Culto domenicale:
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Domenica, 26 Gennaio 2020 19:23

Sermone di domenica 26 gennaio 2020 (Atti 10,19-28)

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Testo della predicazione: Atti 10,19-28

Mentre Pietro stava ripensando alla visione, lo Spirito gli disse: «Ecco tre uomini che ti cercano. Àlzati dunque, scendi e va’ con loro, senza fartene scrupolo, perché li ho mandati io». Pietro, sceso verso quegli uomini, disse loro: «Eccomi, sono io quello che cercate; qual è il motivo per cui siete qui?» Essi risposero: «Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, del quale rende buona testimonianza tutto il popolo dei Giudei, è stato divinamente avvertito da un santo angelo, di farti chiamare in casa sua e di ascoltare quello che avrai da dirgli». Pietro allora li fece entrare e li ospitò. Il giorno seguente andò con loro; e alcuni fratelli di Ioppe l’accompagnarono. L’indomani arrivarono a Cesarea. Cornelio li stava aspettando e aveva chiamato i suoi parenti e i suoi amici intimi. Mentre Pietro entrava, Cornelio, andandogli incontro, si gettò ai suoi piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati, anch’io sono uomo!» Conversando con lui, entrò e, trovate molte persone lì riunite, disse loro: «Voi sapete come non sia lecito a un Giudeo aver relazioni con uno straniero o entrare in casa sua; ma Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere ritenuto impuro o contaminato».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, la lettura biblica di oggi ci fa assistere a un fatto singolare che dà inizio all’apertura della chiesa verso il mondo, verso le persone che non facevano parte d’Israele. Tutti sappiamo bene che la chiesa nasce a Gerusalemme e i primi cristiani sono anche ebrei, come lo era Gesù, come lo erano i discepoli, l’apostolo Paolo, e via dicendo, e la legge ebraica giudicava impura una persona che non apparteneva al popolo d’Israele, tale impurità era contagiosa, perciò non si potevano avere contatti con i pagani, né si poteva entrare nelle loro case.

Perfino chi viaggiava fuori dai confini della Palestina, al suo rientro doveva sottoporsi a riti di purificazione prima di inserirsi nella vita sociale della città.

Dunque, l’epoca della chiesa primitiva era segnata da nette divisioni che Gesù aveva individuato cercando di spiegare che tutte le barriere che dividono vanno abbattute, per questo Gesù tocca un lebbroso, permette che una donna ritenuta impura a causa delle sue emorragie di sangue lo tocchi, va a tavola con i peccatori e i pubblicani, non disdegna di riconoscere una grande fede nella donna pagana, siro-fenicia, parla con una samaritana di teologia, ecc…

La chiesa degli inizi, composta dunque da giudei credenti in Cristo, vive ancora la realtà delle separazioni fra chi è giudeo, quindi degno di Dio, e chi non lo è; fra chi ha le carte in regola e chi no; fra chi sta dentro e chi deve stare fuori.

Eppure, il messaggio di Gesù sull’amore per il prossimo, del buon samaritano, e tanti altri, erano orientati verso un’apertura forse fin troppo ardita. E ne parlerà dopo, l’apostolo Paolo, nella lettera ai Galati, quando riprenderà Pietro il quale, a tavola con credenti pagani, si nasconde alla vista di fratelli ebrei che persistevano nell’opinione separatista.

L’umanità era divisa fra puri e impuri, fra coloro che si trovano in uno stato di grazia e chi no!  Ma i conti non tornavano e la riflessione sul Cristo morto e risorto per il mondo intero cominciava a farsi strada.

Ma bisognava fare anche i conti con tabù e convinzioni che dovevano lasciare spazio all’amore di Dio, alla sua grazia e al suo perdono per tutti, anzi soprattutto per i peccatori, soprattutto per gli impuri: sono loro che maggiormente hanno bisogno di Dio.

Per Dio, nessuno è impuro, nessuno è contaminato, in virtù della croce di Cristo. Chi guarda l’umanità attraverso l’amore che Dio manifesta sulla croce, non può che vedere una umanità perdonata e oggetto della sua grazia e del suo amore. La croce rende eguali tutti gli esseri umani: sono tutti peccatori e peccatrici, tutti perdonati. Per questo l’apostolo Paolo dirà: «Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per far misericordia a tutti» (Romani 11,32).

