Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Sermoni domenicali

Archivio dei sermoni domenicali

Categorie figlie

Bellonatti

Bellonatti (175)

Archivio dei sermoni domenicali

Visualizza articoli ...
Airali

Airali (87)

Archivio dei sermoni domenicali

Visualizza articoli ...

Testo della predicazione: Galati 5,16-25

Io dico: camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro; in modo che non potete fare quello che vorreste. Ma se siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge. Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c'è legge. Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25 Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, come protestanti facciamo fatica ad accettare la serie di cataloghi contenuti nel brano biblico alla nostra attenzione, cataloghi che ci indicano ciò che possiamo e non dobbiamo fare; ci mettono perfino in imbarazzo perché escludono la nostra coscienza e la nostra libertà di compiere scelte responsabili, ci obbligano ad andare in un’unica direzione, e non ci permettono di riflettere sulle situazioni che siamo chiamati ad affrontare lungo la nostra strada.

Eppure, anche l’apostolo Paolo è d’accordo con noi, quindi cerchiamo di capire che cosa vuole dirci in questo brano.

L’apostolo prende qui in considerazione il tema della volontà di Dio e quella nostra, prende in esame il modo di vivere la nostra vita come credenti quando è ispirata dallo Spirito e quando è ispirata dalla nostra volontà, dai nostri desideri umani, dal nostro egoismo.

Il risulto della riflessione di Paolo è che i due modi non sono conciliabili, sono due strade opposte tra loro, vanno in direzioni opposte e portano lontano, a risultati completamente diversi.

I desideri umani sono chiamati dall’apostolo “carne” con una accezione negativa, che significa essere schiavi, non riuscire a liberarsi, significa vivere e produrre opere malvagie, che fanno male al prossimo, a chi ci è vicino o lontano, opere che infliggono violenza, producono inimicizie, abbattono ponti, interrompono relazioni, promuovono divisioni, discordie, conflitti, aggressività, cultura di morte.

Testo della predicazione: Marco 6,32-44

Partirono dunque con la barca per andare in un luogo solitario in disparte. Molti li videro partire e li riconobbero; e da tutte le città accorsero a piedi e giunsero là prima di loro. Come Gesù fu sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore; e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendo già tardi, i discepoli gli si accostarono e gli dissero: «Questo luogo è deserto ed è già tardi; lasciali andare, affinché vadano per le campagne e per i villaggi dei dintorni e si comprino qualcosa da mangiare». Ma egli rispose: «Date loro voi da mangiare». Ed essi a lui: «Andremo noi a comprare del pane per duecento denari e daremo loro da mangiare?» Egli domandò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Essi si accertarono e risposero: «Cinque, e due pesci». Allora egli comandò loro di farli accomodare a gruppi sull’erba verde; e si sedettero per gruppi di cento e di cinquanta.
Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci, e, alzati gli occhi verso il cielo, benedisse e spezzò i pani, e li dava ai discepoli, affinché li distribuissero alla gente; e divise pure i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e furono sazi, e si portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane, ed anche i resti dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila persone.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’evangelista Marco ci racconta che dopo aver chiamato i suoi discepoli, Gesù opera miracoli: comincia a guarire, a insegnare e a predicare, le tre attività di Gesù: terapeutica, didascalica e kerigmatica. Prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù compie diversi miracoli in presenza dei suoi discepoli che, addirittura, avevano assistito alla risurrezione della figlia di Iairo, oltre a ciò avevano udito i suoi insegnamenti, la sua predicazione, eppure, qui nel nostro racconto, i discepoli sembrano increduli e incapaci di affrontare un pro­blema.

Qui la loro natura umana emerge in tutta la sua spontaneità, perciò quando Gesù dirà loro: “da­te loro voi da mangiare” essi rispondono che è una cosa impossibile, perché non hanno 200 denari per comperare cibo per tutti: 200 denari era la paga annua di un lavoratore! Ai discepoli non mancava la disponibilità, ma certamente mancavano i mezzi. Le loro forze, davanti al problema di sfamare tante gente, erano esigue, insignificanti.

I discepoli avevano, forse, ciò che era appena sufficiente per loro stessi, e per nulla abbondante. Ma da lì a poco assisteranno a qualcosa di grandioso che non è la moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci in sé, ma qualcosa che vi sta dietro, qualcosa che ha permesso che quel poco bastasse per tutti.

C’è chi in questo miracolo sottolinea lo sbalordimento dei disce­poli, o magari del Dio che sbalordisce e che si mostra onnipotente contro la piccolezza e l’insensatezza umane; altri sottolineano la capacità miracolistica di Gesù per conferirgli la giusta autorità e il giusto ruolo di Messia.

