Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Sermoni domenicali

Archivio dei sermoni domenicali

Categorie figlie

Bellonatti

Bellonatti (175)

Archivio dei sermoni domenicali

Visualizza articoli ...
Airali

Airali (87)

Archivio dei sermoni domenicali

Visualizza articoli ...

Testo della predicazione: Isaia 6,1-13

Nell'anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. L'uno gridava all'altro e diceva: «Santo, santo, santo è il Signore dell'universo! Tutta la terra è piena della sua gloria!» Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta e la casa fu piena di fumo. Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore dell'universo!» Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall'altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato».Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? E chi andrà per noi?» Allora io risposi: «Eccomi, manda me!» Ed egli disse: «Va', e di' a questo popolo: “Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!” Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!» E io dissi: «Fino a quando, Signore?» Egli rispose: «Finché le città siano devastate, senza abitanti, non vi sia più nessuno nelle case, e il paese sia ridotto in desolazione; finché il Signore abbia allontanato gli uomini, e la solitudine sia grande in mezzo al paese. Se vi rimane ancora un decimo della popolazione, esso a sua volta sarà distrutto; ma, come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la visione del profeta Isaia è una sorta di introduzione alla sua vocazione di profeta; dà legittimità e forza alla sua predicazione. È sottolineato che Dio stesso invia il profeta ad annunciare la Parola di Dio; la visione che abbiamo ascoltato dà al messaggio del profeta una grande autorità perché mette in rilievo il fatto che non si tratta di una parola umana, ma di ciò che Dio ha detto.

Dio è presentato come Colui che riempie il mondo con la sua gloria e la sua presenza: questo stanno ad indicare i lembi del manto di Dio che riempiono il tempio dove Isaia prega. Dio è sperimentato in questa forma possente, e tuttavia Egli rimane indescrivibile, incomprensibile nella sua totalità, imprendibile.

Dio sta sopra tutti e sopra ogni cosa, a Dio è diretto il canto dei Serafini: «Santo, santo, santo è il Signore, Dio dell’universo, tutta la terra è piena della sua gloria»; questo canto mette in evidenza tutta la pochezza e la parzialità dell’essere umano. Perfino gli angeli sono costretti a coprirsi il corpo perché anche loro partecipano alla natura di creature; se così è per gli angeli, come sarà per gli esseri umani?

Questa scena rivela che la santità di Dio è possibile comprenderla solo nella misura in cui noi comprendiamo la nostra condizione umana, la nostra caducità, la nostra debolezza; nella misura in cui riconosciamo il nostro peccato allora comprendiamo la santità di Dio.

Testo della predicazione: Vangelo di Giovanni 14,23–28

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi udite non è mia, ma è del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose, stando ancora con voi; ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti. Avete udito che vi ho detto: “Io me ne vado, e torno da voi”; se voi mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre, perché il Padre è maggiore di me.»

Sermone

Il capitolo 14 del Vangelo di Giovanni, inizia con la frase pronunciata da Gesù: «il vostro cuore non sia turbato»; frase che si ripete anche al versetto 27. Cosa può significare per noi oggi questa frase? L’essere coscienti del fatto che siamo in buone mani, quelle di Dio, e che Dio non ci abbandona nelle turbolenze dell’esistenza, ma ci accompagna, ci consola, ci fortifica, ci restituisce gioia e futuro.

Questo brano mette anche in evidenza come il Dio di Gesù Cristo sia un Dio plurale, che si mostra e che si avvicina a noi in molti modi e con molti volti: Padre, Figlio, Spirito. E lo Spirito Santo è una specie di filo rosso che lega tutti questi modi di Dio di venire a noi: lo Spirito che si manifesta nel momento del battesimo di Gesù, lo Spirito che scende sui discepoli riuniti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste, lo Spirito che accompagna il nostro stare insieme oggi nel nome di Gesù Cristo.

Testo della predicazione: Giovanni 16,23b - 28. 33

«In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose in similitudini; l’ora viene che non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi farò conoscere il Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome; e non vi dico che io pregherò il Padre per voi; poiché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono proceduto da Dio. Sono proceduto dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo, e vado al Padre. Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il brano del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato è inserito all’interno dei discorsi di addio che Gesù rivolge ai suoi discepoli. Gesù annuncia che essere credenti non sempre è facile; spesso può determinare sofferenze e persecuzioni, come quelle dei romani nei confronti dei cristiani della chiesa primitiva.

