Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti
Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50
Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50
Archivio dei sermoni domenicali
Testo della predicazione: Giovanni 7,37-39
Nell'ultimo giorno della festa, il più solenne, Gesù si alzò ed esclamò a voce alta: «Se uno ha sete si avvicini a me, e chi ha fede in me beva! Come dice la Scrittura: da lui sgorgheranno fiumi d'acqua viva». Gesù diceva questo, pensando allo Spirito di Dio che i credenti avrebbero poi ricevuto. A quel tempo lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato innalzato alla gloria.
Sermone
Cari fratelli e sorelle, il breve discorso di Gesù relativo ai fiumi d'acqua viva si inquadra nell'ambito della Festa ebraica delle Capanne che ricordava al popolo d'Israele il periodo in cui aveva vagato a lungo nel deserto, prima di raggiungere la terra promessa, dopo che Dio li aveva fatti uscire dal paese della schiavitù: l'Egitto. Perciò, la gente costruiva delle capanne con canne e rami di alberi, e vi abitava per ricordare, con gratitudine, che il paese in cui abitavano era quello che Dio aveva donato loro dopo averlo promesso ad Abramo e prima ancora che fossero erranti nel deserto.
Non solo, ma la Festa delle capanne indicava anche il trionfo di Dio, per questo il profeta Zaccaria descrive il re Messia che giunge a Gerusalemme vittorioso (12,10) per la festa delle Capanne, in quel giorno il Signore farà zampillare una sorgente per purificare Gerusalemme (13,1), la Festa delle Capanne, quindi, portava anche il messaggio della venuta del Messia.
L'acqua era un simbolo importante della Festa delle Capanne: se durante la settimana della festa pioveva, questo significava “piogge abbondanti” per i campi e le messi. Ancora oggi gli arabi della Giordania, guardano se piove durante la celebrazione della Festa delle Capanne in Israele come segno del tempo che farà.
In ciascuna delle sette mattine della Festa, una processione scendeva alla fonte di Gihon sul fianco della collina del Tempio, qui un sacerdote riempiva d'acqua una brocca d'oro, mentre il popolo ripeteva in coro il versetto di Isaia (12,3) che dice: «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza»; poi la processione saliva al Tempio attraverso la porta dell'Acqua e le persone portavano in mano i simboli della festa: nella mano destra il lulab una fascio di ramoscelli di mirto e salice legati con una palma (i rami usati per costruire le capanne dentro cui abitavano gli israeliti durante i sette giorni della Festa) e nella mano sinistra l'ethrog, un limone, segno del raccolto. Anche qui, in questa fase della Festa si cantavano i Salmi da 113 a 118: «Quando Israele uscì dall'Egitto… i monti saltellarono come montoni e i colli come agnelli. Trema o terra alla presenza del Signore che mutò la roccia in lago, il macigno in una sorgente d'acqua (114). Celebrate il Signore perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno».
Testo della predicazione: Matteo 21,14-17
Nel Tempio si avvicinarono a Gesù alcuni ciechi e zoppi, ed egli li guarì. I capi dei sacerdoti e i maestri della Legge videro le cose straordinarie che aveva fatto e sentirono i bambini che gridavano: "Osanna al Figlio di Davide!" e si sdegnarono. Dissero a Gesù: «Ma non senti che cosa dicono?» Gesù rispose: «Sì, sento. Ma voi non avete mai letto nella Bibbia queste parole: Dalla bocca dei fanciulli e dei bambini ti sei procurata una lode?» Poi li lasciò e se ne andò via; uscì dalla città e passò la notte a Betània.
Sermone
Nel tempio di Gerusalemme, alcuni bambini gridano, osannano Gesù, sono solo dei bimbi, per l’epoca non contano nulla, tuttavia, per Matteo si tratta di un fatto importante da raccontare perché rappresenta la lode a Dio da parte degli ultimi, di chi non ha voce, di chi non vale niente, è il canto dei deboli che rende testimonianza alla regalità di Cristo.
