Culto domenicale:
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Domenica, 25 Dicembre 2016 12:49

Sermone di Natale 2016 (Michea 5,1-4a)

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Testo della predicazione: Michea 5,1-4a

Da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni. Perciò egli li darà in mano ai loro nemici, fino al tempo in cui colei che deve partorire partorirà; e il resto dei suoi fratelli tornerà a raggiungere i figli d'Israele. Egli starà là e pascolerà il suo gregge con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. E quelli abiteranno in pace, perché allora egli sarà grande fino all'estremità della terra. Sarà lui che porterà la pace.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, un proverbio ebraico dice così: «Non sprezzare alcun uomo e non svilire alcun oggetto, poiché non vi è uomo che non abbia la sua ora e non vi è cosa che non trovi il suo posto» (Trattato dei princìpi).

Betlemme era un villaggio tanto insignificante e così privo di importanza che quando i profeti dell'Antico Testamento lo nominavano la gente si domandava: «Ma cosa può venire di buono da Betlemme?». Eppure, il profeta pone l'accento sull’insignificanza di questa cittadina come qualcosa di grande e importante.

     Facciamo un piccolo passo indietro di 2700 anni, e andiamo al 720 a.C. Il regno del Sud vive sotto l'incubo dell'invasione degli Assiri, ormai il Regno del Nord è già caduto nel 722 sotto i pesanti colpi inferti dall'Assiria; «A chi toccherà adesso?», si domandava con inquietudine il popolo.

«Toccherà a noi», risponde il profeta Michea, toccherà ad Israele che non pratica più il diritto e la giustizia! «I suoi Capi giudicano per ottenere regalie (3,11); opprimono di deboli (2,1); dice: «Strappate le vesti addosso a chi passa tranquillo… cacciate le donne dalle case… togliete per sempre la gioia ai loro figli. Voi capi e magistrati del popolo: non dovreste occuparvi della giustizia? Ma voi… spellate la gente, anzi le strappate la carne dalle ossa. Voi divorate il mio popolo… lo fate a pezzi… come fosse carne da buttare nella pentola» (2,8-9; 3,1-3).

Michea solo condanna le ingiustizie e tuona contro chi crede di avere pure la protezione di Dio. Molti dicono al profeta: «Zitto, smettila di annunziare che saremo colpiti dal Signore! Chi l'ha detto che sarà così? Sarebbe questo il modo paziente di agire di Dio?» (2,6).

     Il profeta tuona contro quei falsi profeti, ben pagati, che promettono la pace e si fanno scudo con la religione affermando: «Il Signore è con noi, non ci verrà addosso nessun male!» (3,11). E così, Michea annuncia che la sciagura sarà inevitabile perché l'attenzione su se stessi acceca, non permette di scorgere i pericoli, di rendersi conto delle minacce che vengono sottovalutate, rischiando così di scivolare irrimediabilmente.

Il profeta vuole invitare i governanti a rendersi conto del proprio operare e invita a non essere indulgenti con se stessi e le proprie mancanze che causano ingiustizie e malgoverno.

Perciò annuncia che sta per giungere “colui che governerà su Israele”, non un re corrotto che proverrà da famiglie ricche ed influenti, ma verrà da un piccolo clan famigliare, Efrata, che risiede a Betlemme, una città del tutto insignificante, come lo sono i poveri, insignificanti, nascerà in un luogo umile e povero; sarà piccolo, nascosto, eppur grande. Perciò verrà riconosciuto per primo da umili pastori, da gente povera e da stranieri: i Magi.

Il Messia non verrà dalla gloriosa Sion, né da Gerusalemme, non dalla Torre murata o da magnifici palazzi reali, ma da un villaggio privo di importanza: Betlemme, città del pane.

Fin dai tempi antichi Dio scegli i piccoli, come Sara, la moglie di Abramo, sterile e vecchia che dà alla luce Isacco; come Mosè, balbuziente e quindi inadeguato liberare il popolo dagli egiziani; Gedeone, il più piccolo dei figli della famiglia più povera di Manasse, chiamato a salvare Israele (Giudici 6,15); Davide, il più giovane dei suoi fratelli, un pastorello chiamato a diventare re d'Israele (I Sam. 16); il profeta Geremia troppo giovane. Elisabetta, sterile e vecchia, chiamata ad essere la madre di Giovanni battista; Maria che, essendo troppo giovane e neppure sposata, era strumento inadeguato, chiamata a dare alla luce il Figlio di Dio (Luca 1).

