Culto domenicale:
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Domenica, 11 Maggio 2014 13:54

Sermone di domenica 11 maggio 2014 (Luca 22,21-27)

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Testo della predicazione: Luca 22,21-27

«Ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola. Perché il Figlio dell'uomo, certo, se ne va, come è stabilito; ma guai a quell'uomo per mezzo del quale egli è tradito!» Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai, tra di loro, a far questo. Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande. Ma egli disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev'essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve. Perché, chi è più grande, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve».

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, abbiamo davanti a noi il racconto nel quale, dopo l’ultima Cena, Gesù rivolge un discorso di addio discepoli. Gesù parla della propria morte e di uno di loro che lo tradirà. Questa rivelazione di Gesù desta tutta l’indignazione dei discepoli che scoprono, così, in mezzo a loro infedeltà e tradimento, tutti segnali di mancanza di autenticità e di verità. ¿Ma allora, chi sarà colui, tra i discepoli, più fedele al maestro Gesù e meritevole, quindi, di essere il più grande, il più importante? Il più grande avrebbe governato sugli altri, sarebbe stato un piccolo “capetto”, era importante preparasi e informare tutti, Gesù avrebbe indicato chi e quello sarebbe stato investito di questa autorità.

Gesù spiega che cosa significa “essere il più grande”. Certamente il suo discorso avrà deluso i suoi discepoli perché la sua spiegazione è esattamente un capovolgimento del senso comune di grandezza, che per noi significa essere serviti e riveriti, che la nostra presenza vale più degli altri e la nostra parola più di quella degli altri, per noi significa avere l’ultima parola. Gesù parla ai governanti, parla ai discepoli, parla alla Chiesa, parla a noi.

Innanzitutto Gesù ci dice che, come tra i discepoli, nessuno è mai al riparo dai tradimenti, o dalla corruzione, come Giuda; nessuno è al riparo dalle infedeltà: la Chiesa e i credenti sono chiamati sempre a prendere coscienza del proprio peccato. In sostanza, Gesù sta rivelando che il peccato di Giuda è anche quello di tutti gli altri che lo rinnegheranno o lo lasceranno solo. È il nostro peccato quando crediamo di poter essere dei credenti senza Gesù, di poterci salvare senza il suo sacrificio sulla croce, di poter essere sufficienti e capaci senza bisogno del suo amore che ci impegna e ci rende capaci di donare il suo amore al prossimo.

Ciascuno di noi è sempre chiamato a porsi la seguente domanda: «Sono fedele a Cristo o a me stesso?».

¿Sono fedele alle mie esigenze, alla mia attitudine a detenere un potere connaturale al mio ruolo, anche con umiltà, oppure sono fedele a Colui che mi chiama a costruire ponti e rapporti umani di fraternità, di solidarietà, di rispetto, di accoglienza e di lottare contro tutto ciò che li nega con il razzismo, sempre velato, il respingimento (siamo già in troppi e non c’è lavoro per tutti), l’intolleranza, il fanatismo?

Gesù ci spiega quale sia il senso di chi ha un ruolo, un potere, un incarico di governo. Essere grandi non deve comportare l’essere serviti perché non è questo che dà senso alla tua vita; l’essere serviti non riempie il vuoto della tua esistenza, né rinverdisce la tua aridità o solleva la tua desolazione.

Non cercare tutto ciò per ritrovare te stesso. «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev’essere così» (vv. 25-26). La normalità è errata dice Gesù, non conduce all’obiettivo che si prefigge, ma se ne allontana. Gesù propone un capovolgimento della nostra concezione di servizio e cioè che il più grande e importante, domina gli altri.

Per noi, chi governa parte da una posizione alta, di prestigio, e da lì attua un gesto di abbassamento nel governare e servire. Per Gesù il servizio non è il gesto di chi sta in alto e si fa benefattore di chi sta in basso, di un governate o un politico prodigo e generoso verso la plebaglia. No! La grandezza di Gesù sta nel fatto che non si fa servire, ma serve.

Gesù non è il Signore che serve, ma Gesù è il servitore che regna.

Il governo di una nazione, come la direzione di un’opera della nostra chiesa, possono essere realizzati solo a partire dal servizio, a partire dallo stato di servitori da parte di chi è preposto, incaricato a farlo.

Tutti siamo chiamati non semplicemente ad un servizio, ma a essere servi, servitori del prossimo: di chi non ha voce, di chi ha non ha diritti, di chi vive una fragilità fisica dovuta alla malattia o alla vecchiaia, di chi non è rispettato nella sua dignità, di chi subisce violenza fisica o psicologica.

Tutti noi siamo chiamati, come credenti, a vivere la nostra vita come servitori. Siamo chiamati a rispecchiarci nella vita stessa di Gesù che è stata vissuta all’insegna del dialogo e del rapporto con il prossimo: Gesù dialogava, anche con le donne, di teologia; condivideva i pasti con i peccatori, guariva le ferite del corpo e dell’anima con il perdono, toccava le persone lebbrose trasmettendo il suo amore, persone affette da malattie e colpite da sventure per le quali erano discriminate e allontanate dalla società umana; cacciava i demoni liberando le persone da una alienazione mortale e da un’appartenenza a forze oscure che le rendevano schiave e lontano da se stessi e da Dio a cui, invece, tutti apparteniamo.

A tutto ciò siamo chiamati come credenti e come Chiesa di Gesù Cristo: a portare il Signore Gesù nel mondo e nella vita delle persone, come Colui che serve, quindi attraverso il nostro essere servitori, attraverso il nostro servizio.

Ecco, Gesù rende anche ciascuno di noi servi, perché nel servizio ha senso la nostra vita, ha senso la nostra fede e il nostro essere Chiesa.

Oggi avremo l’Assemblea di Chiesa sulla relazione dell’Asilo valdese, la cui direttrice, la presidente, il Comitato, ma tutte le persone che vi lavorano o sono volontari, sono chiamati a porsi come persone che servono. Ma possiamo ben dire che si tratta davvero di un servizio che nasce dalla fede, quello che accade all’Asilo è conseguenza di un’attività che rende l’amore del Signore vicino a tutte quelle persone che, nella loro vecchiaia, hanno bisogno di cure, di sostegno, affetto e comprensione. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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