Culto domenicale:
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Domenica, 20 Marzo 2016 21:53

Sermone di domenica 20 marzo 2016 (Filippesi 2,5-11)

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Testo della predicazione: Filippesi 2,1-11

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, oggi è la domenica delle Palme una ricorrenza che nell'anno liturgico si sofferma sul momento in cui Gesù entra a Gerusalemme ed è accolto come un re. Ma ciò accade proprio pochi giorni prima che, da quelle stesse persone, verrà condannato a morte.

Il nostro lezionario, per questa domenica ci pone davanti un testo che è una delle più antiche confessioni di fede della Chiesa primitiva. Si tratta di un vero e proprio inno, come quelli che abbiamo sull'innario. L’apostolo Paolo lo ripropone alla chiesa di Filippi proprio perché qui il culto dell'imperatore aveva una grande importanza, a lui si riconosceva il titolo di “Signore”.

Questa comunità cristiana di minoranza, non aveva vita facile a motivo della sua fede che riconosceva l'unico culto e l'unica adorazione al solo Dio che è morto sulla croce per il mondo. La confessione dei filippesi è chiara e inequivocabile: "Gesù Cristo è il Signore!".

La fede di questi credenti, in una città intollerante, provocava persecuzioni difficili da sopportare. Ma con forza, contro l'imperante culto dell'imperatore la piccola comunità canta: "Gesù Cristo è il Signore!".

L’apostolo Paolo, dunque, esorta i credenti alla comunione reciproca, all’incoraggia­mento reciproco, all’amore vicendevole, a vivere concordi e stimando non solo se stessi, ma anche gli altri cercando non il proprio inte­resse, ma quello di tutti. Solo così si può andare avanti in mezzo a prove e difficoltà, in mezzo a lotte e pregiudizi reciproci.

L’inno afferma che Gesù Cristo «pur essendo in forma di Dio... spogliò (o svuotò) se stesso». Questo lo diranno oggi i nostri confermandi nella loro Confessione di fede: Gesù è venuto a diventare come noi piuttosto che starsene lontano ammantato della sua gloria e onnipotenza.

Gesù ha preso forma umana, diventa uomo, sebbene godeva di una «esistenza divina»; rinuncia alla sua divinità per condividere pienamente la nostra condizione di esseri umani: Lui che aveva la dignità e il potere di Dio, vi rinunciò per libera volontà; anzi l’inno rincara la dose aggiungendo che egli non rivendicò nessun diritto, non considerò come occasione da sfruttare il suo essere ugua­le a Dio. Ricordate le parole del Diavolo: «Se tu sei Figlio di Dio, fa’ che queste pietre diventino pane - oppure - buttati giù dal pinna­colo...», oppure «Se tu sei il Cristo, scendi giù dalla croce».

Cioè, se sei Dio usa il tuo potere, la tua dignità divina e annienta i tuoi avversari.

No, Gesù spogliò se stesso di ogni potere, letteralmente svuotò se stesso, a motivo del suo amore scelse di diventare solidale con gli esseri umani, partecipe della loro sorte, di un destino che equivale a una esistenza mortale. Svuotò se stesso di ogni forma di potere, per assumere semplicemente una forma umana mortale. Dio si presenta non nelle forme dell’onnipotenza, ma nella fragilità del suo amore, un amore che, però, è senza fine perché l’amore non muore, mai! Neppure quando appare così: appeso su una croce o dentro una tomba perché entrambe resteranno vuote.

L'inno prosegue rincarando la dose, e sottolinea che Gesù nel divenire uomo non si fermò al livello più alto della realtà umana, Gesù rinunciò non solo alla gloria divina, ma abbandonò anche la società umana dei giusti e degli altolocati e si unì a quella dei peccatori e dei delinquenti. Egli esalò il suo ultimo respiro nel momento in cui era stato abbandonato dai suoi amici più cari. Questa è l'umiliazione di Dio, il suo abbassamento: proprio Lui che era diverso, che poteva far valere i suoi diritti divini, i suoi poteri ultraterreni.

L’amore di Cristo non si è fermato neppure di fronte all’esperienza umana più ignominiosa e squalifican­te: Dio è diventato il crocifisso.

Ma questa realtà d’amore non può restare inchiodata sulla croce, non può restare nel ventre della terra, perché l’amore vince e questo Dio umiliato e inchiodato su una croce verrà esaltato e riconosciuto come Signore di tutto e di tutti: gli è stato dato, cioè, il nome più eccelso, più grande che esista: cioè Signore.

Nel mondo antico il nome non è solo un termine che serve a distinguere una persona da un'altra, è molto di più, esprime l’essenza e la dignità della persona che lo porta. Colui che era nell’aspetto di servo, che ha vissuto per servire, che si è abbassato e si è umiliato, viene ora esaltato e posto quale unico Signore del mondo. Signore" corrisponde in ebraico alla parola (Adonai - Kyrios) era il titolo proprio di Dio. Solo Dio è Signore e nessun altro.

Cosa significa tutto questo?

Significa che le nostre logiche umane sono davvero fragili e passeggere, esse sono basate sul tornaconto, sul fare per ricevere in cambio qualcos’altro, mentre Cristo è venuto con la sola logica che ci sfugge completamente e che è la logica della gratuità.

Egli è Signore perché tutti siamo chiamati a confessare la nostra fede in colui che ha scelto di condividere la miseria umana per amore, per essere solidale con chi vive la debolezza e la caducità umana, che è morto perché l’amore nascesse in ciascuno di noi.

A Gerusalemme, tutti lo osannano, ma nessuno sarà poi disposto a seguirlo e a percorrere la sua strada della gratuità e del dono di sé fino in fondo. Per questo lo abbandonano, anche i suoi stessi discepoli, come facciamo anche noi quando non siamo più disposti ad andare oltre, contro i nostri interessi, per il bene di tutti.

Sì, Dio è Colui che può tradire le nostre attese quando ci attendiamo che difenda il nostro piccolo spazio, quello in cui viviamo, contro le intrusioni di altri, quando permette il nostro dolore, la nostra sofferenza, la nostra solitudine e quella degli altri.

Dire “Signore” significa seguirlo lungo la strada della coerenza, dell’accoglienza di se stessi e degli altri; significa ridare dignità alla propria vita e a quella degli altri, acquisire la capacità di trasformare le prove, i dolori, la sofferenza, il lutto, in determinazione, capacità di resistenza, forza, coraggio, attività, capacità di amare consapevoli che è qui il vero senso della vita.

Cari fratelli e sorelle, cari catecumeni e catecumene, è qui il segreto della fede che sarete chiamati a vivere quotidianamente, nella semplicità: in quella scelta di Dio per voi, nella sua scelta di offrire se stesso nella gratuità, senza chiedere nulla in cambio perché l’amore è per sempre, sopravvive a ogni catastrofe. La scelta di Dio è anche la nostra scelta: quella di accogliere tanto di più di quanto possiamo dare nella logica del dono e di quell’amore che solo salverà il mondo. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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