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Testo della predicazione: Matteo 4,12-17

Gesù, udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritirò in Galilea. E, lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali, affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: «Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani, il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell'ombra della morte una luce si è levata». Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la predicazione di Gesù ha uno scopo particolare: all'umanità viene data una chiave di lettura nuova della vita e della storia, attraverso la quale, ci possiamo collocare, nel contesto umano, come uomini e donne che hanno la possibilità di sfuggire a un destino tragico, di paura e di morte. Ci è data la possibilità di essere riscattati dal giogo della vita umana intessuta di fallimenti, di discriminazioni, di intolleranze, emarginazioni, dal potere delle guerre, distruzioni, dal peso delle violenze inaudite come quelle che abbiamo appreso negli ultimi giorni a Berlino, in Turchia e non solo.

Ma quale risposta diamo come credenti a coloro che domandano: «perché Dio permette tutto questo?».

Gesù si è presentato all’umanità nascendo in una stalla e morendo su una croce, è stato vittima della scelleratezza e della malvagità umana, si è presentato con tutta la debolezza che umanamente ci è propria e l’ha vissuta fino in fondo. Dio non ha fatto improvvisamente irruzione nella storia del mondo con tutto il suo potere e la sua forza, deciso a risolvere lui tutti i problemi dell’umanità. No! Gesù, piuttosto, ci ha insegnato il modo di superarli, di accettarli, di sopravvivere ad essi con dignità.

Dio ha fatto parte della nostra storia, del nostro mondo, della nostra umanità debole, caduca, per dirci che, con noi, anche lui è partecipe del nostro destino umano; il suo essere presente nella nostra quotidianità è la nostra speranza, il nostro nuovo destino che si delinea con contorni sempre più netti.

È questo il Dio che conosciamo, il Dio che viene a noi: Dio ci è davvero vicino in ogni momento della vita, nella sofferenza e nel dolore, si fa solidale con noi, ci accompagna nelle difficoltà, ci tiene per mano quando si fa buio, quando rallentiamo il passo perché non riusciamo a vedere chiaramente dove poggiare in modo fermo il nostro piede. Quando siamo confusi e non sappiamo più capire il senso di quanto accade attorno a noi.

Domenica, 25 Dicembre 2016 12:49

Sermone di Natale 2016 (Michea 5,1-4a)

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Testo della predicazione: Michea 5,1-4a

Da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni. Perciò egli li darà in mano ai loro nemici, fino al tempo in cui colei che deve partorire partorirà; e il resto dei suoi fratelli tornerà a raggiungere i figli d'Israele. Egli starà là e pascolerà il suo gregge con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. E quelli abiteranno in pace, perché allora egli sarà grande fino all'estremità della terra. Sarà lui che porterà la pace.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, un proverbio ebraico dice così: «Non sprezzare alcun uomo e non svilire alcun oggetto, poiché non vi è uomo che non abbia la sua ora e non vi è cosa che non trovi il suo posto» (Trattato dei princìpi).

Betlemme era un villaggio tanto insignificante e così privo di importanza che quando i profeti dell'Antico Testamento lo nominavano la gente si domandava: «Ma cosa può venire di buono da Betlemme?». Eppure, il profeta pone l'accento sull’insignificanza di questa cittadina come qualcosa di grande e importante.

     Facciamo un piccolo passo indietro di 2700 anni, e andiamo al 720 a.C. Il regno del Sud vive sotto l'incubo dell'invasione degli Assiri, ormai il Regno del Nord è già caduto nel 722 sotto i pesanti colpi inferti dall'Assiria; «A chi toccherà adesso?», si domandava con inquietudine il popolo.

«Toccherà a noi», risponde il profeta Michea, toccherà ad Israele che non pratica più il diritto e la giustizia! «I suoi Capi giudicano per ottenere regalie (3,11); opprimono di deboli (2,1); dice: «Strappate le vesti addosso a chi passa tranquillo… cacciate le donne dalle case… togliete per sempre la gioia ai loro figli. Voi capi e magistrati del popolo: non dovreste occuparvi della giustizia? Ma voi… spellate la gente, anzi le strappate la carne dalle ossa. Voi divorate il mio popolo… lo fate a pezzi… come fosse carne da buttare nella pentola» (2,8-9; 3,1-3).

