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Testo della predicazione: Genesi 1,1 fino a 2,3

In principio Dio creò il cielo e la terra. Il mondo era vuoto e deserto, le tenebre coprivano gli abissi e lo Spirito di Dio soffiava su tutte le acque.

Dio disse: «Vi sia la luce!». E apparve la luce. Dio vide che la luce era bella e separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte. Primo giorno.

Dio disse: «Vi sia una grande volta. Divida la massa delle acque». E così avvenne. Dio fece una grande volta e separò le acque di sotto dalle acque di sopra. Dio chiamò la grande volta Cielo. Secondo giorno.

Dio disse: «Siano raccolte in un sol luogo le acque che sono sotto il cielo e appaia l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto Terra e chiamò le acque Mare. E Dio vide che era bello. Dio disse: «La terra si copra di verde, produca piante con il proprio seme e ogni specie di albero da frutta». E così avvenne. La terra produsse erba verde, piante e ogni specie di alberi da frutta. E Dio vide che era bello. Terzo giorno.

Dio disse: «Vi siano luci nella volta del cielo per distinguere il giorno dalla notte: saranno segni per le feste, i giorni e gli anni. Risplendano nel cielo per far luce sulla terra». E così avvenne. Dio fece due grosse luci: il sole, la luna e poi anche le stelle. E Dio vide che era bello. Quarto giorno. [...]

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, cari bambini e bambine della Scuola domenicale, ragazzi e ragazze del catechismo, abbiamo ascoltato il brano della Bibbia che racconta della creazione della terra, di tutto quello che c’è nella terra e dell’universo.

«In principio…». Cosa accade prima che tutte le cose esistessero?

Dio crea!

Cosa crea Dio?

Dio crea la vita! Chiama all’esistenza.

E cosa c’era prima?

Il nulla! Tutto era vuoto, deserto e buio, perché non c’era la vita. Non esisteva neppure la luce. Non si vedeva nulla, ma tanto non c’era nulla da vedere, proprio nulla, ma neppure c’era qualcuno che avrebbe voluto vedere qualcosa.

Ma qualcuno però c’era, chi?

Dio. Dio c’era.

Ma Dio era solo, troppo solo per amare qualcuno. Dio aveva un grande amore da dare, un amore strabordante, infinito, ma non poteva amare nessuno perché non esisteva nessuno. Così Dio decide di creare l’universo e l’essere umano per donagli tutto il suo amore.

Dio crea per amore, crea tutto quello che vediamo per amare tutte le sue creature. Dunque, noi esistiamo per essere amati da Dio, proprio come fa un padre e una madre quando mettono al mondo i loro figli, anzi, Dio ama di più, infatti dice il Salmo 27 (v. 10): «Qualora mio padre e mia madre m'abbandonino, il Signore mi accoglierà».

Ma in che modo Dio crea?

Testo della predicazione: Apocalisse 5,1-14

Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?» Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. Io piangevo molto perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro, e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli». Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra. Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono. Quand'ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, ciascuno con una cetra e delle coppe d'oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi. Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra». E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era di miriadi di miriadi, e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: «Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode». E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi, udii che dicevano: «A colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli». Le quattro creature viventi dicevano: «Amen!» E gli anziani si prostrarono e adorarono.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il libro dell’Apocalisse è un libro misterioso, pieno di parole da interpretare, da collocare nel giusto posto prima di poter intenderne il messaggio sempre preciso e penetrante. Ed è questo messaggio che tenteremo anche noi, oggi, di capire facendo un piccolo viaggio nel mondo del veggente Giovanni.

L'Apocalisse è un libro che parla per immagini, un po' come le parabole di Gesù, solo che le immagini dell'apocalisse non servono a facilitare la comprensione (come nelle parabole), ma per nasconderla, affinché il persecutore non intenda mentre i credenti sì.

L'immagine alla nostra attenzione è una scena di giudizio. Vi è un trono, posto al centro della scena, su cui siede il giudice, Dio, vi sono i suoi servi, i suoi ministri e, ciò che più conta, un libro. La stessa scena ce la propone il profeta Daniele con lo stesso trono sul quale siede Dio e con gli stessi servi; a un certo momento l’atmosfera si fa carica di tensione perché “...i libri furono aperti”.

In una scena di giudizio biblica, il libro contiene dei nomi, i nomi di coloro che sono stati fedeli fino alla morte, altrove nella Bibbia è definito “il libro della vita” (Salmo 69,29; Apoc 13,8).

