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Domenica, 26 Aprile 2015 12:44

Sermone di domenica 26 aprile 2015 (Giovanni 15, 1-8)

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Testo della predicazione: Giovanni 15, 1-8

Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, Gesù si propone come vite, ma bisogna dire che questa immagine della vite non è estranea alla Bibbia, spesso, nell'Antico Testamento, è il simbolo della fecondità, della fertilità, del frutto abbondante e rappresenta il popolo d'Israele, fedele alla Parola del Signore, altre volte è presentata come una vite improduttiva o desolata e deludente per Dio.

Così i profeti parlano di questa vite:

«La mia vigna era feconda, ricca di tralci per l'abbondanza delle acque, aveva dei forti rami, si ergeva nella sua sublimità tra il folto dei tralci». (Ez. 19) «Io la dissodai, ne tolsi via le pietre, vi piantai delle viti di scelta, vi fabbricai un recinto e vi scavai dei canali per l'irrigazione. Cosa si sarebbe potuto fare di più per la mia vigna? Io mi aspettavo che facesse del­l'uva buona, invece ecco, ha fatto dell’uva selvatica dal frutto aspro» (Isaia 5).

Il profeta sottolinea l'amore con cui Dio ha curato quella vite, mentre i risultati sono stati deludenti, tanto che in seguito dirà:

«Trovai forse rettitudine? Nient'altro che spargimento di sangue! Trovai forse giustizia? Solo grida d’angoscia! Guai dunque, a quelli che assolvono il malvagio per un regalo e privano il giusto del suo diritto. La vigna è stata sradicata con furore e gettata a terra; il suo frutto è seccato e i suoi rami sono stati spezzati» (Isaia 5).

Allo stesso modo, Gesù parla della vite e dei tralci che non portano frutto: saranno gettati via, fatti seccare e buttati nel fuoco per bruciare in un forno per fare il pane.

Nell’Antico Testamento i profeti usavano l’immagine della vite per indicare i propositi di Dio, i suoi progetti per l’umanità: fraternità, solidarietà, condivisione, comunione, accoglienza, eguaglianza, rispetto, confronto, dialogo, ma i propositi del popolo erano altri: il profitto, il denaro, il benessere, raggiunti ad ogni costo: attraverso la violenza, la prepotenza, la disonestà, la corruzione, l’illegalità. Perciò, Dio si ripromette di sradicare la vigna e di gettarla via dal momen­to che porta frutti cattivi e indigesti.

In questo periodo di gravi turbamenti per tutte le vittime nel Mediterraneo, il nostro pensiero non può che fermarsi inorridito davanti a tali sciagure, ma ancor di più davanti ai fiumi di parole insensate dette al proposito: interrompere il flusso delle barche, accordarsi con gli stati da cui provengono i migranti, fermare le persone davanti al mare prima di imbarcarsi. Sono solo parole che non possono avere attuazione se non l’approvazione di una certa classe di elettori; i migranti sono profughi di conflitti e guerre in Siria, in Eritrea, Etiopia e altrove, che l’Europa ha acconsentito. Sono persone in cerca di salvare la propria vita, in cerca di dignità, di pace, di giustizia. Sono persone che non hanno nulla da perdere perché la loro vita è segnata da un futuro di morte. E allora partono, perché nel partire ci può essere un futuro, nel restare no. Eppure, dopo le ultime centinaia di vittime del mare, c’è chi ha detto, qui a Luserna: “700 bastardi in meno”.

Ecco, Gesù riprende l’allegoria della vite e ne sposta il baricentro: ora la vite non è il popolo, ma Gesù stesso; i credenti sono i tralci uniti alla vite. Qui, Gesù sottolinea di essere la vera vite; si presenta come una vite nuova, diversa da quella che può essere un popolo o delle persone: voi siete i tralci, dice, che hanno vita finché restano legati alla vite. Dio è il contadino che la cura e la custodisce, che pota i tralci che portano frutto e toglie vie quelli che non ne portano.

Qui, Gesù non parla di opere buone che ci invita a compiere, non ci chiama a sforzarci di essere buoni e bravi con tutti, con i migranti o con le persone scorbutiche e antipatiche. Gesù dice semplicemente: «Voi siete già puri a motivo della parola che vi ho annunciato». Dunque non ci sono chiesti degli sforzi, non ci è chiesto di produrre frutti morali, ma ci è chiesto di “essere” semplicemente dei credenti autentici. Un credente che crede nella libertà dei figli di Dio lotterà per la libertà di tutti, un credente che crede nella libertà di coscienza, di pensiero, di espressione, di religione, lotterà per tutto questo; un credente che crede nei diritti umani, lotterà contro la violenza nei confronti delle donne, dei bambini, delle persone omosessuali, dei profughi, dei poveri, degli ultimi.

Gesù non ci chiede di fare questo o quello, non ci dà la liste delle cose che dobbiamo fare e che non dobbiamo fare, ma chi chiede di “essere” credenti, discepoli, fedeli alla parola che ci ha annunciato.

Qui, l'evangelista Giovanni ci consegna un messaggio universale secondo il quale è Dio l’autore della nostra fede, e che attraverso di noi, egli ha cura del mondo. A noi il credere, a Dio l’operare attraverso la nostra fede, a Dio l’amare, il perdonare, il riconciliare. A noi l’essere credenti autentici.

Per l’evangelista Giovanni questo è un nuovo popolo di persone attraverso le quali si realizza la promessa di Dio, il suo progetto di fraternità, di riconciliazione e di unità dei popoli.

Diventa possibile la solidarietà tra gli esseri umani, il perdono, la giustizia sociale, il riscatto dei poveri e degli indigenti, l’eguaglianza tra diversi popoli, etnie e culture. Tutto ciò non è appiattimento e omologazione, ma varietà, molteplicità, diversità che diventano ricchezza e forza, che producono rispetto e stima, attenzione e partecipazione.

Essere uniti a Cristo non staticità, ma movimento degli uni verso gli altri, è incontro, confronto, dialogo, rispetto, è crescere, maturare, formarsi una identità sempre nuova, una coscienza forte, libera, responsabile di fronte a quanto accade attorno a noi. Si tratta di una fede operante.

Gesù dice: «Senza di me non potete far nulla». Ecco, resteremo vuoti, e sterili, saremo insignificanti e parleremo con insensatezza senza che le parole di Gesù siano diventate parte del nostro essere, del nostro muoverci, del nostro pensare.

In tutto ciò, nell’operatività della nostra fede, Gesù non ci lascia soli, senza ispirazione, senza sostegno, ma ci aiuta a essere vivi, autentici, legati a lui, come un tralcio che porta frutto. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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