Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti
Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50
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Archivio dei sermoni domenicali
Testo della predicazione: Romani 14,17-19
«Il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione».
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, lo scrittore Luigi Pintor, narrando un momento della lunga malattia della moglie scrisse questa considerazione:
«Non c’è,
in un intera vita,
cosa più importante da fare che chinarsi affinché l’altro,
cingendoti il collo,
possa rialzarsi».
L’apostolo Paolo ha in mente questo atteggiamento del chinarsi verso l’altro/a, quando scrive questo brano e i capitoli poco precedenti. L’apostolo parla a lungo della grazia e della misericordia di Dio, ma ora ci spiega che non si tratta di sole riflessioni teologiche, ma di vere ogni giorno, nelle nostre faccende quotidiane, la misericordia. Perciò dice: «Vi esorto a trarre le conseguenze da quello che avete fin qui ascoltato».
L’apostolo parla della pratica della misericordia, della compassione, della pietà umana, della generosità che non possono essere vissuti solo interiormente, ma condivisi con il prossimo, con la comunità dei credenti, con la società nella quale viviamo.
L’apostolo ci indica le linee guida circa l’agire di noi credenti, sottolineando innanzitutto l’importanza dell’amore.
Romani 10,9-17
Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura dice:
«Chiunque crede in lui, non sarà deluso». Poiché non c'è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c'è chi lo annunci? E come annunceranno se non sono mandati? Com'è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunciano buone notizie!» Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?» Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo.
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, la storia nei confronti del popolo ebraico è stata molto crudele: penso a tutte alle persecuzioni subite nel corso dei secoli, penso all'olocausto nazista perpetrato con l’accusa di deicidio: gli ebrei avevano ucciso Gesù, il Cristo, il figlio di Dio e per questo dovevano essere puniti: inutile dirlo che tale giustizia era considerata la volontà di Dio che si attuava attraverso il regime: "Gott mit uns" diceva il motto nazista "Dio con noi".
Spesso anche noi ci domandiamo come mai proprio gli ebrei non hanno creduto alla parola di Cristo, loro che lo hanno udito predicare, ebreo tra ebrei, loro che lo hanno visto compiere miracoli, annunciare il Regno di Dio ai poveri e, infine, morire sulla croce perdonandoli. Spesso si avvera alla lettera il proverbio che dice: “Nessuno è profeta in patria”.
E’ vero che nel Nuovo Testamento vi è quasi una sottile accusa contro gli ebrei non convertiti, a loro viene detto: "Voi l'avete ucciso", è Pietro che lo dice nella sua predicazione pubblica, è Stefano che lo annuncia prima della sua morte. Non si tratta di un'accusa, ma di una constatazione "…e continua a rimanere morto per chi non crede". D'altra parte come si può negare che anche i discepoli non fossero responsabili della morte di Gesù? Essi lo abbandonarono nel Getsemani e Pietro lo rinnegò tre volte. E poi, non siamo anche tutti noi, che viviamo nella nostra epoca, responsabili della morte del Signore a causa del nostro peccato?
Testo della predicazione: 2 Timoteo 1, 7-10
Dio ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d'amore e di autocontrollo. Non aver dunque vergogna della testimonianza del nostro Signore, né di me, suo carcerato; ma soffri anche tu per il vangelo, sorretto dalla potenza di Dio. Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità, ma che è stata ora manifestata con l'apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il vangelo.
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, il testo che abbiamo appena letto è tratto dalla seconda lettera che l'apostolo Paolo scrive al suo discepolo Timoteo.
Il contesto in cui Paolo scrive non è dei più facili. Sono gli anni da poco successivi alla morte di Gesù e all'inizio della diffusione del Vangelo, ovvero della Buona Novella. In quegli anni non di rado i cristiani, e coloro che professavano apertamente la loro fede in
Cristo Gesù, erano oggetto di feroci di persecuzioni. Lo stesso Paolo, prima della sua conversione sulla via di Damasco, faceva parte di coloro che perseguitavano, con particolare tenacia, tutti quelli che avevano abbandonato l'ebraismo e si erano convertiti al
Cristianesimo. Possiamo, infatti, leggere in Galati: «Voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza la chiesa di
Dio, e la devastavo; e mi distinguevo [nel giudaismo più di molti coetanei] tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri».
