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Testo della predicazione: Marco 4,26-29

Diceva ancora: «Il regno di Dio è come un uomo che getti il seme nel terreno, e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come. La terra da sé stessa dà il suo frutto: prima l'erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l'ora della mietitura è venuta».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, la parabola del seminatore e del seme che cresce da sé, ci insegna che la promessa del Regno di Dio non dipende dalle nostre capacità di realizzarla, ma dalla volontà di Dio.

Quando preghiamo dicendo “Venga il tuo Regno”, sottoloneamo proprio questo, che il cambiamento radicale del mondo non è nelle nostre mani, ma in quelle di Dio.

Tuttavia, noi non siamo esenti dall’annunciare questo Regno di pace, di giustizia, di speranza per un futuro migliore.

Sempre, nella Bibbia, le promesse di Dio si adempio non per le capacità umane, ma per l’intervento diretto di Dio. Abramo era già vecchio e Sara era, oltre a ciò, anche sterile. I loro tentativi di permettere che la promessa di Dio si realizzi sono inutili: avere un figlio dalla serva Agar. No, la promessa accade anche se non ci credi, e Sara e Abramo ridono increduli davanti all’annuncio di un figlio che nascerà e si chiamerà Isacco “risata” appunto, per sottolineare il fatto che la promessa di Dio va avanti, oltre le nostre aspettative umane.

La parabola alla nostra attenzione ci spiega che noi siamo chiamati a seminare, ad annunciare il futuro di Dio, nel quale egli stesso regnerà, un futuro senza violenze, senza guerre, senza sofferenze e morti sotto i colpi di mortaio e nelle lunghe traversate del mare.

 Già in Gesù, Dio non ha voluto essere che un Seminatore. Ha accettato, cioè, i limiti e i rischi che sono caratteristici della condizione umana. Dio ha accettato che la sua Parola fosse sottoposta alle limitazioni in cui s'imbattono tutte le parole umane. In un’altra parabola dello stesso tenore è riferito che Dio ha accettato che gli uccelli divorassero il seme gettato, che il sole lo inaridisse, che le spine lo soffocassero.

Testo della predicazione: Matteo 10,26b-27. 29-32

Non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri. Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, cari bambini e bambine della Scuola domenicale, Gesù ci insegna a diventare delle persone che credono che davvero Egli ci ami e ci perdona, ma anche a dirlo ad alta voce che Dio c’è davvero vicino a noi e che ci ama, sempre, in ogni circostanza, anche quando sbagliamo.

Questo amore di Dio ci fa amare anche gli altri, perfino le persone più scorbutiche e strane, o addirittura quelli che ci fanno del male e ci feriscono. In fondo sono persone sole, che hanno bisogno di attenzioni, di amore e di affetto che gli manca.

Gesù ci insegna che il suo amore rispetta sempre gli altri, prima di tutto noi. L’amore di Gesù rispetta la nostra libertà, ci rende liberi, e vuole che tutti siano liberi, e perciò vuole che noi crediamo nella libertà di tutti, nella libertà di esprimersi, di confessare la propria religione, anche la libertà di imparare dai propri errori.

Gesù ci aspetta, non ha fretta, rispetta il nostro tempo e quello per prendere le nostre decisioni.

L’amore di Gesù per tutti significa che tutti hanno diritto di esistere, di vivere in pace, con la loro integrità e la loro dignità di persone umane.

Gesù ci dice che non si tratta di cose poco importanti, ma molto importanti: predicatelo sui tetti, dice, cioè ditelo a tutti, nessuno deve dimenticare che tutti siamo fratelli e sorelle e formiamo una grande famiglia nel mondo.

Questa verità non deve restare in silenzio, perché il silenzio può soffocare la verità, può spegnere la luce delle persone, quella luce che ciascuno di noi porta dentro.