Michea solo condanna le ingiustizie e tuona contro chi crede di avere pure la protezione di Dio. Molti dicono al profeta: «Zitto, smettila di annunziare che saremo colpiti dal Signore! Chi l'ha detto che sarà così? Sarebbe questo il modo paziente di agire di Dio?» (2,6).

Testo della predicazione: Genesi 19,1-11

I due angeli giunsero a Sodoma verso sera. Lot stava seduto alla porta di Sodoma; come li vide, si alzò per andare loro incontro, si prostrò con la faccia a terra, e disse: «Signori miei, vi prego, venite in casa del vostro servo, fermatevi questa notte, e lavatevi i piedi; poi domattina vi alzerete per tempo e continuerete il vostro cammino». Essi risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». Ma egli fece loro tanta premura, che andarono da lui ed entrarono in casa sua. Egli preparò per loro un rinfresco, fece cuocere dei pani senza lievito ed essi mangiarono. Ma prima che si fossero coricati, gli uomini della città, i Sodomiti, circondarono la casa: giovani e vecchi, la popolazione intera venuta da ogni lato. Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono venuti da te questa notte? Falli uscire, perché vogliamo abusare di loro». Lot uscì verso di loro sull'ingresso della casa, si chiuse dietro la porta, e disse: «Vi prego, fratelli miei, non fate questo male! Ecco, ho due figlie che non hanno conosciuto uomo: lasciate che io ve le conduca fuori, e voi farete di loro quel che vi piacerà; ma non fate nulla a questi uomini, perché sono venuti all'ombra del mio tetto». Essi però gli dissero: «Togliti di mezzo!» E ancora: «Quest'individuo è venuto qua come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a quelli!» E, premendo Lot con violenza, s'avvicinarono per sfondare la porta. Ma quegli uomini stesero la mano, tirarono Lot in casa con loro e chiusero la porta. Colpirono di cecità la gente che era alla porta della casa, dal più piccolo al più grande, così che si stancarono di cercare la porta.

Sermone

Il testo biblico, al capitolo che precede il nostro brano, ci dice che gli abitanti di Sodoma erano persone violente e brutali; era cioè una società che si opponeva a Dio e al suo progetto di fraternità, di accoglienza, ospitalità dichiarato fin dal primo capitolo della Genesi. I profeti Isaia e Zaccaria parleranno di quella città come di luogo in cui si praticava l’ingiustizia e la corruzione; gli abitanti peccavano d’orgoglio e d’indolenza; erano indifferenti verso i bisognosi.

Avevano cioè trasformato quella che doveva essere l’immagine di Dio in noi, in qualcosa di diabolico, malvagio e spietato. 

Il mondo, di nuovo, come ai tempi di Noè, si dirigeva verso la sua autodistruzione. Il testo biblico, al capitolo precedente, riporta una vivace discussione tra Abramo e Dio, nella quale Dio stesso dichiara di voler distruggere la città di Sodoma ma che, per amore di uno sparuto numero di persone giuste, 10 persone, non l’avrebbe fatto.

Non si troveranno neppure 10 persone giuste a Sodoma, perciò le sorti della città erano segnate.

Testo della predicazione: Filippesi 2,1-5

Se dunque v’è qualche incoraggiamento in Cristo, se vi è qualche conforto d’amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, dal carcere di Efeso l’apostolo Paolo scrive questa lettera alla chiesa della città di Filippi. Da lì rivolge un appello a quella comunità che ha visto nascere e crescere, una comunità alla quale era molto legato.

L’apostolo dice in tono paterno: «rendete perfetta la mia gioia: abbiate un medesimo pensare, un medesimo amore, siate di un animo solo e di un unico sentimento».

Per lui, quella era la sua famiglia, la comunità dei credenti, perché questo in fondo è la chiesa: una famiglia, essa si fonda sull’affetto, sull’amore reciproco e sui legami che questo crea.

Dunque, l’apostolo fa appello all’amore, quello che lega questi due sposi tra loro, Irene e Dennis, l’amore sta alla base di ogni legame, ogni affetto, ogni tipo di famiglia.

Chi ama non sbaglia mai.

Lunedì, 28 Novembre 2016 22:37

Sermone di domenica 27 dicembre 2016

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Testo della predicazione: Vangelo di Giovanni 8,3-11

Gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fi no agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più».