In questo contesto, le paure e i dubbi che il giovane Timoteo si trova ad affrontare sono comprensibili, anche nel dover gestire una comunità da poco formatasi ed ancora in fase di consolidamento.
Tutta via, come questa epistola ci ricorda, Dio ci invita a non avere paura, a non essere timidi e ad essere forti. Ma la forza non basta, bisogna anche avere autocontrollo ed essere amorevoli, anche verso coloro che ci vessano e ci causano mali. Lo stesso Paolo, citando il libro dei proverbi, dice: «Se il tuo nemico ha fame dagli del pane da mangiare; se ha sete dagli dell'acqua da bere e il Signore ti ricompenserà».
Il signore ti ricompenserà… ah, la ricompensa.
Quante cose facciamo perché in fondo speriamo in una ricompensa?
Testo della predicazione: 1 Pietro 5,5c-11
«Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo; gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente. A lui sia la potenza, nei secoli dei secoli. Amen».
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera di Pietro scrive a dei credenti dell’Asia Minore che vivono una situazione di pericolo a causa delle persecuzioni rivolte ai cristiani del primo secolo; probabilmente quelle ordite dall’imperatore Domiziano.
Chi scrive si rivolge a questi credenti molto provati, chiedendo loro di non ribellarsi a Dio, ma di vivere umilmente quella condizione.
È difficile accettare quanto è richiesto a questi credenti che sembra siano trattati come responsabili dei pericoli che vivono e sono dunque ammoniti così: «non siate superbi piuttosto umiliatevi davanti a Dio». In effetti, anche chi ha ragione può farsi torto con la sua arroganza. E sembra che questi credenti cui è rivolta la lettera siano un po’ sdegnosi agli occhi della gente, ma anche di Dio che li rimanda indietro, perché Dio accoglie chi si presenta senza nulla pretendere, nell’umiltà e nella disponibilità al servizio e al dialogo.
In sostanza, questa lettera di Pietro vuole insegnare un modo di essere che rientra nella logica della gratuità e dell’amore di Dio; vuole insegnare ai credenti che vorrebbero abbandonare la fede a causa della violenza del mondo, di perseverare e che è sbagliato rispondere alla violenza con la violenza.
Il testo biblico comunica il messaggio che l’azione dell’amore non agisce mai con veemenza e aggressività nel confronti del persecutore, ma con la semplice e nuda nonviolenza, con la resistenza passiva, che è intelligenza e non istintività, calma non nervosismo, delicatezza non insensibilità, tatto non maleducazione. Infatti, l’amore è proposta, non imposizione, l’amore non si pone sul piano dei ricatti morali; è umiltà, non superbia, è fiducia nell’accogliere la scelta di Dio, quella di amarci, è una scelta nostra, quella di accogliere l’amore che cambia noi, e cambia l’atteggiamento attorno a noi. L’amore non può essere aggressivo, violento, geloso, pettegolo, tutto ciò rinnega l’amore, è egoismo.
Testo della predicazione: Romani 8,31-35.38-39
Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi. Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l’apostolo Paolo che scrive questo brano, riflette sul senso della vita; parlare del senso della vita significa anche parlare delle prove della vita, del senso della morte di Cristo per noi e della nostra morte. L’apostolo si domanda come mai i credenti possono essere vittima delle sofferenze e del dolore del mondo.
Perché i credenti in Cristo non sono risparmiati da quella che a noi appare una forza aggressiva e violenta, dirompente, che provoca distruzione e morte nel mondo? Perché Dio permette che esista? Perché Dio non pone fine al male con la sola forza della sua onnipotenza? Perché ha permesso Auschwitz? Perché tante persone innocenti soffrono e muoiono a causa del male nel mondo?
