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Domenica, 09 Novembre 2014 12:00

Sermone di domenica 9 novembre 2014 - Giornata della musica (Atti 16,25-26)

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Testo della predicazione: Atti 16,25-26

«Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano. A un tratto, vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; e in quell’istante tutte le porte si aprirono, e le catene di tutti si spezzarono».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, quante volte vi è capitato di trovarvi spontaneamente a pregare, senza neppure rendervene conto, a motivo di una sofferenza, un dolore, vostro o degli altri che vi ha coinvolti emotivamente? E quante volte, a motivo di una gioia, una enorme felicità per una festa o per un pericolo scampato vi è scaturito dall’anima un “Alleluia” oppure un “grazie Signore”, o semplicemente un “sia ringraziato il cielo”? Certamente più di una volta.

All’apostolo Paolo e al suo compagno missionario, Sila, era capitata una brutta avventura che non era destinata a risolversi facilmente: a motivo della predicazione della Parola di Dio e della liberazione che essa aveva portato, diversi si erano ribellati e avevano denunciato gli apostoli alle autorità: i loro guadagni erano compromessi.

La liberazione da un giogo diabolico nei confronti di una serva indovina, scatena l’ira dei suoi padroni perché non hanno più introiti, così gli apostoli sono condotti in carcere, in catene e con ceppi ai piedi. Erano, cioè, pericolosi, potevano avere dei poteri con i quali liberarsi; meglio neutralizzare i loro poteri e rendere impossibile la loro liberazione.

Ma l’annuncio della Parola di Dio è l’annuncio della liberazione e non saranno i ceppi e le catene a rendere prigionieri i credenti.

Il racconto rivela come tante persone che sono libere, lo sono solo in apparenza, perché in fondo sono schiave. Si può essere schiavi dell’avidità e del denaro, come i padroni della serva; si può essere schiavi del proprio egoismo e dei propri averi; spesso chi crede di essere libero, resta schiavo di se stesso e di un sistema che si compiace di sé ed esclude chi lo minaccia. Così, Paolo e Sila, da liberatori diventano reclusi.

Ma vi fu un gran un terremoto.

Non sono le sbarre di ferro a fare una prigione. Perciò i prigionieri, già liberi nel cuore e nello spirito, cantano.

«Verso mezzanotte vi fu un gran terremoto». È la stessa ora in cui Israele è liberato dal giogo egiziano (Esodo 11,4), il terremoto in carcere porta con sé il messaggio che ogni liberazione è un dono di Dio, così come un terremoto devastante è giunta l’ultima piaga d’Egitto che portò la liberazione degli schiavi condotti da Mosè; la libertà è quella volontà di Dio che diventa promessa per tutto il genere umano, creato a sua immagine e somiglianza.

Per Paolo e Sila, la prigione è il luogo della schiavitù, dell’oppressione, non solo del corpo, ma anche dell’anima, la violenza sulla loro coscienza, il luogo della privazione della condivisione della loro umanità e della loro fede con gli tutti.

Ma la prigione non è il luogo in cui la fede è annientata, non sono le catene a far venir meno la fede e non sono i ceppi ai piedi che impediscono di far correre il pensiero verso Dio, di far volare lontano la propria anima sulle ali della preghiera.

Nessuno può incatenare la preghiera, possono incatenare il corpo, ma non il cuore; possono rendere prigioniera la mente, ma non l’anima e lo spirito. E tu, puoi arrivare al punto in cui non riuscirai più a esprimere con le parole ciò che provi, il tuo stato d’animo, il tuo dolore, la tua sofferenza o anche la tua gioia incontenibile, allora ti trovi a cantare perché ci sono dei sentimenti, delle passioni, delle condizioni umane che non si possono esprimere, che vanno oltre ciò che può essere descritto con le parole. Ecco, il canto può dar voce al senso profondo di gratitudine, al dolore, all’amore.

Dove le parole finiscono, comincia la musica, il canto, l’espressione dell’anima. È il canto della fede ed è la fede che ti fa cantare, che ti rende libero/a interiormente e lotta per la libertà fisica e la dignità dell’essere. La fede canta perché prega, il canto è la preghiera dell’anima ed è comunione, con Dio e con chi ascolta il tuo canto.

Il canto dell’anima raggiunge chi ascolta e arriva nel profondo della sua anima e del suo cuore.

Gli altri prigionieri ascoltavano il canto degli apostoli, anche il carceriere; il loro canto diventa forza, resistenza, sopportazione, lotta, libertà. Il canto scuote la prigione dalle fondamenta, le porte si aprono, le catene si spezzano, i ceppi si rompono. Il terremoto viene per tutti, non solo per Paolo e Sila, tutti saranno liberati, anche il carceriere che si convertirà e sarà battezzato.

Così, allo stesso modo, cantavano gli schiavi d’America e nascerà il Gospel, che vuol dire “Vangelo”, essi daranno, attraverso il canto, le ali al loro cuore e alla loro anima, daranno volto alla preghiera, espressione alla loro fede libera che nessuno potrà imprigionare. Essi troveranno nel canto la forza per resistere, per lottare e attendere il giorno in cui saranno riconosciuti i loro diritti e la loro dignità di esseri umani, come tutti gli altri sulla terra.

Così pure canteranno i neri oppressi dell’Apartheid in Sudafrica e saranno imprigionati come Paolo e Sila, come Nelson Mandela per 27 anni, e tanti altri, e canteranno “Nkosi sikelel'iAfrica”, Dio benedica l’Africa, canteranno “Freedom is coming. Jesus is coming. Yes I know!: la libertà è vicina sta per venire, Gesù viene, lo so viene a liberarmi.

Dalla sofferenza nasce la preghiera, chi canta può essere messo a tacere, ma non il suo canto, il canto della libertà che non potrà mai essere strappato via da nessuno.

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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