Tutto aveva avuto inizio dalla guarigione di alcuni ciechi e zoppi che accorrevano da Gesù: Sì, perché Gesù è colui che dona una speranza a chi aveva davanti a sé il buio e la fine.
È una immagine splendida quella di Matteo che ci mostra un Gesù chino per guarire gli zoppi e far vedere ai ciechi, perché è contrapposta a quella dei sovrani della terra che dimostrano il loro potere con la forza e la violenza.
Gesù dimostra il suo potere donando la vita, non togliendola agli altri, liberando gli ultimi e i malati da un destino crudele.
Tuttavia, Gesù non si propone come il più grande guaritore di tutte le epoche, il taumaturgo dalle guarigioni spettacolari e sbalorditive. È vero, la gente vuole vedere questo, il gesto magico che incanta con il suo mistero, ma Gesù non dà nessuno spettacolo, non cela alcun mistero, ma il messaggio più importante di tutta la storia umana: è possibile sperare, è possibile ricevere liberazione, è possibile la riconciliazione con il prossimo, il perdono, l’incontro con gli altri senza più paure, la fraternità: tutto questo in un mondo di violenza, morte e distruzione.
I miracoli di Gesù non mirano a suscitare la fede, la fede non può fondarsi su un segno miracoloso perché è un dono di Dio.
Testo della predicazione: Giovanni 16,16-23a
«Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete [perché vado al Padre]». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra di loro: «Che cos'è questo che ci dice: "Tra poco non mi vedrete più"; e: "Tra un altro poco mi vedrete"; e: "Perché vado al Padre"?». Dicevano dunque: «Che cos'è questo "tra poco" che egli dice? Noi non sappiamo quello che egli voglia dire». Gesù comprese che volevano interrogarlo, e disse loro: «Voi vi domandate l'un l'altro che cosa significano quelle mie parole: "Tra poco non mi vedrete più", e: "Tra un altro poco mi vedrete"? In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia. La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana. Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia. In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, Gesù annuncia la sua morte, ma anche la sua risurrezione. Annuncia il sopravvento della morte che però sarà sconfitta con la morte stessa. Una sorta di autodistruzione, di auto-goal. La vittoria della morte, la croce, diventa vittoria sulla morte. Perché la morte della morte genera la vita.
Questo è accaduto sulla croce: Dio ha risuscitato Gesù, e la sua risurrezione, il suo tornare in vita, diventa vita per tutti: è speranza contro il sopravvento del male, dell’abisso, del nulla, dell’annientamento. Dunque, la risurrezione è la fine della paura, delle nostre angosce ancestrali; la fine del dolore, della sofferenza, della tristezza; la fine delle lacrime. Per questo Gesù dice: «La vostra tristezza sarà cambiata in gioia». Gesù parla della sua risurrezione che cambia la nostra vita di oggi rendendola gioiosa.
Intanto, però, Gesù annuncia la sua morte, la sua partenza, che, per i discepoli, è l’infrangersi di tutte le speranze, il commiato dal sogno che aveva reso possibile il loro essere uniti nell’annuncio che era davvero possibile che l’umanità intera cambiasse. Forse poteva sembrare un’utopia, ma Gesù con i suoi segni e il suo messaggio, la rendeva sempre più concreta quella realtà dove tutti avevano il loro posto, nessuno era allontanato, discriminato, aggredito perché malato, straniero, povero, diverso, donna o bambino reputati gli ultimi. Tutto ciò diventava sempre più vero, più concreto, realizzabile.
Il sogno cominciava a diventare realtà e proprio quando questo sarebbe accaduto in breve, Gesù annuncia il contrario, la fine di tutto. La sua morte, era anche la morte del sogno? Per i discepoli, sì, lo era. Sì, perché su Gesù erano rivolti i loro occhi, riposte le risposte alle loro domande, ma anche il cuore, la mente, i sentimenti e le trepidazioni.