Testo della predicazione: Marco 2,1-12

Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo in Capernaum. Si seppe che era in casa, e si radunò tanta gente che neppure lo spazio davanti alla porta la poteva contenere. Egli annunciava loro la parola. E vennero a lui alcuni con un paralitico portato da quattro uomini. Non potendo farlo giungere fino a lui a causa della folla, scoperchiarono il tetto dalla parte dov'era Gesù; e, fattavi un'apertura, calarono il lettuccio sul quale giaceva il paralitico. Gesù, veduta la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati». Erano seduti là alcuni scribi e ragionavano così in cuor loro: «Perché costui parla in questa maniera? Egli bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non uno solo, cioè Dio?» Ma Gesù capì subito, con il suo spirito, che essi ragionavano così dentro di loro, e disse: «Perché fate questi ragionamenti nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire al paralitico: "I tuoi peccati ti sono perdonati", oppure dirgli: "Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina"?  Ma, affinché sappiate che il Figlio dell'uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati, io ti dico», disse al paralitico, «àlzati, prendi il tuo lettuccio, e vattene a casa tua». Ed egli si alzò e, preso subito il lettuccio, se ne andò via in presenza di tutti; sicché tutti si stupivano e glorificavano Dio, dicendo: «Una cosa così non l'abbiamo mai vista».

Sermone

Care sorelle e fratelli, quando si sparge la voce che Gesù è in casa, allora le folle si presentano. Vogliono ascoltare cosa ha da dire di interessante, ne avevano solo sentito parlare, ma altri avevano sentito dire che Gesù non parla soltanto, come tanti ciarlatani, ma mette in pratica quello che dice. E di cosa parlava Gesù? Di amore, di pace, di perdono, di giustizia e poi di guarigione del corpo e dell’anima.

Quella degli amici del paralitico non è soltanto curiosità, ma è fede, secondo Gesù, e d’altra parte è anche vero che se fosse stata solo curiosità, non avrebbero portato il loro amico fin là, da Gesù, facendolo illudere circa la sua guarigione, quando poi non sarebbe successo nulla. Potevano certo essere delle persone semplici, ma la loro azione, la loro fatica, la loro determinatezza nell’arrivare fino a Gesù, ci rivela una fede profonda in lui.

L’azione di questi amici è la prova della loro fede in Gesù, la loro intercessione, la loro preghiera per l’amico. 

In realtà, il testo biblico non ci parla della fede del paralitico, che possiamo solo intuire che ce l’abbia e che non sia portato da Gesù contro la sua volontà, ma il racconto fa emergere il fatto che la fede di questi amici, giochi un ruolo importante per la guarigione del paralitico.

Testo della predicazione: Marco 10,17-27

Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"». Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni. Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!» I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio». Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?» Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, Pietro Valdo fondò su questo racconto biblico la sua conversione: era un ricco mercante di Lione e, per porsi al seguito di Gesù, come fecero i discepoli, decise di lasciare ogni cosa che gli impediva di seguire la Parola che Gesù aveva ordinato al giovane ricco. «Vieni e seguimi» è il fine e il senso di questo racconto. I credenti sono autentici nella loro fede se seguono il loro Cristo.

Il problema non è tanto l’intimazione che Gesù rivolge al giovane e anche a noi oggi «Vieni e seguimi», ma «Va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri». Come dire che seguire Cristo nei ritagli di tempo, o seguirlo con la mente e con il cuore, ma non concretamente, è una pia illusione di seguirlo, mentre, invece, si sta seguendo, nei fatti, qualcun altro.

Gesù qui si mostra, come sempre, radicale, il suo messaggio non può essere annacquato, ammorbidito, alleggerito nella sua portata: la vita con Gesù è totalizzante, non può essere parziale. E Gesù rincara la dose quando collega il “seguire Cristo” all’ingresso nel Regno di Dio: chi lo segue, lasciando ogni cosa, potrà far parte del Regno di Dio, chi non lo fa, non vi entrerà, sarà lasciato fuori.

Così la conclusione dei discepoli è ovvia: «Chi, dunque può essere salvato?».

Testo della predicazione: Marco 9,17-27

Uno della folla gli rispose: «Maestro, ho condotto da te mio figlio che ha uno spirito muto; e, quando si impadronisce di lui, dovunque sia, lo fa cadere a terra; egli schiuma, stride i denti e rimane rigido. Ho detto ai tuoi discepoli che lo scacciassero, ma non hanno potuto».  Gesù disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». Glielo condussero; e come vide Gesù, subito lo spirito cominciò a contorcere il ragazzo con le convulsioni; e, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù domandò al padre: «Da quanto tempo gli avviene questo?» Egli disse: «Dalla sua infanzia; e spesse volte lo ha gettato anche nel fuoco e nell'acqua per farlo perire; ma tu, se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». E Gesù: «Dici: "Se puoi!" Ogni cosa è possibile per chi crede». Subito il padre del bambino esclamò: «Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità». Gesù, vedendo che la folla accorreva, sgridò lo spirito immondo, dicendogli: «Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da lui e non rientrarvi più». Lo spirito, gridando e straziandolo forte, uscì; e il bambino rimase come morto, e quasi tutti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo sollevò ed egli si alzò in piedi.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, in questo racconto, Gesù ci dice: «Ogni cosa è possibile a chi crede». E non ci rassicura affatto, perché sappiamo che per noi ogni cosa che vorremmo non è possibile che accada. Non ci sarebbero più le guerre nel mondo, l’odio, la violenza. Solo a Dio «tutto gli è possibile», non a noi.

