Culto domenicale:
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Domenica, 09 Settembre 2018 15:26

Sermone di domenica 9 settembre 2018 (Galati 5,25 - 6,10)

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Testo della predicazione: Galati 5,22. 23. 25; 6,1-2. 7-10 – 22

Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, generosità, fiducia. 23 Contro queste cose non c’è legge. 25 Se viviamo nello Spirito, con lo Spirito siamo concordi. 6,1 Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche trasgressione, voi rialzatelo con spirito di mansuetudine. Vigila su te stesso, perché anche tu non sia messo alla prova. 2 Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo. 7 Non vi ingannate! Dio non si fa prendere in giro. Ciò che uno semina, anche raccoglierà, perché chi semina per la propria carne, raccoglierà rovina; chi semina per lo Spirito, dallo Spirito mieterà vita eterna. Non stanchiamoci di fare il bene. L momento opportuno, infatti, se non ci saremo stancati, mieteremo. Ora, dunque, dato che ne abbiamo l’occasione, facciamo del bene a tutti.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, di questo brano mi ha molto colpito la frase: «Portate i pesi gli uni degli altri». Com’è possibile portarli? Se penso a chi nel mondo ha fame o sete, o è perseguitato a motivo delle sue convinzioni religiose o politiche o perché è omosessuale o disabile; mi sono apparse le immagini di chi attraversa i mari, che diventano spesso la loro tomba, per cercare una vita dignitosa, lontano da guerre, conflitti, ingiustizie, precarietà, vessazioni. Ma senza andare così lontano mi sono apparse le immagini delle tante persone, vicine a noi, senza un lavoro, o dei poveri che bussano alla porta della chiesa per chiedere una borsa della spesa. Ho visto le tante persone accanto a me che percorrono una strada di dolore, di sofferenza, di disperazione, di inquietudine.

Ho pensato che è davvero difficile portare questi pesi, i pesi dei tanti fratelli e delle tante sorelle della comunità umana.

Eppure, per l’apostolo Paolo questa è una condizione per essere credenti autentici. Senza paura e senza reticenze afferma: «Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo».

Non si tratta di un suo consiglio, ma del modo di mettere in pratica la legge di Cristo.

Ma qual è la legge di Cristo? Per Paolo è la legge dell'amore.

Però questa frase va in conflitto con se stessa, perché l'amore non può essere una legge, l’amore non ha regole da osservare per essere applicato, l'amore è senza confini, senza paletti di contenimento, l'amore parte dalla constatazione che siamo liberi.

Gesù dice che nell’amore si adempie tutta la legge di Mosè e anche ciò che dissero i profeti. Dunque, l’apostolo per "legge dell'amore" intende contrapporre alla "legge" fondata su precetti e ordinamenti a cui bisogna ubbidire ciecamente, l'amore che, invece, è fondato sulla libertà.

Si è cioè liberi di amare, perché amare non può essere una costrizione, un obbligo, ma è una libertà. Diceva Sant’Agostino con una frase che divenne poi celebre: «Ama e fa ciò che vuoi».

Ma cos’è l’amore? È sicuro che intendiamo tutti la stessa cosa? A parte il fatto che ci sono diversi casi in cui manifestiamo l’amore: verso i nostri figli, verso i nostri genitori, verso il nostro partner, i nostri amici, le persone cui vogliamo bene e da loro siamo ricambiati. Tuttavia si tratta di livelli diversi di amore.

Per l’apostolo Paolo, l’amore non è un sentimento di bontà, ma un donarsi all’altro, all’altra, senza riserve e senza chiedere nulla in cambio. L’amore è movimento non staticità: è andare incontro all’altro, al fratello, alla sorella; è condividere la sua vita, la mia vita, la nostra vita; e condividere la propria vita e quella degli altri significa «portare i pesi gli uni degli altri», prestare loro attenzione, sopportare le debolezze degli altri, prendere su di sé il peso della fragilità degli altri.

