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Domenica, 16 Marzo 2014 10:42

Sermone di domenica 16 marzo 2014 (II Samuele 12,1-7a)

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Testo della predicazione: II Samuele 12,1-7a

Il Signore mandò Natan da Davide e Natan andò da lui e gli disse: «C’erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell’uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l’agnellina dell’uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa». Davide, allora, si adirò moltissimo contro quell'uomo e disse a Natan: «Com'è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita di essere punito e pagherà quattro volte il valore dell'agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà. Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell'uomo!».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, cari bambini e bambine, il profeta Natan pronuncia questa parabola davanti al re Davide, il più grande re d’Israele. Gesù sarà discendente di questo re.

Davide però ha sbagliato, si invaghisce di una bella donna, Bat-Sceba, moglie di un suo servo, Uria l’Ittita, la manda a chiamare e con lei ha dei rapporti, viola la sua integrità di donna e di moglie fedele. E quando la donna rimane incinta, il re cerca di rimediare sposandola. C’è però un impedimento, Bat-Sceba ha un marito. Così il re ordina di esporre in battaglia Uria, di lasciarlo solo in prima linea perché così sia ucciso dal nemico. E così accadde. Uria, fedele servo del re, muore in battaglia.

Vi sono due uomini, uno è ricco, l’altro è povero. Per descrivere il ricco, Natan, non ci mette molto, non c’è alcun interesse in quell’uomo. È ricco, ha in gran numero pecore e buoi, ha tutto, punto e basta. Così lo mette in disparte.

Il povero, invece, attira la nostra attenzione: aveva una piccola agnellina che aveva comprata e allevata, era cresciuta insieme ai suoi figli, era tutto ciò che possedeva, le voleva bene come a una figlia. L’agnellina mangiava con il suo padrone, beveva alla sua coppa, dormiva tra le sue braccia. Come noi immagineremmo oggi un gattino o un cagnolino che custodiamo con affetto.

Ma un giorno arrivò un ospite in casa dell’uomo ricco, e questi, per non uccidere nessuna tra le sue pecore e i suoi buoi, per preparare il pranzo all’ospite, «prende» l’agnellina del povero e la cucina.

Il ricco prese ciò che non era suo, prese l’agnellina e mangiò per pranzo. Tratta come sua proprietà ciò che non gli appartiene.

È sbagliato, non deve mai succedere che il ricco viva alle spalle del povero, che chi ha potere schiacci chi è debole, che chi si trova in una posizione di vantaggio, ne approfitti per annientare e distruggere chi parte svantaggiato.

Il verbo «prendere» è molto allusivo, come il ricco prese l’agnellina del povero, così il re Davide «prese» Bat-Sceba, la donna sposata a Uria l’Ittita. Il verbo è usato nella Bibbia anche per esprimere una violenza fisica e carnale: il re fece violenza al tesoro che per il povero era come una figlia.

Sì, questa è una storia di egoismo, di cinismo, di distruzione. Il ricco si fa forte della sua ricchezza, si sente protetto da essa, la ricchezza gli conferisce potere e privilegi a cui egli non rinuncia, anzi li adopera per accrescere illegalmente la sua ricchezza, sfrutta la sua condizione di vantaggio alle spalle di chi non ha potere e privilegi da vantare. Il povero di potere diventa così vittima, vulnerabile, perché non ha modo di reclamare i suoi diritti.  

Il ricco non avrebbe alcun potere in sé, ma questo gli è conferito da chi lo onora e riverisce perché spera di ricevere qualcosa in cambio; in fondo la corruzione comincia da questo atteggiamento di riverenza nei confronti delle persone ricche e nei confronti del denaro.

Il re Davide intuisce immediatamente dove sta il torto, la sua reazione indignata è giusta, Davide prova un sincero orrore a causa dell’azione così bassa del ricco. Il ricco è oggetto della severa accusa del re: quell’uomo deve pagare quattro volte il prezzo dell’agnellina e poi dovrà essere anche punito. Addirittura, il testo originale recita che il ricco «merita la morte».

Davide comprende in modo corretto la parabola, ma non si accorge che essa parla di lui. «Tu sei quell’uomo».

Così, il re Davide sarà punito severamente.

Ma a tutti noi ci rimane quella parola troppo diretta del profeta Natan: «Tu sei quell’uomo».

È vero, è giusta la nostra sensazione, il profeta si rivolge anche a noi con la sua parabola e ci dice: «Tu sei quell’uomo». Come dire che, oggi, tutti facciamo parte di quell’ingranaggio perverso per il quale ognuno pensa a sé e fa a gomitate per avvantaggiarsi di diritti particolari, conoscendo persone giuste, che favoriscano i propri interessi, anche a scapito degli altri.

Nessuno pensa al bene comune, ognuno pensa in che modo può essere scannata l’agnellina dell’altro piuttosto che la propria. Questo accade quando si evadono le tasse, quando non si insiste a ricevere lo scontrino fiscale, quando pensiamo che tanto pagano gli altri e che il mio contributo può essere tanto scarso. Ma più possediamo e più siamo addentro a questo ingranaggio nel quale non riusciamo a rinunciare a nulla e a dare nulla.

Sì, forse non tutti riteniamo di essere ricchi come l’uomo della parabola, forse pensiamo di possedere solo un’agnellina che ci teniamo tanto stretta e quando ci è chiesto di partecipare e di contribuire cerchiamo di dare il minimo o ci convinciamo che non possiamo affatto.

Eppure, il profeta Natan parla oggi alla nostra coscienza di credenti e dice a ciascuno di noi: «Tu sei quell’uomo». Perché, in fondo, anche se non lo abbiamo voluto, ognuno di noi è partecipe di una cultura della mano chiusa, mentre non ci avvediamo che solo donando possiamo ricevere e lo sforzo dei pochi non è mai sufficiente a offrire il benessere a tutti.

Sia da monito dunque la parabola di Natan anche per noi che viviamo tanto lontani nel tempo, ma tanto vicini allo stesso ingranaggio che schiavizza la nostra anima e le nostre coscienze, le incatena al nostro egoismo e alla nostra distruttività.

Ci conceda il Signore la forza e la serenità di chi, liberato da ogni forma di schiavitù nei confronti di se stesso, apre le proprie mani per contribuire al bene comune e partecipare con la propria presenza affinché la legalità e il diritto valgano anche per i più svantaggiati. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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