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Domenica, 08 Giugno 2014 18:57

Sermone di Pentecoste 2014 (Genesi 11,1-9)

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Testo della predicazione: Genesi 11,1-9

Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. Dirigendosi verso l’Oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Scinear, e là si stanziarono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamo dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e bitume invece di calce. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra». Il Signore discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!» Così il Signore li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire la città. Perciò a questa fu dato il nome di Babel, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là li disperse su tutta la faccia della terra.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, radioascoltatori e radioascoltatrici l’episodio di Pentecoste ha in comune con quello della Torre di Babele la diversità delle lingue, che da una parte disperde e dall’altra unisce.

A Pentecoste, coloro che ascoltano i discepoli che pregano affermano: «Come mai ciascuno di noi li ode parlare nella propria lingua?». Persone provenienti da nazioni diverse, comprendono nella propria lingua la preghiera dei credenti. Il messaggio del racconto biblico mira a spiegare che ora lo Spirito Santo, presente nella chiesa, può condurla alla testimonianza dell’Evangelo che libera, che converte e trasforma, e che permette di vivere nel nuovo orizzonte dell’amore di Dio e della fraternità piuttosto che in quella dell’inimicizia e dell’odio.

Oggi però vorrei parlare del brano della Torre di Babele contenuto nel libro della Genesi e provare a capire che cosa sia veramente successo.

In questo brano, il disperdersi ha il significato di spargersi sulla terra, così come aveva voluto il Signore quando aveva detto «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…» (Genesi 1,28).

Al contrario, accade invece che un gruppo di persone decide di fermarsi, di stanziarsi, di costruire una città, di formarsi una identità simboleggiata da una torre, una torre molto alta, un grattacielo diremmo oggi, per acquistarsi “fama”, che significa acquistarsi una identità forte, attraverso un simbolo visibile.

Il racconto si situa dopo il diluvio, e questi sono i sopravvissuti, sono i testimoni della nuova possibilità offerta da Dio per superare la violenza umana e adempiere al progetto di fraternità e di accoglienza tra i popoli che Dio aveva voluto fin dall’inizio della storia.

Questi discendenti di Noè temono, però, la dispersione e si adoperano a scongiurarla, vogliono legare il loro nome a un luogo, a un territorio, ponendo così termine al loro errare: anche noi oggi, cerchiamo di “restare uniti” e di non disperderci quando si presenta un pericolo, o un nemico che ci minaccia, anche noi facciamo quadrato contro l’avversario.

Però, per i figli di Noè, Dio ha altri disegni e, contro la loro volontà, li disperde per realizzare il suo progetto di “riempire la terra”. Dio provoca quello “spargersi delle nazioni” che benedice e approva.

Dunque lo “spargersi” dei figli di Noè non è un castigo rivolto a chi tenta di scalare il cielo con un titanico assalto alla divinità, e la confusione di cui parla il testo biblico non è riferita all’atto di tracotante superbia dei figli di Noè; da nessuna parte si dice che la torre fosse una minaccia.

Anzi, sì. In fondo, la torre da innalzare fino al cielo è il desiderio di espandersi verso qualcosa di improprio, è una spinta verso il vuoto, piuttosto che verso la terra abitata, è una spinta verso il cielo deserto, piuttosto che verso il mondo popolato da persone.

I figli di Noè hanno paura e si spingono verso una chiusura, cercano di definire la loro identità. Si tratta di una chiusura che dà loro sicurezza, cercano di far quadrato contro ogni possibile minaccia per poter vivere con le proprie certezze, esorcizzando la paura. Il sospetto sull’altro essere umano predomina sulla accoglienza, sul confronto, sul dialogo e sulla condivisione. L’altro diventa nemico, diventa una minaccia, e per il nemico non c’è posto nella propria vita e nel luogo in cui vivo.

È a questa realtà che Dio vuole porre termine: Dio ha creato l’essere umano perché sia fratello/sorella con tutti, con l’essere umano, Dio crea la fraternità e la condivisione, ogni tentativo di isolamento e di chiusura è una minaccia alla fraternità e alla solidarietà.

Dio confonde, dunque, le lingue: in effetti i costruttori di Babele sono nella stessa condizione dei credenti di Pentecoste, parlando lingue diverse, non si comprendono fra di loro, ma sono in grado di aprirsi alla comunicazione e alle altre culture.

Alla confusione subentra la diffusione, quella dispersione che non è distruzione e annientamento, ma disseminazione feconda.

Gli episodi di Babele e di Pentecoste sono animati dallo stesso messaggio: la necessità di non rinchiudersi all’interno delle proprie certezze, della propria chiesa, della propria cultura, ma di aprirsi, senza paura, al contatto fraterno con tutti: chiese, popoli, culture, religioni.

Oggi, viviamo una forma di Babele con il processo di “Globalizzazione” il tentativo di mettere dentro alcuni popoli e fuori altri, soprattutto i più poveri. Questo rinchiudersi dentro una torre d’avorio abbiamo visto quanti danni sta provocando, a partire dalla crisi del nostro sistema finanziario. La globalizzazione della economia, delle comunicazioni, della produzione, della cultura ecc… propone oggi una disastrosa omologazione e appiattimento di tutto, mentre, mai bisognerebbe perdere di vista e valorizzare la diversità e la dignità di tutte le culture, la solidarietà, il rispetto per l’alterità, il confronto come scelta di metodo.

Ci sono voluti millenni perché l’essere umano comprendesse l’importanza di superare l’egoismo, l’interesse personale, la prevaricazione, l’affermazione della legge del più forte, l’ostilità nei confronti dell’altro; ci sono voluti millenni per convincersi che “gli uomini e le donne nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti”, ma basterebbe un solo giorno perché un’intera società smentisca questi principi, e lo abbiamo visto in diverse occasioni.

La nostra identità, di singoli ma anche di popolo, o di chiesa, non è immutabile, ma si forma ogni giorno, si modifica, è un processo all’infinito che si trasforma grazie a rapporti con altri, grazie a esperienze, a relazioni, a contatti. Dunque, isolarsi, cioè scalare il cielo deserto, per paura del nuovo e del diverso, rinchiudersi dentro la propria cultura, la propria famiglia, la propria chiesa, escludendo chi sta fuori, pone le basi dell’ignoranza dell’altro e genera sempre disagio, rifiuto, xenofobia, razzismo, omofobia. Chi rifugge dal confronto con l’altro non è una persona che ha una identità, ma semplicemente una non-entità. Mentre l’apertura serena e il confronto fecondo pongono le basi del rispetto, della tolleranza, della condivisione e della fraternità.

Questo è il parlare in lingue degli apostoli a Pentecoste e, superato lo smarrimento iniziale, la confusione di Babele potrà rivelarsi come una straordinaria risorsa che permette la dispersione, cioè la possibilità di arricchirsi della fraternità con l’altro e l’altra diversi da me. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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