Testo della predicazione: Deuteronomio 10,17-18

Il Signore, il vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta regali, che fa giustizia all'orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito.


Sermone

Il libro del Deuteronomio è il libro delle prescrizioni, dei precetti, delle regole e comandi rivolti al popolo d’Israele. Spesso vi è riportata una minuzia di particolari da osservare con grande scrupolo, i casi che possono accadere nella realtà umana sembra che siano tutti considerati meticolosamente.

Si tratta di esortazioni date per evitare errori e di cadere nelle maglie del male e della malvagità, e ciò attraverso la mera osservanza di tutte regole. Perciò dirà il Salmo 34 «Allontànati dal male e fa' il bene; cerca la pace e adoperati per realizzarla» (Salmo 34,14).

Nel nostro brano, l’autore parla del comportamento di Dio nei confronti di coloro che non osservano le sue esortazioni e cercano di abbonirsi Dio rivolgendogli offerte, doni e regalie.

L’autore biblico presenta un Dio che “incarna”, nel suo essere, il suo progetto di bene per l’umanità: innanzitutto Dio è un Dio che rende giustizia a coloro che hanno ricevuto ingiustizie a motivo del loro essere poveri e senza mezzi di sostentamento come potevano esserlo, all’epoca, l’orfano, la vedova.

Ma in questo elenco di persone che attendono giustizia vi è anche lo straniero che poteva essere considerato senza diritti perché fuori dalla sua patria dove, invece, si sarebbe sentito al sicuro e protetto.

Il testo dice che «Dio ama lo straniero e gli dà pane e vestito». Dunque, Dio non transige nel portare avanti la giustizia, non può che usare imparzialità ed equità verso tutti. Perciò, dice il nostro brano, «Dio non ha riguardi personali» e «non accetta regali», non si lascia corrompere per chiudere un occhio sulla disonestà e sull’ingiustizia, sulla parzialità e l’arbitrio di chi trasforma il proprio potere in strapotere per accaparrare, accumulare illegalmente, a proprio vantaggio e a scapito dei cittadini e delle istituzioni.

Il Signore non ha riguardi personali, non distribuisce raccomandazioni ai più meritevoli, ma tratta tutti allo stesso modo, con imparzialità per il bene di tutti perché è questo bene che Dio vuole per tutti i suoi figli. Una logica diversa dalla nostra, che orienta la nostra benevolenza verso chi la merita.

Testo della predicazione: 1 Corinzi 15,1-11

Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi, mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l'ho annunciato; a meno che non abbiate creduto invano.
Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l'ho ricevuto anch'io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all'aborto; perché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Sia dunque io o siano loro, così noi predichiamo, e così voi avete creduto.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli,

     è Pasqua, l’evento che non avrebbe valore se non indicasse la croce di Cristo. Per l’apostolo Paolo non ci sono dubbi, Cristo è veramente risuscitato, tanto è vero che è apparso a tante persone come prova della sua risurrezione. Ma anche l’apostolo stesso può essere testimone del Cristo vivente in quanto sulla via di Damasco ha udito la sua voce ed è stato abbagliato dalla sua luce, anche lui può dire di averlo visto e che ha trasformato e cambiato radicalmente la sua esistenza.

     Per l'apostolo Paolo, aver visto il Signore non ha però soltanto un mero significato di testimonianza di un fatto realmente accaduto nella storia. Per l’apostolo, vedere il Signore significa riconoscere che la sua risurrezione ha senso anche “per me”. Significa che il Cristo vivente non è assente perché è andato in un posto lontano da noi. Vedere il Signore, per Paolo, è partecipare alla risurrezione di Gesù e trovarsi ancora lì, con lui, come quando egli era vivo. Non a caso il vangelo di Giovanni riferisce le parole di Gesù: «Ecco, io sono con voi fino alla fine dell'età presente».

     Per l’apostolo Paolo, solo l’esperienza che i credenti fanno con il Cristo risuscitato e vivente permette loro di vivere una esistenza piena di significato, un’esistenza fondata su una speranza che non delude.

Testo della predicazione: Filippesi 2,1-11

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, oggi è la domenica delle Palme una ricorrenza che nell'anno liturgico si sofferma sul momento in cui Gesù entra a Gerusalemme ed è accolto come un re. Ma ciò accade proprio pochi giorni prima che, da quelle stesse persone, verrà condannato a morte.