Perché Gesù va così avanti? Oltre le nostre possibilità? Perché vuole affermare con forza che si aspetta che ai credenti è permesso di partecipare, nella fede, alle opere che Dio compie, che non ne siamo estranei.

Eppure, a volte, vorremmo avere per noi stessi questa prerogativa che è di Dio: per esempio quando ci troviamo di fronte a persone in gravi difficoltà e senza via d'uscita, in una situazione di bisogno simile a quella del giovane epilettico del racconto biblico.

Marco ci dice che è posseduto da uno spirito muto, ci vuole dire che è tagliato fuori dalla comunicazione, è escluso dal rapporto con gli altri. Non può dialogare, né confrontarsi. Si getta nel fuoco e nell'acqua, cioè si comporta in modo autodistruttivo.

Purtroppo, non soltanto in persone malate, ma anche in quelle sane, possiamo riconoscere questo tipo di sofferenze; tante persone, oggi, sono come il giovane del racconto, mute, perché tagliate fuori dai rapporti umani, discriminati o respinti.

Testo della predicazione: Matteo 6,25-34

Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, Gesù affronta il tema dell’ansia perché sa bene che si tratta perfino di una sofferenza che non aggiunge nulla alla nostra vita, anzi ci toglie qualcosa: la serenità. Gesù insiste sul fatto che, spesso, la nostra ansia dipende da una errata priorità che diamo alle cose.

In effetti, ci sono tante cose nella vita alle quali diamo poca importanza, ma un giorno, quando facciamo un’esperienza intensa, quelle persone, parole o gesti, possono acquistare un significato profondo, e diventare per noi particolarmente cari e preziosi che cambiamo anche la nostra esistenza.

Per questo Gesù parla di una nuova concezione della vita che diventa un modo di essere e di porsi nei confronti della vita stessa e di Dio. Gesù ci invita a prendere sul serio e la vita e Dio. Gesù vuole ricordarci che come Dio è il creatore di tutti gli esseri umani, così egli non li abbandona a se stessi, ma continua ad prendersene cura sempre, come dire che il suo atto creatore non si è concluso nella prima pagina della Bibbia.

Gesù ci invita a guardare gli uccelli, belli e brutti (nel vangelo di Luca, si parla anche di corvi!) i vegetali, i fiori e persino le erbacce che continuano a ricevere l'attenzione di Colui che li ha creati. Gesù ci dice che anche per noi è così, anche noi dipendiamo dall’amore del Signore che ci sostiene nella vita. Gesù ci dice che Dio ci ha creati, non per buttarci nel vasto mondo chiedendoci di cavarcela da soli e di arrangiarci, ma continua ad amarci e a prendersi cura di ognuno di noi.

Testo della predicazione: Luca 18,18-23. 28-30

Uno dei capi lo interrogò, dicendo: «Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dir falsa testimonianza; onora tuo padre e tua madre». Ed egli rispose: «Tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù, udito questo, gli disse: «Una cosa ti manca ancora: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, udite queste cose, ne fu afflitto, perché era molto ricco. Pietro disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli disse loro: «Vi dico in verità che non c'è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amor del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell'età futura la vita eterna».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, dalla Bibbia abbiamo ascoltato un racconto in cui un giovane, molto ricco, domanda a Gesù cosa deve fare per ottenere la Vita eterna, la salvezza eterna.

Gesù risponde: “Segui i comandamenti di Dio”! Eppure, questi erano osservati attentamente e alla lettera dal giovane ricco che, però, lo stesso, domanda a Gesù cosa deve fare per avere la certezza della Vita eterna.

Eppure, questo giovane dovrebbe avere la coscienza a posto, fa tutto quello che gli è comandato, è uno scrupoloso osservatore dei precetti, attento a tutte le leggi dell’antico Israele. Eppure, sente che tutto questo non basta, che qualcosa gli manca.

Perché?

