Culto domenicale:
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Domenica, 19 Agosto 2018 22:55

Sermone di domenica 19 agosto 2018 (Atti 3,1-10)

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Testo della predicazione: Atti 3,1-10

Mentre Pietro e Giovanni salivano al tempio in occasione della preghiera dell'ora nona, un tale, zoppo dalla nascita, veniva portato lì. Ogni giorno lo ponevano vicino alla porta del tempio detta “Bella”, per chiedere l'elemosina a quelli che entravano nel santuario. Questi, vedendo Pietro e Giovanni sul punto di entrare nel santuario, chiese loro l'elemosina. Allora Pietro, insieme a Giovanni, fissato lo sguardo su di lui, disse: «Guardaci!» Ed egli aspettandosi di ricevere qualcosa da loro, li osservava. Pietro disse: «Non possiedo argento e oro, ma quel che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» Lo prese allora per la mano destra e lo fece alzare. Immediatamente, i suoi piedi e le sue caviglie acquistarono vigore. Con un balzo si mise in piedi e cominciò a camminare. Poi, entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. E tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio. Lo riconoscevano, infatti, come colui che stava seduto a chiedere l'elemosina accanto alla porta "Bella" del tempio, e furono colmi di stupore e di smarrimento per quanto gli era successo.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il centro del racconto che abbiano ascoltato è la parola che Pietro rivolge allo zoppo: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati cammina».

Pietro e Giovanni si recano nel tempio per pregare e, attraversando una delle porte del tempio, incontrano un paralitico, così fin dalla nascita, che chiede l’elemosina. Ma i due apostoli non hanno soldi, non hanno delle monete d’argento o d’oro da dare all’uomo che ha pur bisogno di sopravvivere non potendo lavorare. Non riceve la pensione d’invalidità civile!!!

I due possono passare oltre, far finta di niente, cambiare strada, evitare l’uomo. Non poter aiutare spesso ci fa sentire mancanti. Ma se i due apostoli avessero avuto dei soldi con sé avrebbero potuto assolvere a un loro dovere, come tutti gli altri, e sentirsi sufficientemente buoni e altruisti.

Eppure, tante volte non ci rendiamo conto di quanto smorziamo l’amore, la compassione e la tenerezza quando deleghiamo al denaro, alla nostra offerta o a un regalo anche prezioso, il nostro amore, le nostre attenzioni, i nostri affetti, le nostre cure. In fondo l’elemosina non ci impegna a farci carico dell’altra persona, non ci impegna come persone, come credenti, ma mantiene quella certa distanza per non essere troppo coinvolti in un rapporto, in una relazione che potrebbe sfociare in qualche legame forte.

Pietro e Giovanni si sentono chiamati invece a instaurare un rapporto umano e un vincolo forte di solidarietà.

Rivolgendosi all’uomo gli dicono una parola significativa, centrale nel nostro racconto: «guardaci»: lo sguardo stabilisce un contatto umano e personale che non accade quando si fa l’elemo-sina.

Il mendicante ora è meravigliato, in genere abbassa il capo quando riceve qualcosa, per rispetto o perché si sente umiliato, ma ora, davanti all’imperativo “guardaci” è in attesa: «Cosa accadrò adesso? Dopo che ho rialzato lo sguardo?».  

Pietro e Giovanni non possiedono quel denaro che risponde alle attese immediate del mendicante, ma con la forza e il potere di Gesù, gli apostoli restituiscono l’integrità fisica e la libertà di muoversi e di camminare all’uomo paralitico.

Non solo, ma gli restituiscono anche l’integrità spirituale e religiosa dal momento che quell’uomo non poteva neppure entrare nel tempio a causa della sua menomazione fisica che lo teneva lontano dai luoghi di preghiera e, tanto spesso, da Dio stesso. Certamente qualcuno lo considerava un peccatore dovendo sopportare una punizione così grande.

E la prima cosa che fa lo zoppo guarito è quella di entrare nel tempio per lodare Dio, fa quella cosa che gli era sempre stata negata, fin dalla nascita; qualcosa che non aveva mai potuto fare.

Ecco il vero miracolo: non tanto la mera guarigione fisica, ma la nuova possibilità che ora gli viene offerta.

Questo zoppo è un segno vivente del tempo della grazia di Dio, il segno contenuto nel libro del profeta Isaia che, parlando dei tempi messianici, aveva detto:

«Fortificate le mani infiacchite, rafforzate le ginocchia vacillanti! Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: Siate forti, non temete! Ecco il vostro Dio! Verrà egli stesso a salvarvi. Allora lo zoppo salterà come un cervo…»

Questo brano biblico ci dice che l’intervento di Dio venuto a salvare attraverso Gesù di Nazareth, continua nella storia umana perché egli continua ad essere presente nei gesti dei suoi testimoni, in tutti quei testimoni, di tutte le epoche. La guarigione dell’uomo zoppo è solo un «segno», il segno della nuova speranza che Gesù ha inaugurato: la speranza che la vita umana non ha un destino segnato che ha come prospettiva la morte e la fine inesorabile di tutto, ma la speranza che ogni attimo di vita può avere un senso e un significato profondo.

Tutti i credenti sono invitati a esprimere la loro fede come Pietro e Giovanni che instaurano una relazione con l’uomo zoppo; gli dicono “guardaci” perché non si può restare anonimi come credenti, poi Pietro prende per mano lo zoppo, ha un contatto fisico con lui che suggella quella relazione di testimonianza e di legame d’amore.

In verità è più facile «consumare» subito il miracolo, con voracità, consumare subito il fenomeno del miracolo per chi è in cerca di emozioni religiose, emozioni di cui la gente si nutre avidamente per alimentare la propria fede disimpegnandola da ogni cambiamento a cui allude il miracolo stesso: nulla di più equivoco e distorto.

Il miracolo va al di là di se stesso, i miracoli non suscitano la fede, per questo Gesù diceva sempre alla persona guarita: «La tua fede ti ha salvato» e non «Ora credi». Il miracolo è quel segno che ci fa intraprendere un cammino nuovo, che ci fa guardare avanti, che richiede l’audacia del cambiamento, la libertà di scegliere un nuovo progetto di vita, è la dimensione del dono della grazia di Dio.

Anche noi siamo invitati a non passare oltre offrendo semplicemente un obolo che non impegna, ma a dire come gli apostoli: «Guardaci», a tendere la mano a instaurare nuovi rapporti umani di fraternità, di amore, di solidarietà; a permettere l’integrazione, la collaborazione, l’amicizia.

Questa è la vocazione che i credenti ricevono e per la quale sono chiamati a vivere. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

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