Culto domenicale:
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Domenica, 03 Gennaio 2016 23:56

Sermone di domenica 3 gennaio 2016 (Giosuè 1,1-9)

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Testo della predicazione: Giosuè 1,1-9

Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore parlò a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè, e gli disse: «Mosè, mio servo, è morto. Àlzati dunque, attraversa questo Giordano, tu con tutto questo popolo, per entrare nel paese che io do ai figli d'Israele. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, io ve lo do, come ho detto a Mosè, dal deserto, e dal Libano che vedi là, sino al gran fiume, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Ittiti sino al mar Grande, verso occidente: quello sarà il vostro territorio. Nessuno potrà resistere di fronte a te tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te; io non ti lascerò e non ti abbandonerò. Sii forte e coraggioso, perché tu metterai questo popolo in possesso del paese che giurai ai loro padri di dar loro. Solo sii molto forte e coraggioso; abbi cura di mettere in pratica tutta la legge che Mosè, mio servo, ti ha data; non te ne sviare né a destra né a sinistra, affinché tu prosperi dovunque andrai. Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai. Non te l'ho io comandato? Sii forte e coraggioso; non ti spaventare e non ti sgomentare, perché il Signore, il tuo Dio, sarà con te dovunque andrai».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, è un passaggio di consegne quello che ci viene raccontato nel primo capitolo del libro di Giosuè. Ma non è Mosè stesso, ormai morto, che lo fa nei confronti del nuovo condottiero di Israele, ma Dio stesso.

Il racconto è molto suggestivo, questo rapporto diretto con Dio che ci è raccontato qui, è lo stesso rapporto di Mosè con Dio sul Sinai e lungo la strada, nel deserto, verso la terra promessa.

Facciamo però un passo indietro per capire esattamente che cosa è chiamato a fare Giosuè, il successore di Mosè.

Il racconto del primo incontro di Mosè con Dio sul Sinai parla della liberazione di un popolo schiavo in Egitto. Dio si presenta per venire incontro a un popolo oppresso, sfruttato, impaurito, schiacciato e sofferente, si presenta per liberarlo.

Ecco, nella Bibbia Dio è colui che rende liberi gli oppressi, sempre! Qualunque altro dio è diverso da quello del Sinai, che è un Dio libero, che ama e che perciò vuole la libertà delle sue creature, un Dio che si prende cura di loro e vuole solo il loro bene. Gli altri sono invece dèi che piegano al loro volere le creature, le soggiogano, chiedono sottomissione incondizionata, schiavitù.

I dieci comandamenti che Mosè riceve nel luogo dell’incontro con Dio, sul Sinai, tendono a mantenere il popolo e il singolo, nella condizione di libertà. I Comandamenti esordiscono con le parole “Io sono il Signore tuo Dio che ti ha liberato dal paese d’Egitto”… quindi: non rivolgerti ad altri dèi perché ti asserviranno e ne rimarrai schiacciato, non adorare le loro immagini anche se ti sembrano innocue, ne diventerai invece dipendente, dedica un giorno alla settimana al riposo per ricordarti che il lavoro non deve mai diventare una schiavitù, Dio ti ha liberato da essa, non ricaderci; ecc…

Dunque una legge che crea rapporti umani all’insegna della libertà, della giustizia e della coesione per far fronte ai pericoli costanti di ricadere nella schiavitù.

Il passaggio di consegne a Giosuè da parte di Dio stesso, è d’obbligo; l’autore biblico non può immaginare nulla di più efficace per permettere che il lettore si renda conto della portata di quanto sta accadendo.

Dunque, cosa deve fare Giosuè? Deve attraversare un fiume, il Giordano, per raggiungere la terra promessa, quella che Dio aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza: la terra della libertà.

Dunque, per raggiungere la libertà è necessario uno sforzo per entrare nel suo orizzonte, nella sua dimensione: bisogna attraversare un fiume. L’attraversamento del Giordano è significativo nell’ottica biblica, significa lasciarsi alle spalle una realtà vecchia, diversa, negativa, che costringeva a una condizione schiavizzante, o a una condizione di obbedienza cieca che svuotava di senso l’esistenza rendendola arida e sterile.

Non è un caso che nei canti Gospel, la musica dei neri afro-americani, il Giordano sia menzionato come il passaggio verso la terra della libertà, o semplicemente il passaggio a miglior vita, quella dove non si vive più sotto un padrone despota.