L’apostolo cerca di dare un senso alla vita e alla storia dei credenti spiegando che Dio stesso è stato vittima del male del mondo, che Dio stesso ha sofferto la perdita di suo Figlio sulla croce. ¿Dov’era Dio quando Gesù moriva a causa della malvagità umana? Dio era là, sulla croce, era con il nostro Gesù, con il suo Gesù, che soffriva, che moriva, ma in questo modo ha dimostrato che esiste qualcosa di molto più grande e potente del male e della violenza del mondo: l’amore, il suo amore, per il mondo, per tutti gli esseri umani, un amore dal quale nessuno può separarci, neppure la morte stessa, dice l’apostolo.
Il battesimo di Luca, che abbiamo celebrato oggi, ha questo significato: a Luca, Dio dice: «Io ti amo, sempre, qualunque cosa ti riservi la vita, e non ti lascerò mai solo». Il battesimo è l’atto di Dio nel quale Dio stesso ci fa una promessa: «Io mi prenderò cura di te, sempre, anche quando la violenza e il male del mondo prenderanno il sopravvento, quando l’odio, l’ostilità, l’intolleranza e il disprezzo saranno più grandi delle tue forze e della tua immaginazione, il mio amore non verrà mai meno, contaci!».
Dov’era Dio quando accadeva la violenza cieca di Auschwitz? Era lì, ad Auschwitz, come sulla croce, che moriva con loro, con i condannati a morte. Perché?
Testo della predicazione: Matteo 25, 14-29
«Un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle,
vi propongo una ri-lettura, in chiave moderna, della parabola dei talenti, che abbiamo ascoltato nel Vangelo di Matteo.
Vi era un Maestro, di grande fede e intuito, il quale credeva profondamente nel riscatto e nella salvezza dell’umanità. Aveva visto e vissuto tanta violenza e sopraffazione, oppressione e schiavitù; così intraprese la via di una ricerca per insegnare l’arte della pace e della giustizia, nella prospettiva di insegnare agli abitanti della sua terra il segreto per superare la violenza che ognuno ha dentro di sé, la guerra e l’uso delle armi.
Aprì una scuola, il cui ingresso era aperto a tutti, ma per entrare si richiedeva grande dedizione e partecipazione, impegno e coraggio. Il Maestro era molto esigente: non poteva rischiare di fallire quando era in atto un’operazione strategica di diplomazia tra due stati; era estremamente vitale che le parti in causa chiarissero le loro divergenze e si stringessero la mano.
La sua terra andava sempre più verso una deriva da cui non si sarebbe più tornati indietro: i pochi ricchi possedevano 80% delle risorse, i tanti poveri, invece, disponevano di briciole lasciate cadere dalle tavole imbandite dei ricchi. Stava per innescarsi una grande rivolta planetaria degli uni contro gli altri che avrebbe condotto all’autodistruzione.
Testo della predicazione: Efesini 5,8b-14
Comportatevi come figli di luce - poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - esaminando che cosa sia gradito al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce. Per questo è detto: «Risvègliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce.
Sermone
Cari fratelli e sorelle, il testo biblico della lettera agli Efesini vuole far riflettere i credenti: parla della svolta della loro vita, della conversione, parla di quello che i credenti erano prima e di quello che sono diventati dopo, per grazia di Dio.
Ma di che si tratta? Cos'erano i credenti prima di credere? E che senso può avere che diventino qualcos'altro?
L'autore della lettera agli Efesini ha le idee chiare: sostiene che, per natura, l'essere umano è portato a vivere nelle tenebre, cioè nella prigione della sua umanità, all'interno delle sue contraddizioni, dei suoi limiti, della sua parzialità. Per natura, non riesce ad andare al di là di se stesso e, se volesse riscattarsi da questa condizione con le proprie forze, non farebbe che peggiorare la sua situazione.
Tutti, infatti, abbiamo la tendenza a fare da soli, a essere indipendenti, autonomi dagli altri, la sappiamo più lunga e abbiamo più ragione degli altri: in fondo questo atteggiamento si chiama “orgoglio” che ha come presupposto il fatto di ritenersi capaci e adeguati allo scopo che vogliamo affrontare. Tuttavia, così facendo, dimostriamo solo di essere testardi e ostinati, accentuando la nostra contraddizione umana.
È come se un cieco avesse la pretesa di dirigersi, da solo, in modo disinvolto, alla conquista del mondo. Ebbene, questo è l'essere umano, per sua natura, secondo la Bibbia: un essere che da solo non ha la capacità di riscattarsi dalla sua condizione umana di peccato.