     Soprattutto dopo l’anno 70, accadde che le sinagoghe ebraiche espulsero gli ebrei che si erano convertiti alle fede in Cristo, lasciando così i cristiani esposti alle persecuzioni romane. Gli ebrei godevano, infatti, del privilegio di non rendere il culto all’imperatore, a questo privilegio non poterono partecipare così i cristiani i quali ritenevano che solo Cristo è Signore, solo Lui può ricevere adorazione e culto, non l’imperatore che si considera come Dio in terra. Infatti il Nuovo Testamento afferma più volte che Gesù è il Re de re e il Signore dei signori, anche il Re dell’imperatore.

     Per questo Gesù ricorda ai discepoli dicendo loro: «Vi espelleranno dalle Sinagoghe… nel mondo avrete tribolazione». I credenti possono illudersi che la loro coerenza cristiana, la loro fede, il loro impegno per il bene comune sia sempre ripagato con riconoscimenti, elogi e approvazioni, ma non è così. Gesù insegna che il male che vi è nel mondo ha un forte potere: il potere di soggiogare, di imprigionare, di rendere schiavi. E ciò può accadere in modo chiaro ed esplicito oppure in modo subdolo, in modo nascosto o inconsapevole: ci si crede liberi, ma si è dipendenti da ciò che produce male al prossimo.

Testo della predicazione: Matteo 11,25-30

In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».

Sermone

     Cari fratelli e care sorelle, il brano alla nostra attenzione è un vero e proprio inno di riconoscenza dedicato all’o­pera che Dio compie nei confronti dell’umanità.

     Tutto parte da una spontanea esternazione di Gesù che prende in considerazione la realtà del suo messaggio per il mondo.

     Chi riceve il messaggio di Dio? Chi ha compreso veramente la natura di Gesù e la sua missione? In questo inno il mondo viene diviso in due parti: da una parte vi sono i sapienti e gli intelligenti e, dall’altra, i bambini che non sono ancora sapienti, e non hanno ancora sviluppato le loro doti intellettive al meglio.

     Però è strano che la rivelazione di Dio non sia capita dai sapienti, da chi per primo dovreb­be intuire e comprendere meglio un messaggio, un ideale, un pensiero pro­fondo. No! La rivelazione di Dio non passa attraverso i canali ufficiali, o attraverso chi è capace di capire e di trasmettere filosofie antiche e nuove; qui i saggi e gli intelligenti diventano come un muro di gomma, dove la Parola di Dio rimbalza, non è assorbita, accolta, perché troppo diversa, non rispetta quei criteri minimi della logica umana.

     Perciò, la predicazione di Gesù è pazzia per chi cerca di capire con le proprie forze, con la propria logica umana, con i criteri filosofici più seri e rigorosi.

     Nella Bibbia, la consapevolezza dell’opera di Dio e della sua rivelazione, sono spesso raccontati con canti, come quello di Miriam, la sorella di Mosè (Esodo 15,21ss) che canta la liberazione dalla schiavitù egiziana, quello di Anna, la madre di Samuele, che canta per la nascita del figlio (1 Sam. 2,1ss); la stessa Maria, madre di Gesù (Luca 1,46), esprime la sua gioia a Dio con il Magnificat. Anche la chiesa canta, intona inni a Dio.

Testo della predicazione: Giovanni 15, 1-8

Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, Gesù si propone come vite, ma bisogna dire che questa immagine della vite non è estranea alla Bibbia, spesso, nell'Antico Testamento, è il simbolo della fecondità, della fertilità, del frutto abbondante e rappresenta il popolo d'Israele, fedele alla Parola del Signore, altre volte è presentata come una vite improduttiva o desolata e deludente per Dio.