Sermone a cura di Lidia Maggi (tratto da: L’evangelo delle donne, figure femminili nel Nuovo Testamento – Claudiana 2010)

Una donna viene portata a Gesù che, seduto per terra, giudica e ammaestra nel cortile del Tempio. Una donna usata per incastrarlo. A nessuno sembra interessare la sua vita. È solo un’adultera, colta in flagrante e destinata alla lapidazione. Sola contro quegli uomi­ni che si appellano alla durezza della loro legge per farla morire; sola senza colui che ha amato, colpevole come lei, eppure latitan­te. Sola con tutti gli occhi puntati su di lei, sguardi pesanti come macigni che la scrutano, la invadono e la colpiscono prima ancora delle pietre. Sguardi insistenti e morbosi.

Eccola davanti a Gesù. L’unico con il capo chinato; il solo che le risparmia anche la sofferenza di occhi giudicanti.

Ci sono situazioni dove lo sguardo infiamma, come nell’incon­tro con il giovane ricco: «e Gesù guardatolo negli occhi l’amo»; e altre in cui lo sguardo spegne, diventa tortura.

Gesù, con il capo chino, scrive sulla sabbia. Traccia segni che in pochi istanti svaniranno. Intorno a lui, uomini pronti a lanciare sassi, a uccidere. Nel mezzo, la donna.

Testo della predicazione: Apocalisse 21,1-7

Vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate». E colui che siede sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere», e aggiunse: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’apocalisse è un libro scritto durante le difficili persecuzioni della chiesa da parte dei romani e in particolare dell’imperatore Domiziano. Ci sono scritte parole di conforto e di consolazione per poter superare tempi difficili e duri; si poteva morire per la propria fede, solo per il fatto di essere cristiani, come accade ancora oggi, in alcune parti del mondo dove le chiese sono incendiate e i credenti uccisi.

L’autore dell’Apocalisse, allora, vede un tempo nuovo, addirittura un nuovo mondo, una nuova terra, una nuova città da abitare, una nuova città santa, Gerusalemme, un mondo dove non ci sarà più il dolore, la sofferenza, il piano e il lutto.

Per certi versi, qui ci è detto che ci sarà una fine del mondo, ma che dopo non ci sarà il nulla, ma un mondo nuovo, finalmente felice.

     Nel Medioevo si credeva che l’anno 1000 sarebbe stato il limite del tempo, oltre il quale ci sarebbe stata la fine. Tutti si preoccupavano e si domandavano: “Cosa succederà, alla fine dei tempi?” È una grande domanda che, ancora oggi, molti si pongono. Alcuni credono perfino di avere la risposta. Da sempre, in tutti i tempi e in tutte le culture, questa domanda ha suscitato angoscia e turbamento e sono state date risposte estremamente diversificate.

     Anche la Bibbia si pone la stessa domanda e ci dà una risposta: dopo la fine di questo mondo ci sarà un nuovo cielo e una nuova terra dove quelli che sono stati perseguitati e condannati ingiustamente per la loro fede vivranno felici: non ci sarà più la sofferenza, il dolore, il pianto e neppure la morte.

Testo della predicazione: Romani 8,18-25

Io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, nel brano che abbiamo ascoltato, l'apostolo Paolo riflette sul futuro che attende i credenti.

L'apostolo prende in considerazione dei momenti della vita cristiana: quelli tristi e quelli gioiosi. Quante volte siamo angosciati o ci sentiamo abbandonati al nostro destino a causa delle avversità e delle sofferenze della vita? Tante volte! Quante volte ci scoraggiamo e siamo tentati di rinunciare, di fermarci e smettere di lottare perché è davvero troppo dura? Tante volte!

E quante altre volte ci domandiamo perché Dio permette le sofferenze, i dolori, la fame, la crisi economica, l'ingiustizia… argomenti a cui spesso non riusciamo a dare una risposta convincente. Restiamo smarriti e qualcuno cerca di trovare nella Bibbia risposte a queste domande.

Ci sono persone che pensano ancora che la fede riservi loro un premio, quello di essere risparmiati da sofferenze, dispiaceri e dolori. L'apostolo, invece, cerca di spiegare che il fatto di essere credenti non ci risparmia dalle difficoltà e dalle oscurità della vita e del corso della storia.

Certo, ci si può ribellare, ma contro chi? Contro tutto il mondo? Contro Dio?

Perché no? Ma si tratta di una reazione che può far stare bene per un po’ perché trova un capro espiatorio per tutti i mali dell’umanità. Ma è una interpretazione di comodo che ci auto-giustifica, ci auto-assolve, come se tutti non partecipassimo a costruire la storia, bella o brutta, drammatica o serena che sia.