«Tra poco non mi vedrete più… e voi piangerete».
Che annuncio agghiacciante, tremendo!
Testo della predicazione: Giovanni 21,3-14
Simon Pietro disse: "Io vado a pescare". Gli altri risposero: "Veniamo anche noi". Uscirono e salirono sulla barca. Ma quella notte non presero nulla. Era già mattina, quando Gesù si presentò sulla spiaggia, ma i discepoli non sapevano che era lui. Allora Gesù disse: "Avete qualcosa da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora Gesù disse: "Gettate la rete dal lato destro della barca, e troverete pesce". I discepoli calarono la rete. Quando cercarono di tirarla su non ci riuscivano per la gran quantità di pesci che conteneva. Allora il discepolo prediletto di Gesù disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, udito che era il Signore, si legò la tunica intorno ai fianchi (perché non aveva altro addosso) e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece accostarono a riva con la barca, trascinando la rete con i pesci, perché erano lontani da terra un centinaio di metri. Quando scesero dalla barca, videro un fuocherello di carboni con sopra alcuni pesci. C'era anche pane. Gesù disse loro: "Portate qui un po' del pesce che avete preso ora". Simon Pietro salì sulla barca e trascinò a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci. Erano molto grossi, ma la rete non s'era strappata.
Gesù disse loro: "Venite a far colazione". Ma nessuno dei discepoli aveva il coraggio di domandargli: "Chi sei?" Avevano capito che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo distribuì; poi distribuì anche il pesce. Era la terza volta che Gesù si faceva vedere ai discepoli da quando era tornato dalla morte alla vita.
Testo della predicazione: Matteo 28,1-10
Dopo il sabato, verso l'alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l'altra Maria andarono a vedere il sepolcro. Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e vi sedette sopra. Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste bianca come neve. E, per lo spavento che ne ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte. Ma l'angelo si rivolse alle donne e disse: «Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso. Egli non è qui, perché è risuscitato come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. E andate presto a dire ai suoi discepoli: "Egli è risuscitato dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete". Ecco, ve l'ho detto». E quelle se ne andarono in fretta dal sepolcro con spavento e grande gioia e corsero ad annunciarlo ai suoi discepoli. Quand'ecco, Gesù si fece loro incontro, dicendo: «Vi saluto!» Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e l'adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, le donne vanno al sepolcro dove è custodito il corpo di Gesù, morto da tre giorni, vanno per ispezionare il sepolcro e assicurarsi che Gesù sia davvero morto.
Nel vangelo è raccontato che la tomba è vuota: un angelo rotola la pietra e vi si siede sopra e dice alle donne: «Non temete, Gesù che è stato crocifisso e che voi cercate non è qui perché è risuscitato».
L’angelo si siede sulla pietra rotolata. Il messaggio è chiaro, significa che la risurrezione di Gesù è definitiva, è per tutte le epoche, per tutte le persone di ogni del globo.
Le donne saranno pure spaventate, sì, ma le guardie svengono: quando si dice delle donne “il sesso debole”. A loro l’angelo dice: «Non temete». La stessa parola detta ai pastori quando Gesù nasce a Betlemme.
Questo racconto non vuole raccontarci un miracolo spettacolare come quello di una risurrezione, ma rivelarci il senso della croce di Cristo per noi.
Alle donne è data una missione: andate e dite che Gesù è risuscitato. Ora i discepoli possono finalmente capire che la morte di Gesù non è stata una tragedia che ha annullato le loro speranze e distrutto il futuro!
Testo della predicazione: Giovanni 13,1-15
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell'acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto. Si avvicinò dunque a Simon Pietro, il quale gli disse: «Tu, Signore, lavare i piedi a me?» Gesù gli rispose: «Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo». Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!». Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». E Simon Pietro: «Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!». Gesù gli disse: «Chi è lavato tutto, non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è purificato tutto quanto; e voi siete purificati, ma non tutti». Perché sapeva chi era colui che lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete netti». Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: «Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io.