Certo si può preferire anche una vita infeconda e arida, alle dipendenze di un padrone che asservisce e soggioga. Non c’è da pagare il prezzo della responsabilità che la libertà implica, il prezzo delle scelte, delle valutazioni, delle decisioni che richiedono presa di coscienza, serietà, coerenza.

L’autore biblico è chiaro circa il sogno di Dio per l’essere umano: la sua libertà, la sua coscienza. Queste soprattutto anche al prezzo di infedeltà o di slealtà da parte umana. Dio accetta la provocazione e ci coinvolge in una sfida fra pari; Dio propone per primo un patto: «Io, non ti lascerò e non ti abbandonerò: ti sarò fedele sempre. Non sarà facile, perciò sii molto forte e coraggioso, non ti spaventare perché io sarò con te dovunque andrai! Dunque, alzati e va, attraversa questo Giordano».

Per raggiungere e attraversare il Giordano, per camminare sulla terra e vivere nell’orizzonte della libertà non è facile.

Certo la libertà è bella: schiere di persone sono morte per la libertà, ma è difficile vivere da persone libere perché la libertà impegna tutta la nostra coerenza e il nostro senso del “bene comune”, la libertà è contraria agli egoismi, agli accaparramenti, alla ingiustizia, alla violenza, a quelli che sono i nostri istinti primordiali per i quali preserviamo noi stessi, il nostro clan, la nostra famiglia a tutti i costi. La libertà permette di vivere come persone che esprimono la loro umanità.

La Stampa di domenica scorsa riportava la notizia di una pensionata che al supermercato ha rubato alcuni pacchi di caramelle per i suoi nipotini. È stata beccata, presa per il braccio, condotta in disparte e chiamati i carabinieri. La donna riceveva solo 400 euro di pensione e non riusciva neppure a pagare l’affitto, ha riferito: «Mi vergognavo a non fare un regalo di Natale ai miei nipotini». Appurata la verità, i carabinieri hanno pagato il conto di 27 euro per la donna che non è stata così denunciata.

Che significa questo? Che per una somma così misera si può fare la carità? O forse che è stato un gesto di umanità, quella che sembra il mondo abbia smarrita?

La libertà rende liberi, non schiavi del denaro o delle cose da possedere. Si tratta della libertà di quella bambina di Ventimiglia che, in un giorno di Festa, ha raccolto le sue caramelle ed è andata a distribuirle agli immigrati nascosti vicino alla frontiera francese per attraversarla e cercare di vivere, oltre quella frontiera, il loro sogno per una vita migliore. Ed è anche la libertà di Luigi Tidei, semplice autista, che alla vigilia di Natale ha trovato per terra un portafoglio in un parcheggio e lo ha restituito al proprietario, un portafoglio con 43mila euro dentro. Ha bussato alla sua porta e gli ha restituito tutto, e quello piangeva.

Perché? Perché nessuno crede più che esista umanità, perché non viviamo più come persone libere, ma schiave di ciò possiamo possedere, e la schiavitù annienta il senso di umanità, nessuno ci crede più, per questo oggi sono i furbi a essere premiati, più dei migliori.

Ma Dio ti dice: «Sii forte e coraggioso, non ti spaventare e non ti sgomentare perché il Signore tuo Dio sarà sempre con te». Cioè: Colui che ti chiama a libertà non ti abbandona a te stesso, ma potrai contare sul coraggio e sulla forza che potrai ricevere per superare la tua attitudine alla schiavitù.

La scelta di libertà di Dio significa per noi giustizia, fraternità, pace, accoglienza, solidarietà.

Noi ci auguriamo che l’anno nuovo ci porti cose migliori, Dio invece ci chiede di essere forti e coraggiosi, perché ciò implica tutto il nostro impegno, la nostra attività perché il mondo diventi migliore. Siamo chiamati a essere cittadini presenti sulla scena, a essere vigilanti e a costruire relazioni di pace, di nonviolenza, ponti di riconciliazione, servizio nei confronti dei diseredati, di coloro che sono resi schiavi dallo sfruttamento, dalla violenza, dalla costrizione, dal respingimento, dalla discriminazione.

Avanti, dunque, attraversiamo questo Giordano, costituito dalle nostre paure e dalla nostra inerzia, e impegniamoci con coraggio per la libertà di tutti.

Il Signore, in quest’impresa sarà con noi dovunque andremo.

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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