Il nostro lezionario, per questa domenica ci pone davanti un testo che è una delle più antiche confessioni di fede della Chiesa primitiva. Si tratta di un vero e proprio inno, come quelli che abbiamo sull'innario. L’apostolo Paolo lo ripropone alla chiesa di Filippi proprio perché qui il culto dell'imperatore aveva una grande importanza, a lui si riconosceva il titolo di “Signore”.

Questa comunità cristiana di minoranza, non aveva vita facile a motivo della sua fede che riconosceva l'unico culto e l'unica adorazione al solo Dio che è morto sulla croce per il mondo. La confessione dei filippesi è chiara e inequivocabile: "Gesù Cristo è il Signore!".

La fede di questi credenti, in una città intollerante, provocava persecuzioni difficili da sopportare. Ma con forza, contro l'imperante culto dell'imperatore la piccola comunità canta: "Gesù Cristo è il Signore!".

L’apostolo Paolo, dunque, esorta i credenti alla comunione reciproca, all’incoraggia­mento reciproco, all’amore vicendevole, a vivere concordi e stimando non solo se stessi, ma anche gli altri cercando non il proprio inte­resse, ma quello di tutti. Solo così si può andare avanti in mezzo a prove e difficoltà, in mezzo a lotte e pregiudizi reciproci.

L’inno afferma che Gesù Cristo «pur essendo in forma di Dio... spogliò (o svuotò) se stesso». Questo lo diranno oggi i nostri confermandi nella loro Confessione di fede: Gesù è venuto a diventare come noi piuttosto che starsene lontano ammantato della sua gloria e onnipotenza.

Testo della predicazione: Marco 10,13-16

Gli presentavano dei bambini perché li toccasse; ma i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano. Gesù, veduto ciò, si indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto». E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani su di loro.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, la Bibbia parla dei bambini come coloro a cui sono riservate le promesse del Signore, il Regno di Dio, la rivelazione stessa di Dio, la sua gloria.

Non è raro trovare nella Bibbia brani nei quali si esprime la preghiera di ricevere la capacità di sorprendersi delle piccole cose.

Nel brano alla nostra attenzione ci sono dei bambini festanti e urlanti, entusiasti, che corrono verso Gesù; i discepoli sgridano i loro genitori chiedendo loro di allontanarsi: Gesù non deve essere scambiato per un taumaturgo o un santone che basta toccare per ricevere miracoli. Solitamente, proprio per questo motivo, Gesù si allontanava dalla gente per stare in luoghi isolati, ma qui no, qui ci sono dei bambini, la chiusura e la superstizione degli adulti non deve penalizzare l'apertura e la fiducia dei piccoli. Così Gesù pronuncia una delle parole più belle del Nuovo Testamento: «In verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non vi entrerà» e poco prima del nostro brano dirà: «Chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me».

Ogni bambino che viene al mondo, porta con sé quella fiducia di possedere il diritto di trovare attenzione e accoglienza. Per un bambino, non vale ciò che vale per gli adulti, e cioè che l'altro possa essere stanco o occupato in cose più importanti. Un bambino si considera, istintivamente, la cosa più importante della terra. Quando chiama, vuole che qualcuno arrivi, e ha diritto a questa "cortesia", si ammalerebbe se nessuno rispondesse ai suoi richiami.

Quando un bimbo chiede dell'altro, ha il diritto che l'altro gli sia "accessibile". Per lui tutto il mondo è aperto e a portata di mano. Ogni bambino che viene al mondo, porta con sé questa fiducia originaria e deve poterla vivere. Per questo Gesù non si nega ai piccoli.

Testo della predicazione: Efesini 5,1-8a

Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; e camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave.
Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento. Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli. Non siate dunque loro compagni; perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la lettera agli Efesini, sulla quale vogliamo riflettere oggi, si propone di affrontare il tema dell’unità della chiesa, unità che è messa in pericolo dalla diversità dei convertiti al cristianesimo: quelli provenienti dal paganesimo e quelli di origine ebraica.

L’intenzione dell’autore è chiara, la chiesa con le sue diversità spirituali, teologiche, umane, non può che essere una, unita, e questa unità deve essere chiara, evidente, deve essere mantenuta, vissuta. Perciò abbondano delle norme che diano la testimonianza di credenti autentici, di una chiesa unita nella testimonianza; per questo troviamo una serie di regole per le mogli, i mariti, i figli, i padri, i padroni, i servi ai quali è domandato di essere imitatori di Dio.