Testo della predicazione: Matteo 6,24

«Nessuno può servire due padroni, perché odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, a nessuno di noi piacerebbe avere un padrone, essere servi di qualcuno. Spesso i capi dell’ambiente lavorativo che si comportano da padroni sono sempre un po’ invisi, se non odiati. A volte, non sono neppure padroni dell’azienda, ma solo dei superiori a cui si deve obbedienza. Qui Gesù, addirittura, deve sottolineare con forza che nessuno deve avere due padroni, ma che ce ne basta uno solo.

Voi sapete che c’è chi dice che la poligamia nella Bibbia non è stata mai proibita e che neppure Gesù l’abbia fatto. Quando, dunque, un protestante incontrò un mormone che insisteva sul fatto che non esiste un’imposizione della monogamia nella Bibbia, il protestante rispose: «Certo che Gesù proibisce la poligamia, proprio là dove dice che un uomo non può servire due padroni».

È una battuta!

Tornando seriamente al nostro testo, dobbiamo constatare che la Bibbia non propone mai l’antitesi tra servire qualcuno oppure essere liberi; la scelta non è tra porsi al servizio di Dio, o al servizio del peccato, o per proprio conto, come se ci fosse una terra di nessuno, una zona neutrale dove collocarsi. L’apostolo Paolo è chiaro, non sono tre le scelte, ma due: servire chi conduce alla morte, e cioè il peccato, oppure servire Dio che dona la libertà: Israele, che è liberato dalla schiavitù dell’Egitto, si pone al servizio di Dio, ed ecco i Dieci comandamenti, ed ecco la Terra promessa, ma il deserto non è un luogo adatto per vivere.

Il servizio, dunque, è il nostro destino, a noi sta la scelta di chi servire. Ma la condizione del servire non è mai un peso impossibile che ci viene posto sulle spalle, è semmai conseguenza dell’amore di Dio per noi che ci offre la possibilità di amare il prossimo e amare il prossimo significa servire il prossimo: con il nostro lavoro, la nostra professionalità, le nostre competenze, la nostra sensibilità gentile, accogliente…

Testo della predicazione: Matteo 5,2-10

Gesù insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli».

Sermone


Cari fratelli e care sorelle, le beatitudini, nel Vangelo di Matteo, sono l’apertura della predicazione di Gesù che annuncia il Regno di Dio. Le beatitudini sono legate al Regno di Dio che avanza tra gli esseri umani, sulla terra; i credenti che offrono se stessi, la loro vita, il loro tempo, i loro beni, sono strumenti di Dio nella storia umana, affinché il suo Regno venga davvero. Allora, i poveri, gli afflitti, i mansueti, coloro che hanno fame di giustizia, coloro che hanno misericordia verso gli altri, coloro che hanno un cuore puro, chi costruisce la pace, sono persone chiamate a essere testimoni e annunciatori del Regno di Dio. Tutto questo, perché il «Regno di Dio» non è una ideologia e basta, ma una realtà fatta di uomini e di donne, di figli e figlie di Dio.

Qui «beato» non sta per colui che, dopo morto, è avviato a un processo di beatificazione, ma beati sono i vivi, non i morti. In fondo potremmo anche tradurre la parola beati con «felici» perché Gesù parla di felicità, di gioia. Quindi, le beatitudini sono un invito alla felicità.

Gesù invita la chiesa, noi, a esprimere la felicità che Dio ci offre, non a concentrarci tristemente sui mali che affliggono tutti senza affrontarli con la forza che Dio stesso ci dona, affinché possiamo andare oltre il dolore, la sofferenza, il male, per trovare anche noi la pace e la felicità. Invece, tante volte al culto, non esprimiamo questo, non siamo allegri, mentre Gesù ci chiama ad essere la chiesa delle beatitudini, a riflettere la gioia di Dio.

Testo della predicazione: Matteo 6,19-23

«Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. La lampada del corpo è l’occhio. Se dunque il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è malvagio, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebre, quanto grandi saranno le tenebre!

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi vi propongo un brano che il Corpo pastorale e diaconale del nostro Circuito ha scelto, è il secondo su cinque, sul tema del rapporto tra noi, Dio e i beni materiali. Oggi alla nostra attenzione vi è un brano dal Vangelo di Matteo che fa parte dei discorsi di Gesù raccolti nel “Sermone sul monte”. L’evangelista Matteo raccoglie alcuni detti che trattano, appunto, del valore da attribuire alle cose attorno a noi e alle persone.