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, questo gesto di Gesù ha un significato profondo: la lavanda dei piedi dei discepoli è un gesto semplice e umile, ma carico di una forza dirompente.
Questo brano rappresenta il passaggio di Gesù dalla sua morte alla sua risurrezione. Gesù «depone» e «riprende» le sue vesti, prima e dopo la lavanda, come «depone» e «riprende» la sua vita.
Ecco, Gesù vuole insegnarci che Dio viene a noi e ci offre la salvezza nell’abbassamento e nell’immagine del servo. Pietro, ma anche gli altri discepoli, non capisce, non può comprendere, perché il gesto di Gesù non è nella logica umana: Dio si abbassa, diventa servo e vive la passione e la morte.
Questo non è ovvio!
Perciò Gesù risponde a Pietro: «Se non ti laverò, non avrai parte con me!». È chiara la strada che il Messia deve percorrere, ma Gesù coinvolge in quella strada anche i suoi.
«Non avrai parte con me!». Per far parte del Regno, Pietro deve accettare di accompagnare il Signore sulla strada della passione. Ma Pietro non è pronto. Non è questo il Messia in cui credeva.
La lavanda dei piedi indica l’umile servizio che non si ferma neppure davanti a una croce, al sacrificio di sé. Il nostro destino è quello di essere testimoni di un Maestro che dà la sua vita per amore dei suoi, che chiama amici. Essere testimoni significa percorrere la strada del Maestro, fino in fondo, fino alla croce.
Pietro gli dice: «lavami dalla testa ai piedi», ma Gesù fa capire che non è il rito che ti permette di vivere il messaggio di Cristo: basta un segno, un piede o due, o anche meno, l’importante è che tu capisca la necessità di essere coinvolto nell’evento della croce di Cristo.
È necessario essere lavati da Gesù per essere parteci, così ci è chiesto di fare lo stesso anche tra noi, per vivere la comunione, il legame che Dio stesso instaura tra noi, chiesa sua.
Gesù pone le basi per il fondamento della comunità dei credenti: «Vi ho dato un esempio affinché anche voi facciate come io vi ho fatto».
Testo della predicazione: 1 Pietro 1,3-5
Che gran Dio è il nostro! E come siamo fortunati ad avere lui come Dio, il padre del nostro Signore Gesù. Poiché Gesù è stato risuscitato dalla morte, a noi è stata donata una vita completamente nuova, abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere, compreso un futuro in cielo, e questo futuro comincia adesso! Dio veglia attentamente, su di noi e sul domani. Viene il giorno in cui avrete una vita totalmente sana e piena. (Traduzione da: The Bible in contemporary english)
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera di Pietro scrive ad alcune comunità cristiane dell’Asia Minore alla fine del primo secolo, quando, dopo un periodo iniziale di consensi ed entusiasmo per la fede cristiana, i credenti, durante il governo dell’imperatore Domiziano, cominciarono a subire dure prove e persecuzioni. Fu un periodo successivo a quello di Nerone che, però, limitò le sue persecuzioni contro i cristiani solo a Roma.
I credenti dell’epoca che leggono questa lettera vivono il forte disagio dell’incertezza del domani, dell’insicurezza, della sofferenza, della discriminazione, tutto a causa di pregiudizi e intolleranze.
Perciò, chi scrive sa bene che sulla terra la vita può essere costellata di difficoltà, prove, sofferenze e che ci sono tanti buoni motivi per essere tristi.
E tuttavia egli esplode in un canto entusiasta che dice: «Che gran Dio è il nostro, come siamo fortunati ad avere lui come Dio», piuttosto che Zeus o un altro Dio dell’Olimpo che ti soggioga e sottomette alla sua inesorabile volontà. Il nostro Dio, ci dice il brano biblico, invece è il Padre di Gesù che è morto per noi.