Dunque, diventa chiara la necessità dell'intervento propizio di Dio. Ma cosa accade quando Dio interviene?
Testo della predicazione: Atti 2,41-47
Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati. Ed erano perseveranti nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere. Ognuno era preso da timore; e molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli. Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati.
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, il libro degli Atti degli apostoli descrive una comunità cristiana quasi perfetta, modello da imitare; in sostanza, l’autore del libro, Luca, ci presenta una comunità a cui ispirarsi, verso la quale tendere.
Dunque di che si tratta? Di che modello comunitario stiamo parlando?
Innanzitutto parliamo di una comunità perseverante.
La comunità degli inizi non fonda il suo stile di vita su un entusiasmo momentaneo destinato a sopirsi, non agisce sull’onda emozionale di eventi forti e miracolosi che la rendono attiva e vivace, non è una comunità di esaltati. La comunità cristiana è chiamata a essere una chiesa perseverante, cioè lontana dallo scalpore e dall’eccitazione fanatica, non vive perché lei ha ragione e gli altri hanno torto, non si contrappone a nessuno: è perseverante.
Ma in che cosa persevera questa chiesa degli inizi dell’era cristiana? È perseverante rispetto a quattro elementi che la caratterizzano profondamente, che le danno un senso e significato:
1) Il PRIMO elemento è la perseveranza nell’insegnamento degli apostoli: si tratta dell’ascolto della PAROLA, la Parola di Gesù, quella che gli apostoli trasmettono, è il punto di partenza della chiesa, non esiste la chiesa senza la Parola di Gesù, senza che vi sia la predicazione della Parola di grazia e di perdono. Quindi non è da confondere con una ideologia o un tipo di moralismo, ma è testimonianza degli insegnamenti di Gesù, ubbidienza al Signore che rivela il suo amore per tutti. Questa Parola è quella che fonda i credenti e la chiesa stessa.
2) Questa Parola produce il SECONDO dei quattro momenti che danno senso alla chiesa: la comunione fraterna, in greco koinonìa, che è comunione con Dio e unione tra i credenti; essi hanno quindi la stessa e fede, dono di Dio, lo stesso progetto di vita. Lo Spirito che permette la predicazione della Parola, è lo stesso Spirito che permette la koinonìa, la comunione fraterna; è questo il vero miracolo di Pentecoste: lo Spirito forma un corpo unico, la chiesa, quello dei credenti, dall’incontro di gente diversa.
Testo della predicazione: Lettera ai Romani 6,3-8
Ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; infatti colui che è morto è libero dal peccato. Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui.
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, in questo brano della Bibbia, l'apostolo Paolo parla della morte e le dà un significato positivo: infatti non parla della nostra morte fisica, ma di una morte che diventa il presupposto per una vita da vivere pienamente, qui e ora, una vita che ha senso, degna di essere vissuta: questo significa, per l’apostolo, la vita eterna. Egli, quindi, parla di una morte che in realtà è nascita, culla della vita.
Ma in che senso?
Innanzitutto vediamo che Paolo mette in rapporto la morte di Gesù Cristo con la nostra morte, e parla della nostra morte non come di qualcosa che deve ancora avvenire, ma che è già avvenuta.
Quando?
L’apostolo, in sostanza, vuole parlare dell’avvenire dei credenti, del loro futuro, partendo dal passato: l'avvenire dei credenti è un cammino alla cui fine non c'è la morte, ma la risurrezione; un cammino che parte dalla morte di Gesù sulla croce, una morte che ci riguarda, che ci coinvolge, che ci fa partecipare a quell’evento in modo che anche noi possiamo dire di aver “vissuto la morte”, e che perciò ci attende è la risurrezione.
Quindi il destino dei credenti in Cristo è legato al destino di Cristo, alla sua morte e alla sua risurrezione. Questo è il fondamento della nostra fede: Dio, nonostante la nostra mancanza di fede, la nostra ribellione, ci considera morti con Cristo (perché Cristo è morto per noi) e sceglie di essere dalla nostra parte, con noi, per noi con la risurrezione di Cristo e nostra.