In fondo, può sentirsi una persona a posto con se stessa e con Dio, può sentirsi una persona perdonata, perché lo meriterebbe davvero, ha tutte le carte in regola per essere benedetto da Dio nella vita terrena e “anche dopo”.

Testo della predicazione: Marco 1,40-45

«Venne a lui un lebbroso e, buttandosi in ginocchio, lo pregò dicendo: «Se vuoi, tu puoi purificarmi!» Gesù, impietositosi, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio; sii purificato!» E subito la lebbra sparì da lui, e fu purificato. Gesù lo congedò subito, dopo averlo ammonito severamente, e gli disse: «Guarda di non dire nulla a nessuno, ma va', mostrati al sacerdote, offri per la tua purificazione quel che Mosè ha prescritto; questo serva loro di testimonianza». Ma quello, appena partito, si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare apertamente in città; ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e da ogni parte la gente accorreva a lui».

Sermone

Care sorelle e fratelli, una persona malata di lebbra è guarita da Gesù. Nell’Israele dell’epoca, la lebbra non era soltanto una malattia qualunque, ma la malattia, e Gesù sta per scontrarsi contro tabù e chiusure, paure e timori profondamente radicate. Con questa guarigione del lebbroso, Gesù annuncia il superamento della paura delle malattie devastanti che portano alla morte, e non lo farà con un un discorso convincente che invita ad accogliere i lebbrosi, ma con un gesto che ha in sé un annuncio inequivocabile: i tabù culturali che ostacolano l’accoglienza e la solidarietà vanno superati, le paure circa la punizione divina sui malati vanno vinte, la discriminazione di esseri umani malati è disumana.

I lebbrosi erano emarginati dalla società, considerati maledetti da Dio, cacciati via anche dalla loro famiglia. Non venivano più considerati esseri umani, dovevano tenersi a distanza da tutti. Da Dio potevano aspettarsi solo la sua condanna.

Ogni epoca ha i suoi lebbrosi, che possono essere i senza dimora, i nostri malati di AIDS, i nostri immigrati, gli omosessuali, i poveri, chiunque venga emarginato per qualunque motivo.

Dappertutto la nostra società rigurgita di eliminati, di disprezzati, di esclusi. Il lebbroso di oggi è il diverso che non si omologa agli altri, è il terrone, o il “vu’ cumprà”, chi ha la pelle nera, oppure è il drogato, l’islamico, l’immigrato.

Testo della predicazione: Marco 3,31-35

«Giunsero sua madre e i suoi fratelli; e, fermatisi fuori, lo mandarono a chiamare. Una folla gli stava seduta intorno, quando gli fu detto: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle là fuori che ti cercano». Egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su coloro che gli sedevano intorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, ci deve sorprende molto il fatto che la famiglia di Gesù lo cerchi, i suoi fratelli, le sue sorelle e sua madre lo cercano fuori dal luogo in cui si trova, mandano qualcuno a chiamarlo. Cosa c’è di così urgente da interrompere la predicazione di Gesù rivolta a una folla? Forse c’è tanta gente da non riuscire a trovare Gesù? No, la sua famiglia lo cerca perché crede che Gesù sia “fuori di sé”. Così ci dice il versetto 21 di questo capitolo 3, di cui, però, abbiamo ascoltato i versetti da 31 a 35.

Forse, sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle sono venuti per portarlo via, forse lo considerano un disadattato o un eccentrico. Il verbo greco del versetto 21 significa letteralmente «essere fuori di», quindi è fuori di sé, o meglio: «è uscito di senno», o «è diventato pazzo».

Gli scribi non hanno dubbi, lo accusano di collusione con Satana: «Egli ha Belzebù… il principe dei demoni» (Mc. 3,22), che letteralmente significa «Il signore delle mosche» (II Re 1,2). Questo pensavano di Gesù, questa la loro avvilente opinione di Gesù. E la sua famigli? Lo credeva “fuori di sé”. Perché?

«Tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono là fuori che ti cercano». È l’amore e la compassione per Gesù che li spinge ad andargli incontro, non vogliono che sia stritolato dentro gli ingranaggi fatti di cultura, di pregiudizi, di falsa giustizia, di perbenismi contro i quali Gesù si scaglia. I fratelli e le sorelle di Gesù, e loro madre, sanno che se Gesù continua a remare contro gli interessi dei potenti e ad andare controcorrente, urtando moralisti e conformisti che colpisce nella loro sensibilità, prima o poi, quelli gliela faranno pagare. E così infatti accadrà!