Culto domenicale:
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Domenica, 30 Agosto 2015 10:17

Sermone di domenica 30 agosto 2015 (Luca 10,25-37)

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Testo della predicazione: Luca 10,25-37

Un dottore della legge si alzò per mettere Gesù alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai». Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la parabola del «buon Samaritano» è pronunciata da Gesù in occasione di una discussione con un maestro della legge. La domanda iniziale doveva essere: «Cosa devo fare per avere la vita eterna?» la risposta era: «amare Dio e seguire i suoi comandamenti», ma la domanda essenziale in realtà era un’altra: «Qual è il comandamento più importante da seguire?», questa era la domanda della gente comune ai maestri religiosi, perché troppo difficile era diventato seguire in ogni dettaglio la legge e le innumerevoli pratiche della tradizione.

Gesù spiega che “amare” significa adempiere a tutta la legge, amare Dio e amare gli altri, il prossimo. Da qui sorge l’altra domanda: «Chi è il mio prossimo?».

Al tempo di Gesù il “prossimo” era una persona ap­partenente al popolo di Israele, le altre persone non erano considerate prossimo. Tra ebrei e samaritani vi era un odio profondo perché i due popoli rivendicavano, ciascuno, di essere il vero popolo di Dio. Era dunque lontana l’idea che un samaritano si comportasse in modo amorevole nei confronti di un israelita e viceversa. Anche la donna samaritana al pozzo con Gesù si meraviglia dicendo: «Come mai tu che sei Giudeo chiedi da bere a me, che sono una samaritana?». Gesù, come vedremo, apre orizzonti nuovi.

Egli spiega che l’amore per Dio è legato all'amore per il prossimo spiega che vi è, tra i due, una stretta dipendenza. Anzi, è possibile amare Dio andando incontro al prossimo, concretamente!

Dunque la domanda centrale nel nostro racconto è: «Chi è il mio prossimo?». Gesù comincia a rispondere che non lo è solo il tuo vicino di casa, il tuo vicino di banco in chiesa, il tuo compatriota, ma lo è anche lo straniero che abita nella tua città, ti è prossimo chi si trova nel bisogno, chi è debole, colui che puoi aiutare; Gesù stesso si identifica con i minimi quando dice: «quanto avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, lo avete fatto a me».

Gesù dunque, pone lui una domanda: «Quale di questi tre è stato il prossi­mo?»: il sacerdote, il levita o il samaritano? Risposta: «Colui che usò misericordia», che ha donato il suo aiuto e la sua disponibilità: uno straniero, il samaritano. La risposta sottile era dunque questa: Il tuo prossimo è colui con il quale non vuoi avere relazioni, colui che ritieni sia tuo nemico, colui che bolli come straniero e con il quale non intendo rapportarti.

Gesù ti spiega che devi comportarti come il samaritano se vuoi dare una risposta alla tua domanda circa la tua identità di credente e quella del prossimo. Gesù parla di accoglienza, di condivisione della propria umanità, della propria vita, dei propri spazi. Il prossimo del samaritano è colui che è ai margini della tua città, della società, chi è schiacciato, chi non ha voce, sono i malati, i senza terra, chi non ha una patria, un tetto; colui che incontri sul ciglio della strada riverso e senza forze, oppure è colui che non incontri perché muore prima di arrivare.

Gesù qui rende universale l’amore, un amore che prima era confinato all’interno di una religione e di una nazione: «ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico» si diceva (Matteo 5,43). I confini vengono abbattuti, gli steccati travolti, è un susseguirsi di prefigura­zioni di nuove realtà in cui il mondo, tutto il mondo è destinato a diventare ospitale: realtà di nuovi rapporti fra popoli e nazioni diverse, nuovi rapporti fra maschio e femmina, schiavi e liberi, amici e nemici, clandestini e regolari. La nuova realtà che Gesù annuncia non tiene conto di nessuna differenza sociale.

L'autore biblico ci invita anche a immedesimarci nel ruolo dell'uomo assalito, perché ognuno di noi spera di avere un prossimo disposto ad occuparsi di noi nel momento del bisogno, un samaritano sempre pronto a lenire le nostre ferite e ad asciugare le no­stre lacrime.