     Il profeta Michea afferma che, ancora una volta Dio sceglierà ciò che c'è di più piccolo ed esiguo per essere lo scrigno del re promesso. La mangiatoia dei Vangeli è la logica di Dio, come lo sono i pastori chiamati a diventarne ambasciatori e i messaggeri della lieta notizia di cui sono stati testimoni.

Quel banale bambino, così uguale agli altri bambini, che nasce nella periferia di Betlemme, in una stalla, lontano dai palazzi in cui si esercita il potere, perseguitato dai potenti a cominciare da Erode, è la risposta di Dio alle nostre attese.

     In questa storia sono gli ultimi che diventano protagonisti. Perciò Maria canta: «Il Signore ha buttato giù dai troni i potenti e ha mandato a mani vuote i ricchi» (Luca 1,52-53). Tutti questi "piccoli" sono chiamati a essere coinvolti nel disegno di salvezza di Dio, della sua grazia e del suo amore; sono chiamati al gran banchetto di cui la Cena del Signore di oggi è il segno.

È la logica di Dio che chiama a godere dei suoi doni chi ne è stato privato, che chiama chi non ha meriti e lascia fuori chi ritiene di averne e pretende di ricevere un trattamento speciale.

Questo è il Natale: è l’annuncio della tua liberazione, fratello, sorella, liberazione da ogni potere che ti costringe a vivere nella paura, nell’ombra, nell’ansia, nell’angoscia di ciò che ti minaccia. Natale è l’annuncio dell’amore e della misericordia di Dio verso chi subisce l’odio e il male da parte di chi esercita, impropriamente, un potere. 

     Ecco perché il Dio dell'emarginato, del reietto, del povero e del malato diventa lui stesso povero e reietto in Cristo. Egli decide di diventare come la gente che vuole egli stesso amare; decide di vivere tra la gente affinché il suo amore per tutti sia chiaro e manifesto. Non c'è amore più grande di colui che si pone nella stessa condizione delle persone che ama. È questo che ci ricorda il Natale: che siamo beneficiari immeritevoli dell'amore di Dio.

     Il Natale ci dice che c’è speranza, di fronte a situazioni economiche e politiche instabili; di fronte ad atti violenti e terroristici; di fronte alla guerra e ai conflitti; ci dice che il male e l’odio non hanno l’ultima parola, ma l’amore sì.

     La voce del profeta Michea, oggi grida forte nella coscienza di tutti noi che viviamo a distanza di 2700 anni, ci annuncia che Dio è pronto a instaurare un mondo di giustizia, una liberazione di chi vive l’angoscia e la paura di un presente e un futuro adombrati dall’incertezza e dalle prospettive dubbiose e buie.

Allo stesso tempo il profeta annuncia che il Messia, nato a Betlemme, il liberatore degli oppressi, è anche colui che, a Natale, ci rinnova le sue promesse di pace e giustizia, che la logica di Dio riguarda scelte per noi spiazzanti, perché Egli preferisce la periferia, l’umiltà, la piccolezza.

Sì, Dio è in mezzo a noi per impegnarci nei suoi progetti di vita, di giustizia e di pace. Siamo invitati a mettere a disposizione la nostra piccola esistenza nelle grandi mani di Dio perché, come Sara e Abramo, Gedeone, Davide, Mosè o Elisabetta o Maria, Egli ci chiama, nella nostra inadeguatezza, a essere strumenti della sua opera nel mondo che vuole amare ogni istante, semplicemente attraverso la fede, l’amore, tutti i doni che ci offre, gratuitamente.

Non importa da quale umile luogo tu provenga: colui che viene da un posto insignificante e da una squallida stalla, ti invita a rendere questo mondo più giusto e più umano.

     Buon lavoro fratelli e sorelle, buon lavoro nel luogo e nel tempo in cui darete la vostra disponibilità, perché l’amore di Dio diventi giustizia e pace sulla terra.

Buon Natale! Amen.

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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