Culto domenicale:
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Martedì, 04 Giugno 2019 00:17

Sermone di domenica 2 giugno 2019 (Efesini 3,14-21)

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Testo della predicazione: Efesini 3,14-21

«Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il nostro brano è una sintesi di quello che può essere la vita dei cristiani. L’autore esprime, in poche parole, un’esperienza con Dio che ha segnato la sua vita. La vera fede è vivere in comunione d’amore fraterna, reciprocamente, e con Dio. «Io piego le mie ginocchia», significa: «rivolgo a Dio la mia preghiera chiedendogli che il vostro essere credenti non sia formale, non sia solo un nome scritto su un registro di membri di chiesa, ma forti nell’animo per vivere la fede cristiana con coerenza, senza paura di ritorsioni, di ricatti, di rassegnazione al male, all’ingiustizia sociale».

L’autore biblico rivolge la sua preghiera a Dio affinché il Vangelo di Cristo e il suo messaggio sia davvero il fondamento dei credenti della chiesa di Efeso, e oggi lo dice a noi, credenti della chiesa di Luserna San Giovanni.

Riflettendoci bene, il fatto di ritenersi credenti cristiani implica già l’esperienza con Cristo, l’esperienza della sua bontà, del suo amore, dopo avere dato se stesso per tutti, sulla croce. Eppure l’apostolo deve pregare affinché i credenti siano credenti convinti, coerenti, che sappiano davvero chi è Colui in cui hanno creduto. «Io prego affinché Cristo abiti nei vostri cuori» si potrebbe tradurre anche così: «Prego affinché nessun cristiano si vergogni della propria fede, nessun cristiano si vergogni di parlare di Gesù, che è il fondamento della sua vita, lo scopo, l’obiettivo, il senso. Prego affinché possiate essere testimoni del suo amore con le vostre parole, con la vostra stessa vita e con le vostre opere».

Non sono scontate le parole che l’apostolo rivolge ai credenti: «Cristo abiti nei vostri cuori», lo dice perché ciò non accade, perché non è sempre ovvio vivere la fede in modo aperto, condivisa, nella dimensione fraterna, comunitaria. Spesso la si vive in modo riservato, intimamente, privato. Ma l’apostolo non concorda con questa visione del cristianesimo. Per l’autore biblico, vivere la fede in Cristo è come quando ti sposi o come quando ti nasce un figlio: lo racconti a tutti, non riesci a trattenere la gioia, hai bisogno di condividerla con chiunque, perfino con gli estranei. La gioia della fede non si può trattenere, va condivisa.

Ma l’apostolo, va ancora avanti, e prega affinché i credenti non siano solo annunciatori di qualcosa che li trascende e che vivono da lontano, ma siamo anche testimoni di qualcosa che hanno vissuto e di cui ne hanno fatto l’esperienza: si tratta dell’amore di Dio. L’autore biblico prega affinché i credenti siano «radicati nell’amore», un amore che puoi vivere nuovo e in modo diverso ogni giorno, in tutta la sua profondità, lunghezza, larghezza e altezza. Sono le diverse e forme in cui si esprime e può essere vissuto l’amore di Dio.
Chi scrive paragona la comunità dei credenti alla famiglia. Così, come nella famiglia c’è un padre, altresì nella chiesa vi è un Padre e questo ci permette di riconoscerci come figli e quindi come fratelli e sorelle. In effetti, possiamo riconoscere che l’esperienza dell’amore comincia all’interno della propria famiglia, con l’amore dei genitori verso i figli e tra fratelli e sorelle. Le prime esperienze di rapporti umani cominciano qui. Nella famiglia i rapporti sono intensi, articolati, ravvicinati e possono causare conflitti, scontri, incomprensioni. Ma pure l’amore per i figli e dei genitori diventa determinante per la pace della famiglia.
Così è nella chiesa, il luogo non dove non accadono i conflitti, ma dove si discute, ci si confronta, si dialoga e si persegue un obiettivo comune che l’amore pone davanti a noi.

Essere «radicati nell’amore di Cristo» ha delle conseguenze, ha delle ripercussioni: l’agire, il fare. L’autore biblico spiega che la conoscenza dell’amore è più alta di ogni sapienza. Forse perché amare è un fatto della vita concreto, è un “essere” che “agisce”, si muove, vive e si nutre di relazioni e rapporti umani che costruiscono la sua vita e la sua storia.

Nella Bibbia non vi si trova la definizione di “amore”, quello, cioè, che l’amore è; ma vi si trova quello che l’amore produce, i suoi effetti, i suoi risultati. L’amore è un dono, si dà quello di cui si è ricchi. Donare sé stessi al prossimo è la più grande espressione dell’amore.

L’amore non è un semplice volersi bene, non è una storia romantica, ma farsi dono all’altro, all’altra, come ha fatto Gesù per tutti noi. È donando che si riceve e ci si sente traboccanti di vita.
Eric Fromm nel suo libro “L’arte di amare” si esprime così: «Chiunque sia capace di dare se stesso è ricco».

Ai credenti è dato di essere radicati nell’amore, anzi è qualcosa che li distingue dagli altri, perché i credenti sono chiamati a vivere nella prospettiva e nella dimensione del dono di Dio, della gratuità, del perdono, della condivisione, della solidarietà, della legalità, della giustizia, della pace, anche là dove è difficile.

L’amore si radica in noi quando ci sentiamo chiamati a rivendicare i diritti non per noi stessi, ma per tutti. L’amore si radica in noi, non solo quando ci indigniamo davanti all’ingiustizia e alla disumanità, ma quando agiamo opponendoci ad esse perché finiscano, quando agiamo esprimendo solidarietà nei confronti degli ultimi, dei profughi, degli immigrati che vivono il disagio della lacerazione della propria famiglia divisa a motivo dell’indigenza e della povertà. L’amore non è fatto di parole, è sì preceduto dalle parole a cui seguono gesti concreti, verso tutti, non solo verso quelli vicino a noi che stanno male, ma anche verso quelli che sono lontano e stanno anche peggio.

Il credente biblico ci riferisce che si inginocchia per pregare per noi affinché siamo «radicati nell’amore di Cristo»: sì, è necessaria la preghiera per ricevere quella forza necessaria per alzarci e manifestare tutto quell’amore che è radicato nei credenti; quando riusciamo ad alzarci allora accadono miracoli: i poveri sono accolti, i malati guariti, le ferite dell’anima sanate, la giustizia comincia a inspessirsi e a dare un senso alla vita sociale della città, la pace comincia a farsi strada e non è più vista come qualcosa di impossibile. La speranza rinasce!

È così, l’amore ci impegna, sempre!

Nel momento in cui ci si scopre amati, allora ci sentiamo spinti ad amare, a dare ciò di cui siamo ricchi, ne diventiamo capaci perché l’amore rende ricchi coloro che offrono gratuitamente ciò che hanno. Dunque, la nostra preghiera a Dio sia quella di renderci forti d’animo e coraggiosi per poter esprimere pienamente l’amore di Dio di cui il mondo di oggi ha tanto bisogno. Amen!

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Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

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