Così i profeti parlano di questa vite:

«La mia vigna era feconda, ricca di tralci per l'abbondanza delle acque, aveva dei forti rami, si ergeva nella sua sublimità tra il folto dei tralci». (Ez. 19) «Io la dissodai, ne tolsi via le pietre, vi piantai delle viti di scelta, vi fabbricai un recinto e vi scavai dei canali per l'irrigazione. Cosa si sarebbe potuto fare di più per la mia vigna? Io mi aspettavo che facesse del­l'uva buona, invece ecco, ha fatto dell’uva selvatica dal frutto aspro» (Isaia 5).

Il profeta sottolinea l'amore con cui Dio ha curato quella vite, mentre i risultati sono stati deludenti, tanto che in seguito dirà:

«Trovai forse rettitudine? Nient'altro che spargimento di sangue! Trovai forse giustizia? Solo grida d’angoscia! Guai dunque, a quelli che assolvono il malvagio per un regalo e privano il giusto del suo diritto. La vigna è stata sradicata con furore e gettata a terra; il suo frutto è seccato e i suoi rami sono stati spezzati» (Isaia 5).

Allo stesso modo, Gesù parla della vite e dei tralci che non portano frutto: saranno gettati via, fatti seccare e buttati nel fuoco per bruciare in un forno per fare il pane.

Testo della predicazione: Giovanni 10, 11-16

Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga, e il lupo le rapisce e disperde. Il mercenario [si dà alla fuga perché è mercenario e] non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, cari bambini e bambine della Scuola domenicale, care monitrici, Gesù ci dice di essere per noi un buon pastore. Il pastore generoso di un gregge, un pastore che non ha a cuore la lana delle pecore o il loro latte, non il profitto che può ricavare da ogni pecora, ma il rapporto di affetto, e di amore, con ciascuna pecora, agnellino, con ciascuno di noi.

Gesù è il “Buon pastore” perché si prende cura del suo gregge, delle sue pecore anche a costo della sua vita. E sappiamo che questo è vero proprio perché Gesù è morto per noi, suo gregge.

La regola per tutti gli altri pastori è salvarsi la vita quando giunge un pericolo: per esempio quando giunge un branco di lupi e le pecore diventano una preda, o quando arriva inaspettata una tempesta o quando frana la montagna e c’è il rischio di finire in un dirupo. Per qualsiasi pastore, tornare a casa vivi è la cosa più importante.

Per Gesù è diverso: il buon pastore non può permette che le sue pecore muoiano, che siano vittima di violenza distruttiva che le schiacci. Il buon pastore dà perfino la sua vita perché le sue pecore vivano, perché il gregge sia salvato dai lupi che rapiscono le pecore e disperdono il gregge.

Testo della predicazione: Giovanni 20,19-29

La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi». Detto questo, soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti». Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!» Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò». Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!» Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, nei racconti degli evangelisti emerge, in modo determinante, la necessità di testimoniare al mondo, che l’annuncio del Cristo risorto non è stato una mera allucinazione dei discepoli, ma una realtà. I Vangeli vogliono testimoniare che i discepoli non sono stati dei visionari che hanno visto quello che volevano vedere, cioè il loro maestro “vivo e vegeto” dopo la morte, ma che hanno vissuto un’esperienza che li ha sorpassati, una realtà più grande della loro e della loro stessa immaginazione.

I Vangeli sottolineano che l’uscio era serrato per bene, e Luca, in particolare, spiega che i discepoli furono presi da una gran paura, tal­ché Gesù disse: «non abbiate paura, sono io». Ma il momento della visita di Gesù ai discepoli non sta a significare che tutto è tornato come prima, e che il momento della morte del maestro è stato un incidente di percorso a cui, adesso, Dio ha posto rimedio.

     «Pace a voi» dice Gesù, entrando nella stanza dove i discepoli si riunivano. Non è un semplice saluto, ma è una rivelazione. Spesso nell’Antico Testamento viene pronunciata una formula rivelato­ria simile, per esempio quando Gedeone (Giudici 6,23) è intimorito alla vista dell’angelo del Signore il quale gli dice appunto: «pace a te, non temere». Anche Daniele (Dan. 10,19), atterrito dall’apparizio­ne dell’angelo è rassicurato con le parole: «Pace a te».

