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Domenica, 03 Luglio 2016 13:08

Sermone di domenica 3 luglio 2016 (Romani 6,3-8)

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Testo della predicazione: Lettera ai Romani 6,3-8

Ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; infatti colui che è morto è libero dal peccato. Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, in questo brano della Bibbia, l'apostolo Paolo parla della morte e le dà un significato positivo: infatti non parla della nostra morte fisica, ma di una morte che diventa il presupposto per una vita da vivere pienamente, qui e ora, una vita che ha senso, degna di essere vissuta: questo significa, per l’apostolo, la vita eterna. Egli, quindi, parla di una morte che in realtà è nascita, culla della vita.

Ma in che senso?

Innanzitutto vediamo che Paolo mette in rapporto la morte di Gesù Cristo con la nostra morte, e parla della nostra morte non come di qualcosa che deve ancora avvenire, ma che è già avvenuta.

Quando?

L’apostolo, in sostanza, vuole parlare dell’avvenire dei credenti, del loro futuro, partendo dal passato: l'avvenire dei credenti è un cammino alla cui fine non c'è la morte, ma la risurrezione; un cammino che parte dalla morte di Gesù sulla croce, una morte che ci riguarda, che ci coinvolge, che ci fa partecipare a quell’evento in modo che anche noi possiamo dire di aver “vissuto la morte”, e che perciò ci attende è la risurrezione.

Quindi il destino dei credenti in Cristo è legato al destino di Cristo, alla sua morte e alla sua risurrezione. Questo è il fondamento della nostra fede: Dio, nonostante la nostra mancanza di fede, la nostra ribellione, ci considera morti con Cristo (perché Cristo è morto per noi) e sceglie di essere dalla nostra parte, con noi, per noi con la risurrezione di Cristo e nostra.

Davanti alla croce siamo tutti uguali perché tutti peccatori e peccatrici, la croce rappresenta la nostra realtà umana con il suo peccato, che muore, là, è sconfitto, dunque! E noi? Noi siamo salvi dal peccato che è morto. Siamo perdonati perché Cristo è morto al posto nostro.

Al posto nostro significa che anche noi, che viviamo diversi secoli dopo, per Dio eravamo là presenti sulla croce con Cristo: quella croce, dunque, abbraccia tutta la storia umana e non solo un'epoca. Questo significa che in Cristo siamo tutti morti.

Ma cosa vuol dire che in Cristo siamo tutti morti?

Vuol dire che non siamo più in debito con nessuno!

Così è! Chi muore, infatti, non ha più obblighi; lo affermava perfino la legge antica: «il morto è sciolto da ogni vincolo o debito che lo teneva legato». Essere morti con Cristo significa essere sciolti dai nostri debiti, dal nostro peccato che ora non ha più potere su noi perché non ha potere sui morti.

Essere morti al peccato, però, non significa che non pecchiamo più, ma che il peccato non ha più potere su di noi, perché noi non ci siamo più, per lui siamo morti e sepolti e non può vantare alcun diritto su noi, non può più padroneggiarci; siamo stati liberati dal suo potere, dal male; non apparteniamo più al male, ma a Cristo. Siamo anche noi risorti in una dimensione nuova.

Era una schiavitù quella sotto il peccato senza perdono, e non siamo stai noi a scegliere di esserne affrancati, è stato Dio che lo ha scelto per noi, per amore, a noi sarebbe stato impossibile. 

La libertà dalla schiavitù del male ci permette la fedeltà a Dio che ci vuole liberi, perdonati, riscattati.

La libertà non è indifferenza, indipendenza, autonomia individuale ed egoistica. No! Chi è liberato dal peccato entra nell’orizzonte dell’amore di Dio, un amore che permette alla nostra esistenza umana un senso, uno scopo, una direzione, un futuro certo, un avvenire: il nostro avvenire legato a quello di Cristo che è morto e risorto per dare a noi un avvenire.

La libertà dal peccato che non può più signoreggiarci è libertà per qualcosa, per qualcuno: libertà per la giustizia, per la pace, per la solidarietà, per contribuire al bene della città, per l’equità, la rettitudine, l’onestà, la salvaguardia del creato, della dignità, dei diritti. Libertà è impegno, servizio, non indifferenza.

E l’apostolo Paolo ci tiene a dirlo forte e chiaro.

Per questo egli parla del battesimo, perché esso è il segno di tutto questo, dell’amore di Dio che ci libera, che ci sottrae al dominio del male e ci permette di entrare non nella terra di nessuno, ma nella dimensione della gratuità di Dio. Questa era per gli ebrei la terra promessa, quella dove scorre latte e miele, cioè la terra della gratuità dell’amore di Dio e dei suoi doni.

L'Esodo ne è anche la prefigurazione: l'uscita dalla terra dei Faraoni è anche l'ingresso nella terra della promessa, non è solo deserto. L'esistenza cristiana, la libertà dei credenti è obbedienza a Cristo, è accettazione della sua signoria che esclude qualsiasi altra signoria.

La libertà la riceviamo, non ce la prendiamo noi, e ricevere la libertà significa passare al servizio del Signore e scoprire che la fede è un movimento verso l'altro, l’altra; è relazione, dialogo, apertura, incontro; la fede è contribuire perché l’amore, di cui mi sento amato, raggiunga anche gli altri nei loro conflitti, nella loro confusione, nella loro ostilità.

Dunque, la nostra morte “in Cristo” non corrisponde al deserto, all’autonomia, ma corrisponde a una nuova vita che comincia dalla risurrezione di Cristo, nella quale anche noi siamo risuscitati e viviamo una vita nuova, percorriamo una strada che ci conduce verso il nostro avvenire.

L’apostolo ci invita oggi a rinnovare il nostro impegno battesimale, che significa assumere uno scopo nella vita, a darle un significato, a muoversi all’interno di un servizio e di un impegno, affinché la croce di cristo abbia senso per tutti: il senso della liberazione dal male.

È lotta contro il male, dunque, contro la schiavitù, contro l’ingiustizia, l’illegalità, l’abuso, la disonestà. Contro la schiavitù di chi è privato della propria terra a causa della guerra, della minaccia della morte, di chi è costretto a migrare per salvare la propria vita.

Essere morti al peccato significa, dunque, vivere come benedizione per gli altri meno fortunati di noi, per i quali non c’è più pace, ma violenza, persecuzione, brutalità, disumanità.

Essere morti e risorti con Cristo significa che Dio ci dà nuove possibilità, ci rende capaci di aprire i nostri occhi e le nostre mani per andare incontro a chi è reso schiavo da una storia disumana e per annunciare la liberazione degli oppressi.

Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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