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Domenica, 18 Maggio 2014 12:26

Sermone di domenica 18 maggio 2014 (I Giovanni 3,13-18)

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Testo della predicazione: I Giovanni 3,13-18

Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida possiede in sé stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l'amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, il comandamento dell’amore che Gesù proclama nei Vangeli è il centro di questa prima lettera di Giovanni.

L’autore della lettera di Giovanni presenta un dualismo teologico che permette di comprendere meglio la portata e lo spessore dell’amore. Egli afferma che dove manca l’amore, là c’è odio. E Gesù, parlando del comandamento dell’amore, aveva messo in guardia i discepoli dall’odio: «Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me».

Tuttavia, l’amore e l’odio, per la Bibbia, non sono semplicemente dei sentimenti, ma producono delle azioni che determinano la vita o la morte. Caino uccise perché odiava suo fratello. Questo è dunque l’odio: vivere nella dimensione, nell’orizzonte e nella prospettiva della morte, di se stessi e degli altri.

Gesù, parlando del comandamento dell’amore, conclude dicendo: da questo comandamento dipende tutta la legge e i profeti (Matteo 22,40) come per sottolineare che il peccato è la trasgressione della legge che nell’Antico testamento era la Torà, mentre adesso è la legge dell’amore.

Il peccato è la trasgressione della legge dell’amore, è l’incapacità di amare, è conseguenza dell’insufficienza con cui amiamo. Dunque, la conseguenza naturale del peccato, come l’odio, è la morte, ma Dio interviene con il suo amore e dona la vita, la vita vera, che vale la pena vivere.

Dunque si aprono solo due strade, senza vie di mezzo, per l’autore biblico: la vita nell’amore o la morte nell’assenza dell’amore. Per questo l’autore della lettera scrive: «Chi odia suo fratello è omicida», perché l’odio uccide se stessi. Sempre!

Ed egli rincara la dose dichiarando che noi siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo il prossimo, perché chi non ama rimane morto, resta cioè all’interno di un orizzonte di morte, si muove e produce opere che generano violenza, aggressività, brutalità, sofferenze, esclusioni, prepotenze, rifiuti.

Ma per Giovanni è l’amore di Gesù, morto per noi, che ci dà vita, cioè la capacità di amare; perché il suo amore ci impegna. Ci impegna ad amare con i nostri limiti e le nostre fragilità, con i nostri vuoti e buchi d’amore. Ecco dunque che ci giunge una definizione profonda dell’amore: come Gesù ha donato la sua vita per noi, anche noi siamo chiamati a donare la nostra vita per gli altri.

L’amore, dunque è dono di sé, senza condizioni e senza meriti. Gesù, donando se stesso per tutti noi e per il mondo, ha allargato le sue braccia sulla croce, quel gesto è il segno dell’accoglienza di Dio per tutti senza condizioni, senza che nessuno ne sia degno. All’interno di una dimensione di morte e di violenza, Gesù ha allargato le braccia per vincere e superare l’odio con l’amore che ha portato la vita a cominciare dalla sua risurrezione.

Così è anche per noi, ci è data la gioia e la possibilità di vivere e di essere portatori di vita, con il rifiuto della discriminazione, con l’accoglienza e la solidarietà.

Allargando le sua braccia, Gesù ci ha voluto insegnare che nessun essere umano è degno di morire, né di essere oggetto di odio o di violenza. Nell’amore posso donarmi al prossimo e accoglierlo con la mia solidarietà, la mia condivisione, il mio sostegno e la mia partecipazione alla sua vita che significa lottare per la vita dell’altro, per la sua dignità, per i suoi diritti.

Dunque l’amore è un fatto pratico, significa avere davanti a sé una persona concreta e accettarla nella sua peculiarità, nella sua unicità, nella sua cultura, nella sua pelle, nella sua affettività, nel suo essere diverso da me, come io sono diverso da lui, da lei. Non è facile, basta guardarsi attorno per accorgersi delle violenze omicide che ci circondano, è la realtà: che si tratti di femminicidi, o di violenze verso le persone omosessuali, o verso anziani, o bambini, o immigrati.

Come nel periodo dell’ideologia nazista, ancora oggi la nostra società deifica il benessere e il potere, il sesso e il successo; si tratta di idoli che generano esclusione, rifiuto, eliminazione fisica delle persone che non rientrano dentro questa ideologia.

Noi siamo qui oggi, in questa giornata internazionale contro la violenza dell’omofobia, per proclamare che l’amore di Dio non esclude nessuno, ma accoglie tutti allo stesso modo, senza distinzioni di cultura, classe sociale, colore della pelle, orientamenti affettivi, di genere, ecc… Siamo qui per pregare per tutte le vittime di tali violenze e perché il mondo creda che solo l’amore può generare la vita e dare una nuova speranza.

Gesù è morto perché tutti noi fossimo accolti allo stesso modo, ma per secoli, i cristiano hanno compreso l’amore come una realtà che escludeva, emarginava, e hanno ucciso nel nome di un amore violato, svuotato, impoverito.

Siamo qui oggi per proclamare che ogni essere umano ci è sorella e fratello, amato da Dio e quindi anche del nostro amore, un amore che sempre genera vita. Per permettere questa vita, dobbiamo allargare anche le nostre braccia conserte e lottare contro la violenza che si scatena nei confronti di esseri umani per qualunque motivo, a prescindere dai meriti di ogni persona.

Ci conceda il Signore di imparare a guardare il nostro futuro con speranza, un futuro che siamo chiamati a costruire con gli strumenti dell’amore che riesce al allargare il nostro orizzonte e vedere, al di là delle apparenze, il cuore degli altri, le loro paure, le loro fragilità, la loro autenticità.

L’amore è indifferente; sì, è indifferente rispetto a tutto ciò che è diverso da noi, che può apparire strano o insolito. L’amore non vede l’altro come una minaccia, ma come una ricchezza e un dono di Dio. Ecco, proclamiamo questo diritto: quello di guardare con indifferenza il fratello, la sorella diversi da me. In fondo, anch’io, per loro, sono diverso. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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