Ma chi sono gli altri con i quali sono chiamato a portare i pesi? Ecco una storia che ci può aiutare a capire meglio:

Un giorno un rabbino domandò ai suoi studenti: «Come si fa a dire che la notte è finita e il giorno sta ritornando?». Uno studente suggerì: «Quando si può vedere chiaramente che l’animale, a una certa distanza, è un leone e non un leopardo!». Un altro disse: «Quando si può dire che un albero produce fichi e non pesche!». «No», disse il rabbino. «È quando si può guardare il volto di un altro e vedere che quella donna, quell’uomo, è tua sorella o tuo fratello. Poiché fino a quando non sarete in grado di fare questo, non importa che ora del giorno sia, è ancora notte».

(S.D. Sammon Religious life in America – Losungen 24-09-2006).

 

     «Portate i pesi gli uni degli altri» significa saper vedere, nel buio della notte, l’altro/a; significa partecipare al buio del suo cuore e della sua esistenza; significa riconoscere il suo peso, il suo fardello, e non lasciarlo solo, ma accompagnarlo. Sono chiamato dall’amore di Dio a preoccuparmi di ciò che accade attorno a me, a non disinteressarmi perché ho altro da fare o perché sono troppo stanco. Sono chiamato ad avere a cuore le sorti di chi mi sta vicimo, ma anche di chi mi sta lontano, le sorti della nostra umanità, tutta.

Portare i pesi gli uni degli altri significa che c’è qualcosa che lega me a te e, insieme, ci lega agli altri; significa che non ci sono confini e frontiere, limiti e barriere, ma ponti, viadotti, collegamenti che l’amore costruisce, perché questo fa l’amore: unisce. Questo è il progetto di Dio per l’umanità.

Ecco la legge di Cristo: l’amore di Dio ci rende capaci di amare e crea vincoli, legami, rapporti nuovi, relazioni; crea la nostra disponibilità a condividere quello che siamo e quello che abbiamo.

«Portare i pesi degli altri» è un fatto reciproco, non unilaterale, perché uno solo di noi non potrà certo portare il peso di tutto il mondo, ma significa permettere di riconoscere e incontrare chi porta un peso difficile, accoglierlo nel cuore e nell’anima per essere con lui/lei solidale. Significa: rispetto, tolleranza, dialogo, libertà, attenzione, farsi dono, umanità, ascolto dell’altro, abbraccio. Il contrario è: giudizio, esclusione, respingimento.

Ecco, questo l’amore di Dio. Non dobbiamo neppure faticare, ma lasciare che abbia il suo spazio nella nostra anima.

L'apostolo Paolo ci dice che nessuno deve essere lasciato solo, e che qui si esprime il senso della chiesa, della comunità dei credenti, una chiesa che si fa accogliente e solidale, piuttosto che giudice e carnefice. La chiesa esiste perché ha una missione da compiere, quella di essere un luogo di condivisione di ognuno con le proprie peculiarità e diversità, il luogo in cui può avvenire la riconciliazione, nonostante le multiformità di culture, di pensiero, di spiritualità.

Quando la chiesa esclude i diversi, tradisce la sua vocazione, ha smesso di amare e di portare i pesi gli uni degli altri.

L’amore, invece, riconosce sempre l’altro come un fratello, l’altra come una sorella con cui condividere la propria storia, la vita, le sofferenze, le gioie. Portare i pesi del mondo, di chi muore a motivo della fame o di chi attraversa i mari per fuggire dalla guerra o da violenze sociali e politiche, o alla povertà estrema, può significare partecipare alla lotta per la fame nel mondo, partecipare affinché siano riconosciuti i diritti di persone costrette a lasciare tutti i loro affetti perché vittime di egoismo e odio. Se non ci saremo su questa scena, continueremo a ritenere difficile applicare Parola di Dio, ma se ci saremo, avremo cominciato a portare i pesi degli altri. AMEN!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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