Gesù è consapevole che tutti gli esseri umani hanno la tendenza ad accumulare beni e a raccogliere “tesori”, perché danno un senso di sicurezza. Oltre a ciò, è anche vero che le persone attribuiscono un alto valore sociale ad altre persone sulla base delle loro ricchezze e delle cose possedute.

Vi sono società nelle quali si è giudicati in base al bestiame posseduto, in altre società si è giudicati in base a pietre preziose, oro, argento posseduti oppure, nella la nostra epoca, che ha un’economia basata sul denaro, le disponibilità finanziarie permettono a chi le possiede di essere posto su un gradino sociale elevato.

Tali persone acquisiscono considerazione, stima, rispetto, i primi posti, conferimento di privilegi particolari perfino quando si tratta di persone che hanno commesso atti di illegalità o sono stati pure condannati dai tribunali.

Testo della predicazione: Deuteronomio 28,1-8

«Se tu ubbidisci diligentemente alla voce del Signore tuo Dio, avendo cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti che oggi ti do, il Signore, il tuo Dio, ti metterà al di sopra di tutte le nazioni della terra; e tutte queste benedizioni verranno su di te e si compiranno per te, se darai ascolto alla voce del Signore tuo Dio. Sarai benedetto nella città e sarai benedetto nella campagna. Benedetto sarà il frutto del tuo seno, il frutto della tua terra e il frutto del tuo bestiame; benedetti i parti delle tue vacche e delle tue pecore. Benedetti saranno il tuo paniere e la tua madia. Sarai benedetto al tuo entrare e benedetto al tuo uscire. Il Signore farà sì che i tuoi nemici, quando si alzeranno contro di te, siano sconfitti davanti a te; usciranno contro di te per una via e per sette vie fuggiranno davanti a te. Il Signore ordinerà, e la benedizione verrà su di te, sui tuoi granai e su tutte le tue imprese; ti benedirà nel paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il testo biblico alla nostra attenzione, parla di benedizioni per coloro che si attengono alla Parola di Dio e non si allontanano da essa: «Se ubbidisci diligentemente alla voce del Signore… se gli darai ascolto» allora sarai benedetto: “Sarai benedetto in ogni luogo tu ti trovi, sarà benedetto il frutto del tuo seno, i tuoi animali, la tua terra, il tuo paniere pieno di frutta, la tua madia piena di pane, tutto in abbondanza”. Saranno benedette le tue scelte (il tuo entrare e il tuo uscire), non avrai più paura dei tuoi nemici perché quando si rivolteranno contro di te, fuggiranno poi lontano in tutte le direzioni; sarai perfino in testa a tutte le nazioni: anche se è vero che l’Italia lo è già in testa alle nazioni, ma per la corruzione, la mafia, il malgoverno, la mancanza di servizi, soprattutto quelli sanitari e quelli rivolti verso i più deboli.

Dunque, sarai benedetto/a se ubbidisci alla Parola del Signore. Per certi versi, sembra un ricatto, quello dovuto al fatto che la benedizione di Dio costi, che abbia un prezzo, il prezzo della ubbidienza. Perché? Lo vedremo in seguito.

Intanto bisogna dire che, nel nostro brano come, in genere, nella Bibbia, la promessa di benedizione ha a che fare con i beni materiali: la terra, la campagna, la città, i frutti, il bestiame, il pane, i nemici, ecc… Perché? È voluto da Dio il materialismo e alle ambizioni umane egoistiche di benessere e ricchezza economica?

«Io non sono nulla» dice l’apostolo Paolo, «Dio è tutto». Del resto, la Scrittura dice: «Tutte le nazioni sono come nulla dinanzi a Dio, egli le reputa meno di nulla, una vanità» (Isaia 40,17). Oggi, molti nostri contemporanei capovolgono questa affermazione nel suo contrario e dicono: «L’uomo è tutto, Dio non è nulla». Ma l’apostolo Paolo dice chiaro e tondo: «Io non sono nulla, Dio è tutto».
Ma è proprio vero che Paolo non è nulla? No, non è vero. Paolo è qualcosa, anzi è molto. Egli dice di sé: «Io ho piantato», cioè ha fondato molte chiese. Una nullità non riesce a fondare chiese come ha fatto Paolo: fondare una chiesa è un’impresa stupenda, per non dire miracolosa. Neppure Apollo, il collega di Paolo nell’apostolato, è nulla: lui infatti «ha annaffiato», cioè ha continuato e sviluppato l’opera di Paolo. Ma allora perché Paolo dice che lui e Apollo sono nulla e che Dio è tutto?

