Culto domenicale:
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Lunedì, 28 Novembre 2016 22:37

Sermone di domenica 27 dicembre 2016

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Testo della predicazione: Vangelo di Giovanni 8,3-11

Gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fi no agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più».

Sermone a cura di Lidia Maggi (tratto da: L’evangelo delle donne, figure femminili nel Nuovo Testamento – Claudiana 2010)

Una donna viene portata a Gesù che, seduto per terra, giudica e ammaestra nel cortile del Tempio. Una donna usata per incastrarlo. A nessuno sembra interessare la sua vita. È solo un’adultera, colta in flagrante e destinata alla lapidazione. Sola contro quegli uomi­ni che si appellano alla durezza della loro legge per farla morire; sola senza colui che ha amato, colpevole come lei, eppure latitan­te. Sola con tutti gli occhi puntati su di lei, sguardi pesanti come macigni che la scrutano, la invadono e la colpiscono prima ancora delle pietre. Sguardi insistenti e morbosi.

Eccola davanti a Gesù. L’unico con il capo chinato; il solo che le risparmia anche la sofferenza di occhi giudicanti.

Ci sono situazioni dove lo sguardo infiamma, come nell’incon­tro con il giovane ricco: «e Gesù guardatolo negli occhi l’amo»; e altre in cui lo sguardo spegne, diventa tortura.

Gesù, con il capo chino, scrive sulla sabbia. Traccia segni che in pochi istanti svaniranno. Intorno a lui, uomini pronti a lanciare sassi, a uccidere. Nel mezzo, la donna.

Anche Gesù ricorre a dei macigni. Le sue parole sono pietre. Ma sono dirette non contro la povera donna esposta alla gogna, bensì contro chi piega la legge ai propri interessi.

«Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra» (Giov. 8,7). Parole come macigni per colpire chi, pur di incastrare un’antago­nista, non esita a usare una vita umana e il proprio credo.

Coloro che volevano giudicare Gesù, usando il caso pietoso di una donna, sono stati a loro volta giudicati; coloro che si sentiva no in diritto di lapidare sono stati colpiti dalle pietre delle parole del Maestro.

Sabbia e pietre, leggerezza e pesantezza, parole scritte nella pol­vere che volano via e parole solo pronunciate che rimangono per sempre pietra d’inciampo. Il racconto della donna adultera parla con questi paradossi. Fa uscire dalle ristrettezze umane e religiose spingendo ad andare oltre le apparenze e le semplificazioni.

A chi legge non sfuggirà che persino in un racconto così se­rio, in cui ne va della fede e, soprattutto, della vita di una povera donna, sbuca l’ironia. Essa si percepisce nel risvolto del racconto squisitamente evangelico: il giudizio contro l’altro è diventato un boomerang che ha colpito chi lo ha lanciato.

Ma, oltre a questo tipo d’ironia per così dire morale, emerge anche un’ironia simbolica, applicata ad alcune delle immagini bi­bliche importanti per la loro carica positiva di significati, come la roccia e lo sguardo. L’ironia non risparmia neppure le grandi pa­role e i simboli della fede. Con lo sguardo, infatti, si può penetra­re l’anima, ma anche colpirla e giudicarla. La roccia può fare da fondamento per la casa, ma può anche distruggerla, sfondarla.

In certi casi, parlano meglio di Dio lo sguardo abbassato e la roccia frantumata.

L’uso fondamentalista del linguaggio e dei simboli religiosi, e conseguentemente della fede stessa, nasce da un cuore preoccu­pato più del giudizio che della comprensione.

Il prezzo delle certezze è l’incapacità di quel distacco ironico che sa discernere le situazioni e riconoscere la cosiddetta legge dei tempi formulata da Qohelet: «C’è un tempo per lanciare pie­tre e un tempo per posarle a terra».

C’è una religione pietrificata dal fondamentalismo, che con­danna la donna in nome della Legge e dei simboli religiosi. Ge­sù parla, invece, un linguaggio che rimette in movimento: quello di una Scrittura che è Parola di vita. Una lingua in grado di non identificare la donna con il gesto compiuto: «Io non ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Anche per chi legge la sfida rimane ambiziosa: essere all’altez­za di questa «insostenibile leggerezza della fede», magistralmente insegnataci da Colui che è, insieme, roccia della nostra vita e dito non puntato ma usato per scrivere sulla sabbia.

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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