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Domenica, 02 Settembre 2018 15:24

Sermone di domenica 2 settembre 2018 (I Tessalonicesi 1,2-10)

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Testo della predicazione: I Tessalonicesi 1,2-10

Noi ringraziamo sempre Dio per voi tutti, ricordandovi nelle nostre preghiere, rammentando l'opera della vostra fede, la fatica dell'amore e la costanza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo davanti a Dio, nostro Padre. Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti, il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena certezza. Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore, avendo accettato la Parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia dello Spirito Santo, al punto da diventare un esempio per tutti i credenti (…).

Infatti, da voi la Parola del Signore si è sparsa, non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la fama della fede che avete in Dio è giunta in ogni luogo (…). Tutti raccontano (…) del vostro servizio al Dio vivente, nell'attesa del Figlio suo dai cieli e che Egli ha risuscitato dai morti.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’apostolo Paolo ringrazia Dio perché i credenti della chiesa di Tessalonica sono fermi nella fede in Cristo. È stato l’apostolo stesso a fondare quella chiesa con la predicazione del Vangelo, un vangelo annunciato con passione e con piena certezza, come dirà egli stesso. Ora, però, l’apostolo è altrove, e non ha modo di visitare i credenti tessalonicesi per consolidarli ulteriormente nella fede, però, avendo inviato Timoteo, un suo compagno nella predicazione, ha ricevuto buone notizie, senz’altro inattese, che lo riempiono di gioia. Così scrive, con grande riconoscenza, una lettera, quella di cui abbiamo ascoltato la parte iniziale.

L’apostolo afferma di pregare, prega per i credenti che sono vittime di persecuzioni, sofferenze e difficoltà di vario genere, prega perché la fede di questi credenti non vacilli a causa delle prove.

A un certo punto, la preghiera dell’apostolo si trasforma: da preghiera di richiesta diventa una preghiera di ringraziamento. Non ringrazia i credenti per essere fedeli, ma ringrazia Dio che li sostiene e li rende forti nelle prove e nelle difficoltà della vita.

Perciò, i credenti di Tessalonica sono ricordati dall’apostolo Paolo, nelle sue preghiere, per:

  • l’opera della loro fede;
  • la fatica del loro amore;
  • la costanza della loro speranza.

Sono significativi questi termini che ricorreranno molto spesso nelle lettere dell’apostolo. Innanzitutto: la fede, la speranza e l’amore. Poi: l’opera, l’impegno (o la fatica) e la costanza.

È l’amore di Dio che produce in noi la fede che, a sua volta, ci rende capaci di amare. La fede è la consapevolezza di essere amati, di non essere abbandonati, lasciati soli, a noi stessi, alle nostre incapacità, alle nostre fragilità, nelle prove della vita.

La fede è ricevere in dono la capacità di rimetterci nelle mani di Dio; la fede ci rende consapevoli dei nostri limiti e delle nostre debolezze, ma ciò accade nella certezza di poter contare sul sostegno di Dio che ci permette di superare l’impasse delle nostre paure e delle nostre inquietudini per il nostro futuro incerto, per il nostro domani dubbio e confuso. La fede, si fida dell’amore di Dio che ci fa sentire accolti e amati anche quando gli altri ci respingono.

Dunque, la fede costruisce in noi quella speranza che ci permette di non soccombere nella prova, nelle difficoltà, nei dubbi della nostra esistenza, nella sofferenza del nostro dolore. La speranza ci permette di non arrenderci, anzi ci rende gioiosi perché capaci di considerare ciò che veramente conta: piuttosto che sentirci delusi e tristi per ciò che dobbiamo affrontare nella vita, la speranza ci rende gioiosi perché ci scopriamo capaci di aiutare gli altri, il prossimo che incontriamo lungo il nostro cammino: alle volte solo con un sorriso, o con una stretta di mano, un abbraccio, una parola di conforto, o con la nostra professionalità, il nostro impegno nel nostro lavoro che  svolgiamo con passione, come un servizio rivolto agli altri come accade per il personale in questa Casa. A tutti coloro che svolgono il loro impegnano con passione e amore l’apostolo Paolo, dirà: «Non siate tristi come quelli che non hanno speranza» (Tess. 4,13) perché la vostra opera, il vostro impegno e la vostra costanza, frutto della fede, dell’amore e della speranza, danno un senso pieno e un vero arricchimento a ciò che siete e a ciò che fate, dà valore, qualità, virtù a tutte le vostre attività.   

Dunque, potremmo dire che la speranza ridona dignità alle persone: a chi la offre e a chi la riceve con il proprio impegno, la propria fatica, la propria costanza. La speranza ci permette di fare progetti, di sognare, di costruire un futuro nuovo, la speranza ci proietta in avanti verso un domani migliore. Un persona che non fa progetti, che non sogna, che non vede un futuro davanti a sé, è una persona senza speranza.

Così una chiesa che non guarda avanti, ma che è nostalgica dei tempi passati e là si ferma senza permettere cambiamenti, trasformazioni per proseguire con progetti sempre innovativi verso un futuro che le sta davanti, è una chiesa triste che ha smarrito la speranza, che vive solo la dimensione di una fede ormai tramontata.

Ma questo vale per la vita di tutti, di singoli, di famiglie, di società umana, di comunità religiose.

Fede, amore e speranza, sono per l’apostolo un dono del Signore che esige una risposta da noi, e cioè l’opera, l’impegno e la costanza. Dio ci offre la possibilità di andare incontro alla vita con gioia e speranza, per noi e per gli altri. Dio ci offre qualcosa che ci impegna ad agire in modo concreto, attraverso la nostra opera, il nostro impegno, laborioso, responsabile che, con costanza e tenacia, ci permette di affrontare la nostre giornate, la nostra quotidianità, e ci proietta verso un futuro ricco di benedizione.

Concludendo, vorrei spostare ora il perno della nostra riflessione su noi che viviamo in questa società umana piena di messaggi contraddittori che confondono e non permettono di riflettere lucidamente con l’intelligenza, ma spesso si risponde con la pancia, non col cuore.

Come l’apostolo Paolo, tante volte, io stesso prego per voi: per l’opera della vostra fede, per le fatiche del vostro amore e per la costanza della vostra speranza. Perché so bene che si può perdere il senso dell’orientamento in una realtà come quella in cui viviamo oggi con problemi di economia, di occupazione, di lavoro, di emigrazione, di convivenza. Oggi si parla in termini di: “prima gli italiani, prima la sicurezza, cuori aperti e respingimenti, 500 mila rimpatri nei paesi di origine”, dove la gente è fuggita per non morire di guerra, di odio, di povertà, di autoritarismi, paesi di origine sfruttati e depauperati da quei paesi che li respingono.

L’apostolo ci chiede di vivere nella speranza, ma vivere nella speranza significa innanzitutto dare speranza agli altri, a chi non ha più perché non vede più un domani per sé.

Vi invito perciò a leggere il Manifesto dell’accoglienza scritto dal Consiglio della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e accolto dal Sinodo valdese che si è appena concluso a Torre Pellice. Ci sono diversi pieghevoli che potete prendere oppure scaricarlo dal Sito della Federazione delle chiese evangeliche in Italia: www.fcei.it.

Avere una prospettiva davanti a sé, significa permetterla anche agli altri, condividerla, è la logica di Dio che ci offre la fede, la speranza e l’amore che ci impegnano nella fatica, nell’opera e nella costanza. Risiede qui il nostro futuro, nella condivisione dei doni di Dio. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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