Lo dice perché essi sono sì importanti per piantare e annaffiare, ma sono nulla per la crescita, perché la crescita è unicamente opera sua; Dio è tutto per la crescita, mentre Paolo e Apollo sono tutto per piantare e annaffiare, ma sono nulla per far crescere; ma per far crescere cosa? Per far crescere la chiesa, ovviamente, è della chiesa che qui Paolo sta parlando. Ma l’immagine che egli adopera è tratta da ciò che accade in natura, dove possiamo piantare e annaffiare, ma non possiamo far crescere.

Testo della predicazione: Luca 12,15-21

Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: “Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?” E disse: “Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all’anima mia: ‘Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti’”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?” Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, Gesù apre un argomento alquanto spinoso davanti a una folla che lo ascoltava. Coglie lo spunto da una domanda circa l’eredità di due fratelli, per dire quanto il problema del possedere fosse grande.

È un problema, perché si insinua in modo subdolo, inficiando la nostra vita di elementi che le fanno perdere l’orientamento e perfino il senso. Gesù parla dunque, di avidità di ricchezze, di possesso di denaro, ma anche di potere che si acquista con la ricchezza. Si dice anche oggi: «Chi paga, comanda».

Bisogna anche notare che Gesù non dà nessun giudizio negativo al fatto che questo agricoltore sia ricco o che i suoi campi abbiamo dato un raccolto abbondante. Gesù pone l’accento sull’autoreferenzialità dell’uomo, egli parla solo a se stesso, non vede nessuno oltre a sé, non c’è un orizzonte all’interno del quale ci sia qualcun altro, non c’è un guardare oltre se stesso, non c’è un progetto di vita nel quale sia incluso qualcun altro.

La sua vita appartiene solo a se stesso, i suoi progetti riguardano solo lui. Qualcosa di profondamente sbagliato anche nella cultura ebraica, secondo la quale, tutti apparteniamo a Dio e a lui rivolgiamo la nostra riconoscenza per la vita e per i beni che dci offre per vivere.

Nel racconto, nulla di tutto questo è tenuto in considerazione. Ciò che appare è solo l’uomo e la sua anima con cui egli parla, cioè con se stesso. La ricchezza è fine a se stessa, così come il raccolto, il denaro, la vita stessa; nulla ha uno scopo umano, sociale; nulla ha un riferimento con la vita nel suo insieme, una vita che include il prossimo, gli amici, i famigliari stessi. Certo, l’agricoltore sarà un uomo solo, ma si capisce anche perché è solo: perché non vede altri che se stesso, questo fa la ricchezza, il possesso, non fa vedere oltre se stessi.

Testo della predicazione: Matteo 15,21-28

Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele». Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!». Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».  Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, una donna pagana distoglie l'attenzione su Gesù, grida dietro al corteo che segue Gesù. È una donna non ebrea che si rivolge a Gesù, ad un maestro ebreo per rivolgergli la preghiera di guarire sua figlia affetta da una grave malattia, forse è epilettica o qualcosa legata a forme improvvise di crisi, è tormentata, dice il nostro testo, da un demone maligno.

Ma l'attenzione del brano biblico non si ferma su questo aspetto, ma sul rapporto che la donna vuole instaurare con Gesù. Perciò grida per farsi sentire da lui, non si può avvicinare troppo a Gesù perché è pagana e quindi potrebbe contaminare il maestro, come chi ha una malattia contagiosa, come la lebbra. Ma la donna non si arrende, non si perde d'animo, e grida per farsi sentire da Gesù.

Però «Gesù non le rivolge la parola» dice l’evangelista. Gesù è muto, e il suo silenzio è pesante, strano, urtante… proprio lui, che è il consolatore degli afflitti; lui, che ha rasserenato coloro che piangono, che ha soccorso i tormentati; lui, che ha guarito tante persone, alla donna non risponde nulla.

Gesù è indifferente, e quando i discepoli, seccati dalle urla della donna, chiedono a Gesù di fare qualcosa per mandarla via, allora Gesù le rivolge la parola come farebbe qualunque ebreo che odia i pagani; le si rivolge in modo ostile: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cani». I cani erano gli infedeli, coloro che non erano degni di Dio. Gesù sta dando del «cane» alla donna. Una risposta che la donna non avrebbe mai voluto ascoltare da un maestro pio e religioso.

Questa donna, senza nome, non si arrende e, al rifiuto di Gesù, risponde con grande fede. Non si era arresa davanti al silenzio di Gesù e, ora che Gesù le parla in modo da annullare il suo rapporto con lei, la donna gli risponde perfino con umorismo: «Dici bene, Signore; eppure anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».