Imitatori di Dio. Un po’ forte per noi protestanti, pensare che possiamo imitare Dio eticamente o in qualche altro modo. Per l’autore però non ci sono dubbi: si può essere imitatori di Dio. In che senso? Bisogna ricorrere al versetto che precede il nostro brano per capirlo. Questo versetto (4,32) dice: «Perdonatevi a vicenda come Dio ci ha perdonati». E nel nostro brano l’autore aggiunge: «Perché siete figli da lui amati». Dunque l’amore di Dio permette il perdono e l’amore di cui siamo amati ci dà la possibilità di amare, quindi di perdonare a nostra volta.

Per l’autore biblico non ci sono scuse, non ci chiede di essere come Dio, ma ci spiega soltanto che l’amore di Dio è un fatto divino che irrompe nella nostra vita e ci rinnova. Questo significa che riceviamo una possibilità nuova che prima non avevamo, la possibilità di amare e il primo frutto dell’amore è la capacità di perdonare. Non si può amare senza perdonare e, viceversa, non si può perdonare senza amare.

Testo della predicazione: Romani 5,1-5

«Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato».

Sermone

    Cari fratelli e sorelle, cari bambini e bambine della Scuola domenicale, questo brano della Bibbia ci parla della pace e ci dice che la pace ci è donata da Dio. È regalo che Dio ci fa. Noi dobbiamo solo prenderlo, accettarlo e vivere ogni giorno nella dimensione di questa pace. L’apostolo Paolo che scrive, dice: «Abbiamo pace con Dio».

È successo che Gesù è venuto sulla terra per dirci che potevamo fare la pace con Dio, quando tutti credevano che non era possibile, Gesù è venuto per permettere che succedesse davvero la pace, per questo non ha reagito quando lo hanno ucciso e messo sulla croce: Gesù annunciava la pace con Dio e allora non si è opposto con la violenza, né con l’aggressione e non ha sguainato una spada per difendersi dai cattivi. La violenza, invece, produce sempre la guerra; la violenza fa diventare nemici le persone, con la violenza si fa solo del male, dalla violenza non viene la pace, ma l’odio.

Ma allora, se non possiamo annientare le persone cattive, quelle che fanno il male, quelle che odiano, che uccidono, che rubano, come possiamo vivere in pace?

Se non possiamo farle sparire con un colpo di bacchetta magica possiamo però credere che ci sono altri modi affinché vi sia la pace sulla terra. È importante avere questa speranza! Sapete, la speranza è qualcosa di grande, molto grande. La speranza non è l’ultima cosa da fare, non si spera per un futuro migliore perché tutto è andato storto.

L’apostolo Paolo che scrive questo brano della Bibbia, ci dice che la speranza viene dalla certezza dell’amore di Dio. Quanto più Dio ci ama, tanto più possiamo sperare nel nostro futuro di pace.

«La speranza non delude mai» dice l’apostolo, sapete perché? Perché la speranza permette il cambiamento, la speranza trasforma le situazioni, apre nuove vie, nuove porte, anche quando sembra che tutto sia perduto. È una grande forza la speranza.

Testo della predicazione: Luca 15,11-32

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. Ed egli divise fra loro i beni. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi’”. Egli dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. E si misero a fare gran festa. Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. Quello gli disse: “È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”. Il padre gli disse: “Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, è da qualche mese che mi affascina particolarmente la parabola del padre misericordioso come oggi spesso viene, secondo me giustamente, intitolato il brano di Luca 15 che abbiamo appena ascoltato. Mi affascina perché esistono tante interpretazioni diverse e fra le tante interpretazioni anche un bel po' di sfumature.

Già il modo in cui nelle Bibbie viene intitolata la parabola da un'idea della varietà delle interpretazioni: il figlio prodigo, il figlio perduto e ritrovato, i due figli, il padre misericordioso …

Oggi noi siamo in festa, celebriamo la nostra libertà raggiunta 168 anni fa per via delle lettere patenti di Carlo Alberto. Ed è di festa che parla la parabola, di una gran festa, chiedendoci se noi siamo in grado di festeggiare davvero o se siamo come i due figli che hanno delle visioni del padre proprio non di festa ma di guastafeste.

Ma andiamo con ordine.

Sappiamo che il figlio maggiore, quello rimasto a casa, non riesce a fare festa. Ma forse nemmeno il figlio minore non è capace di godersi la festa organizzata dal padre. I due figli quindi incapaci di festeggiare? Perché? Perché in fondo è una questione di narrazione, quale narrazione è la mia dell'evento e quale è quella del padre?