Non è facile, però, perché noi cerchiamo sempre di distinguere, cerchiamo sempre di far differenza fra l’uno e l’altro, di dividere; i versetti che precedono il nostro brano ci spiegano che ci sono voluti ben due volte interventi di Dio per convincere l’apostolo Pietro: così, Dio viene in sogno prima a Cornelio e poi a Pietro stesso, per affermare che davanti a Dio non esiste divisione fra puri e impuri, fra giusti e peccatori, fra belli e brutti.

A Cornelio, un angelo spiega come trovare l’apostolo, e Pietro vede in sogno un lenzuolo, pieno di ogni tipo di animale impuro, che scende dal cielo e una voce che dice a Pietro: «Ammazza e mangia». L’apostolo si rifiuta, non mangerebbe mai qualcosa di impuro, proibito dalla legge ebraica, ma la voce insiste affermando di non rendere impure le cose che Dio ha purificato.

Il riferimento alle persone pagane è chiaro, e Pietro comprende che non c’è nessuna persona che possa essere considerata impura, contaminata, indegna, diversa. Per Pietro non è facile, secoli di leggi, regole, tabù pesano sulla sua visione della vita, ma accetta di accogliere Cornelio che doveva essere tenuto a distanza perché impuro, affetto da una impurità che avrebbe contaminato Pietro.

Purtroppo la lezione di questo capitolo è stata arginata e relegata alla sua epoca, il suo messaggio dirompente di accoglienza e fraternità di ogni nazione, etnia e tribù rimase solo sulla carta, e la chiesa continuò a dividere, a separare, a giudicare, a condannare gli uni e ad assolvere gli altri. Fino ai nostri giorni!

Eppure Pietro sa quello che dice: «Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere considerato impuro». Non c’è teologia capace di relativizzare questa affermazione, essa è detta in modo lapidario e convinto. Nessuna filosofia può sviluppare una teoria che smentisca, in modo scientifico, il fatto che davanti a Dio non contano le nostre differenze dovute al colore della pelle, all’altezza della persona, alla lingua che si parla, al sesso, al genere, all’affetto che una persona manifesta nei confronti di un’altra persona.

Eppure, ciononostante, abbiamo scoperto che è perfino possibile relativizzare e negare il messaggio incontrovertibile di Pietro, lo abbiamo visto numerose volte nella storia, accade ancora ai nostri giorni in diverse parti del mondo, ma oggi vogliamo ricordare l’aberrazione del nazi-fascismo con le sue deportazioni, lager, campi di concentramento e di sterminio di massa, appunto Shoah!

Dio guarda il cuore umano con compassione, e là infonde il suo amore, la sua grazia e il suo perdono. Da lì possiamo partire per condividere noi stessi con il prossimo, ed è lì che siamo ricondotti tutti, da Dio, nel luogo dove egli ci incontra non perché siamo puri e meritevoli, ma per sola sua grazia.

Allora, anche noi non possiamo che incontrarci là dove egli incontra ciascuno di noi, e guardare l’umanità dell’altro che lo rende una creatura di Dio, un suo figlio, una sua figlia, a prescindere dalle sue inclinazioni, dai suoi difetti o dai suoi pregi, dalla sua etnia o dal colore della pelle.

«Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere considerato impuro». Questa parola di Pietro non può che avere delle conseguenze concrete, non può che permettere l’incontro, la fraternità, la condivisione e l’amicizia con tutti; è qui il fondamento della fede. La pace e la giustizia cominciano da qui, e cioè là dove noi avremo la capacità di accogliere senza fare differenze, di amare senza scegliere, di condividere senza preferire. Dio ci aiuti a costruire un futuro, con questa fede! Senza compromessi. Amen!

Vi leggo adesso un brano del libro “Yossol Ravoker si rivolge a Dio” (pagg 12-13).

«In un bosco dove mi ero nascosto, incontrai di notte un cane, malato, famelico, forse anche impazzito, con la coda tra le zampe. Entrambi sentimmo subito una comunanza, se pure non la somiglianza della nostra condizione [...] Si appoggiò a me, affondò la testa nel mio grembo e mi leccò le mani. Non so se ho mai pianto come quella notte: mi gettai al suo collo e scoppiai in singhiozzi come un bambino. Quando affermo che allora invidiavo le bestie, non c’è da stupirsi, ma ciò che provai in quel momento, più che invidia, era vergogna. Mi vergognavo davanti al cane di non essere un cane, ma un uomo. Tale era il nostro stato d’animo, a questo eravamo giunti: la vita è una disgrazia, la morte una liberazione, l’uomo è un flagello, la bestia un ideale, il giorno è terrore, la notte sollievo».

Dalle prime pagine del libro «Yossl Ravoker si rivolge a Dio» di Zvi Kolitz (Adelphi).
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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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