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Lunedì, 04 Dicembre 2017 12:34

Sermone di domenica 3 dicembre 2017 (Apocalisse 5,1-7)

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Testo della predicazione: Apocalisse 5,1-7

Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?» Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. Io piangevo molto perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: «Non piangere, ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli». E vidi un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’Apocalittica è un genere letterario che i credenti usavano nei periodi di persecuzione per rafforzare la fede e confortare i deboli e chi era colpito dalle oppressioni. Si tratta di parole da decifrare e interpretare prima di poter intenderne il messaggio. Così, l’Apocalisse del Nuovo Testamento fa in modo che il credente che legge sia tanto emotivamente coinvolto da metterlo nelle condizioni di partecipare agli eventi che il libro descrive.

Oggi tenteremo di capire il messaggio del brano alla nostra attenzione facendo un piccolo viaggio nel mondo del veggente Giovanni che scrive il libro.

La visione si apre con una scena di giudizio. Un trono è posto al centro della scena, su di esso siede il Dio giudice. Attorno a lui una schiera di servi e ministri che gli danno gloria con inni e con pronunciamenti solenni. A un certo punto l’attenzione si rivolge a qualcosa di importante: è un libro. In tutte le scene del genere, appare un libro. Anche nel libro di Daniele ritroviamo la stessa scena di giudizio con lo stesso trono e i servi attorno; l’atmosfera è carica di tensione a motivo dell’imminente giudizio e così irrompe, maestosa, una voce che dice: “...e i libri furono aperti”.

In questo libro vi sono contenuti dei nomi di coloro che sono stati fedeli fino alla morte, altrove, nella Bibbia, è chiamato “il libro della vita” (Salmo 69,29; Apoc. 13,8).

Dunque, la presenza di un libro introduce una scena di giudizio che però, nel nostro brano, diventa diversa da quella di Daniele.

Qui, nessuno è trovato degno di aprire il libro. La fine delle persecuzioni non può dunque avere luogo perché non può iniziare la fine della violenza del mondo. Perciò Giovanni dice: “Io piangevo molto... perché nessu­no poteva aprire il libro”. Che tristezza!

Ma a questo punto, tra le lacrime del veggente accade qualcosa di nuovo, perché la tristezza per il fatto che il libro non può essere aperto dei suoi sette sigilli è superata da un nuovo personaggio che entra in scena.

L’attenzione si sposta, il libro resta in secondo piano, le luci si accendono ai margini della scena. Sono lunghi momenti di suspense, di attesa, si rimane col fiato sospeso... fino a quando non viene annunciato che c’è qualcuno degno, capace, di togliere i sigilli e aprire il libro.

Il libro perde ora importanza, serve solo a condurci a Colui che può aprire il libro, che può entrare nella storia di ogni nome scritto su quel libro, di ciascuno per conferirgli dignità, nuovo inizio, grazia, perdono…  È un leone, il leone della tribù di Giuda, cioè discendente del re Davide, come avevano annunciato i profeti circa il Messia, e quando il veggente si volta per guardarlo, vede un agnello, in piedi, che sembrava essere stato immolato.

Diversamente dal libro di Daniele, l’opera di salvezza non viene affidata ad un libro che contiene i nomi dei martiri, ora è questo Agnello che ha l’autorità di offrire perdono e salvezza.

“Nessuno era capace”, dice l’Apocalisse, proprio perché nulla è affidato alle nostre forze e alle capa­cità umane; non siamo noi a scrivere nel nostro libro la storia della salvezza, della grazia e del perdono di Dio, ma solo Colui che è morto per noi e che può condurre le nostre esistenze nell’orizzonte gratuito dell’amore e della salvezza.

Ecco il messaggio del veggente Giovanni che raggiunge anche noi che viviamo l’attesa del compimento dei tempi, sì, in un’altra epoca, in un’altra storia, ma all’interno della quale il Cristo continua ad essere, oggi, Colui che può rendere degna la nostra esistenza.

L’Agnello di questo brano è collegato all’agnello del libro dell’Esodo il cui sangue veniva sparso sugli stipiti per salvare i primogeniti dalla morte. Gesù è rappresentato come un agnello, perché vince la morte, perché dona la vita, perché può entrare dentro l’orizzonte della nostra esistenza, dentro il libro dove è scritta la nostra storia, per conferirle un senso e un valore veri e autentici per i quali valga davvero la pena vivere.

L’agnello rappresento per Israele il segno della liberazione dalla servitù egiziana e, per noi cristiani, rappresenta il segno della liberazione dalla morte, dalla schiavitù del peccato, della paura di una vita arida e vuota; dalla liberazione dalle angosce umane, dai tabù, libertà da se stessi, dall’impossibilità di vivere una vita dignitosa.

L’antica concezione di giudizio è sconvolta, perché in Cristo, come insegnava Martin Lutero, il Dio giudice non è più visto come il Dio che castiga e punisce il peccatore, ma come Colui che lo rende giusto senza alcun merito.

Il Veggente, tuttavia, è consapevole che non tutto è ancora ri­solto, che il peccato è ancora presente nel mondo e che l’amore di Dio non unisce ancora tutti gli esseri umani, che l’odio, l’indifferenza e la distanza che gli esseri umani creano tra loro è grande. Giovanni ha presente la sofferenza e il dolore umano, perciò ci annuncia che la vera liberazione comincia là dove lasciamo spazio all’amore di Dio di agire attraverso di noi, là dove diventiamo semplicemente disponibili ad andare incontro agli altri, in un servizio di reciprocità.

I tanti miracoli di Gesù, come quello che abbiamo ascoltato oggi, dell’uomo che aveva la mano paralizzata e che Gesù guarisce, non servono a farci intendere quanto Gesù sia capace di fare tanto, i miracoli, ma a dirci quanto noi siamo chiamati ad incontrare il nostro prossimo più fragile, più debole, malato, perché solo questo incontro, la sola nostra presenza, può lenire la sofferenza, il dolore, la solitudine di molte persone.

Il servizio che la Bibbia chiama “diaconia” è il miracolo più grande di Dio, perché è la sua Parola che prende vita, forma e diventa concreta nella vita delle persone: gli zoppi camminano, i ciechi vedono, i muti parlano: questo è il Vangelo annunciato agli ultimi. Così diceva Gesù.

Oggi è la domenica della diaconia e noi parteciperemo ascoltando all’esposizione del progetto del Rifugio Re Carlo Alberto dal titolo: “Verso una comunità amichevole con la demenza” e per il quale daremo il nostro contributo con la nostra colletta di oggi. Anche questo è servizio, voglia il Signore, ispirare noi e tutti gli operatori che contribuiscono a rendere vivo l’amore di Dio che si realizza attraverso tante persone che si pongono al servizio di altre persone. Amen.

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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