Nel nostro testo, uno straniero e per giunta nemico supera questa barriera di fronte al pericolo e alla necessita di una persona debole e in fin di vita. Il samaritano è il nemico che non si comporta da nemico, e non solo si ferma lungo la sua strada, ma ne ha pietà, si avvicina, fascia le piaghe, le disinfetta, lo fa salire sul suo mezzo di trasporto, il suo cavallo, lo conduce in un albergo, si prende cura di lui. Dà dei soldi perché sia curato a dovere e promette di tornare.

L’autore biblico si impegna a spiegare simili dettagli per porre l’accento sull’amore che supera limiti e barriere religiose, culturali, etniche.

Però si può anche passare oltre, far finta di niente, girare la faccia da un’altra parte. Si tratta di fare delle scelte. I due uomini che hanno preceduto il samaritano erano dei religiosi, ma non si fermano, passano oltre, solo il terzo si ferma a prestare soccorso, forse è solo un uomo d’affari, non è rivestito da un alone di santità. Ma ha visto al di là di se stesso e ha fatto la sua scelta.

I due religiosi in fondo hanno un comportamento non diverso da quello dei briganti che hanno assalito l’uomo e lo hanno lasciato mezzo morto.

Ecco, credo che, quando interpretiamo questo testo, noi ci soffermiamo poco sui briganti. In realtà, in questo racconto, sono i briganti i protagonisti. Dimenticare di porre l’accento su di loro è grave.

I briganti sono coloro che esprimono il lato violento del loro modo di vivere e di concepire la vita; esprimono il loro modo di risolvere i conflitti e i problemi: quello della povertà, del disagio, della crisi, dell’insicurezza, del malessere.

I briganti depredano gli averi e la vita dei deboli, per tenere tutto per sé, per accrescere la loro sicurezza; attaccano coloro da cui si sentono minacciati, questi diventano per loro nemici, nemici da eliminare.

Tante persone, oggi, si comportano così quando appoggiano le scritte che dicono «Fôra dle bale», quando affermano che non abbiamo soldi per mantenerli, perché le tasse le paghiamo per gli italiani e non per gli stranieri. Queste sono le stesse persone che non s’indignano neppure un po’ quando si viene a sapere dello sfruttamento degli stranieri nella raccolta dei pomodori o delle mele, o delle arance, con un lavoro di 15 ore al giorno per 2,50 euro l’ora, in nero. Qui non dicono agli sfruttatori «Fôra dle bale» perché fa comodo risparmiare sui costi degli alimentari.

Il fenomeno migratorio è una realtà normale, fa parte della vita, è un fenomeno che ha coinvolto nel passato, ma anche oggi, noi italiani. Lo stesso atteggiamento si aveva contro i terroni, nei confronti dei quali si negavano affitti e relazioni personali, benché italiani che migravano al Nord.

Quando la compassione verso persone profughe che fuggono da una guerra feroce, da violenze e stragi inaudite e da morte certa, viene meno, vuol dire che la storia non ci insegnato nulla e sarà destinata a ripetersi.

Quando si dice che migliaia di persone lasciano la loro terra per un puro piacere personale, come quando noi andiamo in vacanza, mentre si tratta di famiglie devastate, bambini che arrivano da soli, orfani, vedove, vuol dire che la disumanità può davvero non conoscere fine. Una disumanità che tanti profughi incontrano attraversando il deserto e nazioni ostili dove le donne sono stuprate dai militari e molte di loro giungono in Italia in attesa di bimbi frutto della violenza.

Sì, è possibile anche passare oltre, far finta di niente, girare la faccia da un’altra parte. Si tratta solo di scelte. E noi tutti abbiamo la libertà di passare oltre senza fermarci, rifiutandoci di soccorrere i disperati, oppure di fermarci e prendercene cura.

Nel primo caso saremo semplicemente delle persone religiose e pie, nel secondo caso il prossimo che usa misericordia. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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