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Domenica, 04 Ottobre 2015 13:14

Sermone di domenica 4 ottobre 2015 (Luca 12,15-21)

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Testo della predicazione: Luca 12,15-21

Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: “Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?” E disse: “Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all’anima mia: ‘Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti’”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?” Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, Gesù apre un argomento alquanto spinoso davanti a una folla che lo ascoltava. Coglie lo spunto da una domanda circa l’eredità di due fratelli, per dire quanto il problema del possedere fosse grande.

È un problema, perché si insinua in modo subdolo, inficiando la nostra vita di elementi che le fanno perdere l’orientamento e perfino il senso. Gesù parla dunque, di avidità di ricchezze, di possesso di denaro, ma anche di potere che si acquista con la ricchezza. Si dice anche oggi: «Chi paga, comanda».

Bisogna anche notare che Gesù non dà nessun giudizio negativo al fatto che questo agricoltore sia ricco o che i suoi campi abbiamo dato un raccolto abbondante. Gesù pone l’accento sull’autoreferenzialità dell’uomo, egli parla solo a se stesso, non vede nessuno oltre a sé, non c’è un orizzonte all’interno del quale ci sia qualcun altro, non c’è un guardare oltre se stesso, non c’è un progetto di vita nel quale sia incluso qualcun altro.

La sua vita appartiene solo a se stesso, i suoi progetti riguardano solo lui. Qualcosa di profondamente sbagliato anche nella cultura ebraica, secondo la quale, tutti apparteniamo a Dio e a lui rivolgiamo la nostra riconoscenza per la vita e per i beni che dci offre per vivere.

Nel racconto, nulla di tutto questo è tenuto in considerazione. Ciò che appare è solo l’uomo e la sua anima con cui egli parla, cioè con se stesso. La ricchezza è fine a se stessa, così come il raccolto, il denaro, la vita stessa; nulla ha uno scopo umano, sociale; nulla ha un riferimento con la vita nel suo insieme, una vita che include il prossimo, gli amici, i famigliari stessi. Certo, l’agricoltore sarà un uomo solo, ma si capisce anche perché è solo: perché non vede altri che se stesso, questo fa la ricchezza, il possesso, non fa vedere oltre se stessi.

L’uomo in poche frasi dice: «i miei raccolti, …i miei granai, …il mio grano, …i miei beni, …l’anima mia». L’aggettivo possessivo “mio” domina la sua esistenza. Per questo non può che parlare solo a se stesso e ricercare solo il proprio interesse.

Maria, la madre di Gesù cantava invece: «Ha colmato di beni gli affamati e ha mandato a mani vuote i ricchi» (Luca 1,53).

Gesù non condanna né la ricchezza neppure la gioia che si può provare e vivere, anzi diverse volte, nelle sue parabole parla di ricchezze come della pecora smarrita, o della dracma perduta o del figlio ritrovato e per tutto ciò ricorda l’importanza di far festa e rallegrarsi, di mangiare e far festa: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora; «…mangiamo e facciamo festa» (Luca 15).

In realtà l’uomo ricco non è disonesto, neppure malvagio, non ha infranto la legge, ma vive in modo stolto, stupido perché non dà senso alla sua vita, ed è della nostra vita che Gesù vuole parlare, perché abbia un senso profondo.

Per Gesù, ciò che si possiede, come anche la gioia e il rallegrarsi, hanno un senso se possono essere condivisi con altri.

Come discepoli di Gesù, tutti siamo invitati a concentrarci su ciò che dà senso all’esistenza; è faticoso perché siamo distratti da tante attrazioni, da tanti specchietti per le allodole, da tanto consumismo che si impone come necessario anche quando è superfluo. Non è facile, ma Gesù insiste nel dirci che non è il consumismo capace di riempire i vuoti della nostra esistenza, ma la condivisione di ciò che abbiamo, di ciò che siamo.

Ma che cosa abbiamo noi? Qualcuno dirà di non essere ricco e di avere poco da dare, vero, la nostra ricchezza potrebbe essere anche un patrimonio che abbiamo e che consiste nel sapere, nella cultura, nei ricordi, nella storia, nell’arte, nei nostri sogni, nei nostri progetti: noi accumuliamo tanta ricchezza e a volte non ce ne rendiamo conto.

Ma, come all’uomo ricco, anche a noi Dio domanda: «Quello che hai preparato, di chi sarà?».

 Per chi accumuliamo noi i nostri beni? Questa domanda riguarda ciascuno di noi, ma anche la nostra chiesa, riguarda i nostri progetti, il futuro che abbiamo davanti. Ne stai preparando uno anche per gli altri vicino a te? Per chi verrà dopo di te? Come vivi la tua vita di oggi? La vivi per lasciare una bella eredità a qualcuno, oppure consumi tutto per te stesso, per te stessa senza lasciare traccia di nulla? Del tuo passaggio, della tua vita, del tuo impegno, del tuo lavoro? Chi riguardano veramente i tuoi progetti? Solo te stesso/a?

Ecco il nostro punto di arrivo: quello che dà senso alla nostra vita, le vere ricchezze, non è accumulare per se stessi, ma per gli altri, per l’umanità intera.

La nostra ricchezza, di ogni genere, acquista un senso solo se concepita all’interno di un progetto di umanità, di condivisione, di solidarietà e di speranza.

Di chi sarà ciò che hai preparato?

Ora conosciamo la risposta e accumuliamo tutto ciò che per noi è ricchezza, all’interno di un progetto che renda la nostra vita e quella degli altri, dell’umanità degna di essere vissuta.

Amen.

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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