Quale altro dio darebbe la sua vita per noi. Semmai è il contrario, perché sono gli dèi che chiedono di dare a loro la nostra vita: che si tratti del dio Mammona (il denaro) o del dio potere: essi esigono asservimento e sudditanza.
La morte di Gesù e la sua risurrezione, invece, ci hanno permesso di ricevere una vita completamente nuova. Il nostro è cioè un Dio che viene per farci vivere non una vita qualunque, ma una vita nuova, cioè una vita piena, sana, che ha un senso, uno scopo per il quale vale davvero la pena vivere.
Testo della predicazione: II Corinzi 4,16-18
«Noi non ci scoraggiamo ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne».
Sermone
Cari fratelli e sorelle, si tratta di una riflessione sul senso della vita e della morte quella che l’apostolo Paolo ci propone nel brano che abbiamo ascoltato. Egli considera la debolezza dei credenti, le difficoltà reali, fisiche, che riguardano persecuzioni, l’intolleranza e discriminazione nei confronti dei credenti dell’epoca.
L’apostolo cerca di dare coraggio a quei credenti che vivevano in quelle situazioni di così grande disagio, egli stesso vive quelle difficoltà a motivo della sua predicazione del Vangelo, conosce, dunque, la sofferenza ed è perfettamente consapevole del peso delle sue affermazioni.
L’apostolo prende in esame la fragilità della vita umana e la mette in contrasto con Colui che è “fonte della vita”, Dio, egli illumina di una forte luce l’interno della nostra esistenza che, a dispetto di ogni sofferenza, dolore e debolezza, acquista un valore nuovo e autentico che le conferisce forza e dignità.
Dio permette di vedere in modo diverso la nostra fragilità, e lo fa attraverso la fede che ci offre in dono. La fede relativizza le difficoltà che incontriamo, esse diventano piccole, relativizza il senso di paura e tristezza che prima predominava come una montagna minacciosa davanti a noi, diventa una pietruzza, un sassolino lungo il nostro cammino.
Per l’apostolo, la fede permette di dare il giusto peso agli eventi che ogni giorno ci accadono, ci incoraggia a non ingigantirli, ma neppure a sottovalutarli, e ci invita a ricordare che Dio è davvero presente e ci accompagna, non solo dentro la nostra immaginazione o il nostro desiderio, ma concretamente.
Ogni giorno, da quando ci svegliamo fino a quando torniamo a dormire, Dio è accanto a noi, che cammina con noi e che ci sorregge con il suo amore.
Testo della predicazione: Efesini 5,8b-14
Voi siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce - poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - esaminando che cosa sia gradito al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce. Per questo è detto: «Risvègliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce».
Sermone
Cari fratelli e sorelle, il testo biblico della lettera agli efesini è stato scritto per far riflettere i credenti: si parla della svolta della loro vita, la conversione, si parla di quello che erano e di quello che sono.
Ma di che si tratta? Cos'erano i credenti prima di credere? E che senso può avere che diventino qualcos'altro?
L'autore della lettera agli efesini ha le idee chiare; sostiene che la natura dell'essere umano è quella di vivere nelle tenebre, nella prigione della sua umanità, all'interno delle sue contraddizioni, dei suoi limiti, della sua parzialità. Per natura non riesce ad andare al di là di se stesso e il fatto di volersi riscattare da questa condizione con le proprie forze non fa che peggiorare il suo stato: è come dimenarsi per liberarsi mentre si affonda di più.
L'orgoglio di considerarsi capace e adeguato allo scopo non fa che accentuare questa sua contraddizione. È come se un cieco avesse la pretesa di dirigersi, da solo, in modo disinvolto, alla conquista del mondo. Ebbene, questo è l'essere umano secondo la Bibbia: un essere che da solo non può riscattarsi dalla sua condizione di peccato.
Dunque, emerge chiara la necessità dell'intervento propizio di Dio. Ma cosa accade quando Dio interviene?
Succede che tutto cambia.