Testo della predicazione: Luca 17,20-24

Gesù, interrogato dai farisei sul quando verrebbe il regno di Dio, rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà: “Eccolo qui”, o “eccolo là”; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi». Disse pure ai suoi discepoli: «Verranno giorni che desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, e non lo vedrete. E vi si dirà: “Eccolo là”, o “eccolo qui”. Non andate, e non li seguite; perché com’è il lampo che balenando risplende da una estremità all’altra del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, i farisei pongono una domanda a Gesù: «Quando verrà il Regno di Dio?». Per un israelita dell'epoca, il Regno di Dio evocava immagini di pace, di libertà dall'oppressore romano, tempi di prosperità, fine della paura del nemico, fine delle malattie, dei dolori e delle sofferenze.

Possiamo dire che l'attesa bruciante di questo Regno di Dio promesso, ma che tardava a venire, produceva l'ansiosa domanda: "Quando?". Quando finirà il sopruso e la violenza, quando finirà la prepotenza e l'aggressione, la discriminazione e l'egoismo?

Tuttavia, i farisei tradiscono la loro debolezza, perché i calcoli umani sui tempi dell'azione di Dio sono del tutto futili, sono arroganti e irriverenti davanti alla sovranità di Dio. Il Regno di Dio è una promessa, ma sul quando verrà questo Regno, Gesù stesso risponde «Non spetta a voi di sapere i tempi o i momenti…» (Atti 1,6-7). Gesù si preoccupa del tempo dell’impazienza, di chi usa la Bibbia come un almanacco o un manuale di cabala per trarre informazioni e conoscere il quando, Gesù si preoccupa del fanatismo, di quella tendenza, presente anche oggi, tesa a trasformare l’attesa del Regno in un insieme di falsi allarmi e di calcoli avventati.

In realtà, i farisei chiedono a Gesù di mostrare i segni del Regno di Dio, essi cercano i segni del Regno, ma poi rifiutano l'unico vero segno disponibile: Gesù. Gesù l'ha detto chiaramente quali sono i segni di questo Regno di Dio che egli stesso è venuto a inaugurare: i ciechi vedono, i sordi sentono, gli zoppi camminano, i morti sono risuscitati e l'Evangelo è annunziato ai poveri. Sono queste le condizioni che segnano la presenza del Regno di Dio.

Testo della predicazione: Romani 3,21-28

Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, la Riforma protestante del ‘500 ha sottolineato questa parola dell’apostolo Paolo: «Siamo giustificati gratuitamente per la Grazia di Dio mediante la fede».

     La grazia è quindi il presupposto della nostra salvezza, ne è il fondamento, il fulcro attorno a cui ruota l’esistenza umana. Ma dobbiamo domandarci che cosa è questa grazia di cui parla l’apostolo! La chiesa dell’epoca, certo non escludeva la grazia di Dio, ma escludeva la gratuità della grazia di Dio. La grazia andava, dunque, comprata, anche attraverso le indulgenze.

     E tutti abbiamo bisogno della grazia perché essa è donata a chi ha subìto una condanna, ciò vuol dire che tutti siamo rinchiusi nella condanna dovuta al nostro peccato, come scrive l’apostolo Paolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per far misericordia a tutti» (Rom. 11,32). Nessuna differenza quindi, ma tutti “uno in Cristo” (Gal. 3,28), nessuna religione, nessuna confessione religiosa, nessun peccato, nessuna condizione umana, possono diminuire la grazia di Dio.

     Per noi protestanti, la grazia è, dunque, il punto di partenza di un cammino di fede, non il punto di arri­vo, non la meta, non il nostro obiettivo. Non accade che dopo una serie di buone opere arriviamo a guadagnarci l’agognata grazia, dopo una serie di sacrifici e di rinunce riusciamo a meritarci quella grazia che ci porta in salvo. Al contrario, consapevoli che la grazia è solo un dono di Dio, che ci è data senza averla meritata, possiamo incamminarci portando i frutti che la grazia produce in noi.

     Ma com’è questa cosa, che il Paradiso non bisogna meritarlo? Che non va suda­to con duri sacrifici? Anche se umanamente funziona così per tutte le cose, la logica di Dio no, e segue criteri diversi dai nostri.

     Grazia vuol dire, appunto, dono gratuito, non meritato, perché diversamente diventa baratto, scambio, acquisto.