che ritenersi peccatore, peccatrice. La grazia è offerta a chi ha subìto una condanna, e il perdono è offerto a chi ha commesso un errore. Dunque, la fede in Dio, innanzitutto, richiede l’umiltà di riconoscere la nostra debolezza umana dalla quale non possiamo riscattarci da soli.

Dalla nostra umanità non ne usciremo mai, perché la nostra condizione rimane, quella di persone umane, non diventiamo, con la fede, degli angioletti che volano a un metro dalla terrà o più. E non ci è chiesto di diventarlo, ma di essere umani fino in fondo, di stare con i piedi per terra, ma di diventarne consapevoli e accettare la nostra fragilità come confessione del nostro peccato, ma allo stesso tempo, di accogliere quel perdono, quell’amore e quella grazia che ci permettono di vedere al di là di noi stessi e dei nostri limiti; di intravvedere, come attraverso uno squarcio, una nuova possibilità che ci è data.

Qual è questa nuova possibilità?

L’apostolo risponde affermando che «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» (v. 26). Ecco, non siamo lasciati soli a noi stessi, a soccombere a motivo delle nostre incapacità nel riscattarci, non siamo lasciati soli nelle nostre fragilità, nelle nostre disabilità fisiche, nelle nostre paure, nelle nostre malattie, nel nostro dolore, con le nostre ferite, ma ci è data la possibilità di una guarigione, di un riscatto, di rialzarci dopo una terribile caduta  a motivo della quale pensavamo di non riprenderci più.

L’apostolo afferma che la nostra incapacità è tale che neppure sappiamo pregare per le nostre debolezze: quante volte non siamo capaci di trovare le parole giuste per esprimere ciò che stiamo provando; ci sono condizioni per le quali non sappiamo neppure cosa chiedere a Dio, viviamo disorientati, come senza una bussola, non sappiamo ciò che è buono per noi e per gli altri e la nostra confusione ci permette solo di renderci conto della nostra fragilità.

Ma l’apostolo non si perde d’animo, sa che lo Spirito Santo prega per noi con sospiri ineffabili, che non si possono spiegare a parole, egli sa di non essere solo; avverte di essere, a volte, come una persona paralitica su una sedia a rotelle, incapace da sola di farsi strada e di prendere la direzione giusta, allora chiude gli occhi e si lascia condurre da chi lo accompagna e spinge con forza la sua sedia. Ha fiducia in chi lo guida e non oppone resistenza.

Ma, altre volte, l’apostolo si sente come una persona le cui ginocchia non hanno più forze, sono esauste, vacillano, non ce la fanno più ad affrontare il cammino che si ha davanti; una persona che si sente costretta a fermarsi e forse a non riprendere più il suo cammino. Ecco, per l’apostolo, lo Spirito è quella forza improvvisa per la quale ci si rimette in piedi e le ginocchia vacillanti riprendono forza, non tremano più, ci permettono di rialzarci e di riprendere la strada.

La nostra debolezza è anche la nostra chiusura nei confronti del prossimo, una chiusura che ci rende prigionieri e schiavi di noi stessi. Abbiamo bisogno dello Spirito che ci venga a liberare che venga in «aiuto alla nostra debolezza»; ecco, abbiamo bisogno dello Spirito per capire di aver bisogno di aiuto, perché spesso non ce lo permettono i drammi in cui siamo immersi, le nostre ferite e le nostre chiusure. In questo senso, non sappiamo neppure come pregare! Ma è con l’aiuto dello Spirito che cominciamo a comprendere il senso della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio, il senso che l’altro fratello, sorella, ha per me, per la mia vita, per la mia storia. Il senso che posso dare, tramite la mia presenza e la mia partecipazione, agli aspetti sociali, culturali e politici della  realtà che mi sta attorno.

Lo Spirito ci permette di comprendere che solo la solidarietà e la condivisione, attraverso rapporti umani, confronti, dialoghi, aperture, può costruire un futuro migliore, e non certo il nostro rinchiuderci dentro le nostre mura o i nostri confini.

L’apostolo Paolo sa che Dio ha un disegno che non sempre ci è chiaro perché ci sfugge; un disegno che Dio persegue per il nostro bene a dispetto della nostra volontà. Ecco perché può dire che tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Dio, dicoloro che hanno fiducia in lui e si lasciano guidare, condurre.

Dio disegna una vivace storia umana affinché essa viva concretamente il suo progetto di fraternità. Il Signore persegue il suo disegno. Certo, noi restiamo sempre immersi nella nostra debolezza umana, ma l’apostolo oggi ci chiede la fede nel Dio che, con il suo Spirito, ci libera, continua a farlo, e viene in nostro aiuto per permetterci di vedere al di là del nostro dolore, delle nostre paure, della nostra debolezza. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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