Domenica, 05 Aprile 2015 12:21

Sermone di Pasqua 2015 (Marco 16,1-8)

Scritto da

Testo della predicazione: Marco 16,1-8

«Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome comprarono degli aromi per andare a ungere Gesù. La mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al levar del sole. E dicevano tra di loro: «Chi ci rotolerà la pietra dall’apertura del sepolcro?» Ma, alzati gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata; ed era pure molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane seduto a destra, vestito di una veste bianca, e furono spaventate. Ma egli disse loro: «Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato; non è qui; ecco il luogo dove l’avevano messo. Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi ha detto». Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro, perché erano prese da tremito e da stupore; e non dissero nulla a nessuno, perché avevano paura».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, le donne del racconto biblico hanno paura e fuggono via. La paura impedisce loro di parlare. Ma a queste donne, il giovane dentro il sepolcro vuoto dice: «Non vi spaventate! Gesù è risorto!».

Risurrezione, dunque, significa non avere più paura.

Eppure, le donne del racconto sono prese da paura e non riescono a uscire dal loro orizzonte di morte. Gesù è morto, e per loro è crollato tutto un mondo nel quale avevano creduto quando ascoltavano Gesù che parlava di un nuovo regno; sarebbe stato un regno di solidarietà, di giustizia, di speranza, d’amore. Per quelle donne, sulla croce era morta la speranza, l’amore, la solidarietà. Perciò quelle donne sono ferite nel profondo della loro anima, e non riescono a vedere oltre il loro dolore.

D’altra parte, nulla è più definitivo di una tomba!

Per quelle donne, come per noi, la tomba è la soglia oltre la quale non si può andare, davanti a una tomba non c’è speranza.

Terrorismo religioso che fare restare pietrificati davanti a una violenza inaudita che causa morti e stragi.
Illegalità che trasforma il diritto e l’equità in favoritismi.
Corruzione che si fa strada in chi è roso dall’avidità e dall’egoismo e adora un dio tutto d’oro che non né ha sentimenti né cuore.
Razzismo che impedisce l'incontro con chi è diverso da se stessi.
Disoccupazione che annienta la speranza del futuro.
Egoismo che fa morire la solidarietà.

Cosa c'è di più definitivo di una tomba?

Testo della predicazione: Giovanni 12,12-19

Il giorno seguente, la gran folla che era venuta alla festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme, uscì a incontrarlo, e gridava: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!» Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: «Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, montato sopra un puledro d’asina!» I suoi discepoli non compresero subito queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, allora si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui, e che essi gliele avevano fatte. La folla dunque, che era con lui quando aveva chiamato Lazzaro fuori dal sepolcro e l’aveva risuscitato dai morti, ne rendeva testimonianza. Per questo la folla gli andò incontro, perché avevano udito che egli aveva fatto quel segno miracoloso. Perciò i farisei dicevano tra di loro: «Vedete che non guadagnate nulla? Ecco, il mondo gli corre dietro!»

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, neppure oggi si è persa l’abitudine di correre dietro alle persone che ci promettono un futuro sereno, un lavoro duraturo, di pagare meno tasse: è umano.

Gesù si dirige a Gerusalemme dopo aver risuscitato il suo amico Lazzaro, e così un gran folla gli corre dietro; altri gli corrono incontro per proclamarlo Re d’Israele agitando delle palme.

Infatti era vicina la “Festa delle Capanne”, in cui Israele ricordava il suo lungo peregrinare nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto; Israele nel deserto visse da nomade, quindi in tende o in capanne fatte di rami per spostarsi facilmente.

Ecco, ogni anno "La festa delle capanne" ricordava a Israele il periodo difficile del deserto prima di raggiungere la terra promessa. Così, come recita il libro del Levitico (23,40.42s), la gente costruiva delle capanne con rami di palma per abitare in quelle capanne per sette giorni affinché: «i vos­tri figli sappiano che io feci abitare in capanne Israele quando li feci uscire dal paese d’Egitto».

La folla accoglie Gesù come un liberatore, come un re nazionale e grida: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele”; è la frase usata dai sacerdoti (tratta dal Salmo 118) per invocare la benedizione sui pellegrini che arrivavano a Gerusalemme per la Festa delle Capanne; colui che viene nel nome del Signore non è qui il pellegrino, ma Gesù, proclamato sul campo re d’Israele che viene a liberare il popolo dall’oppressore romano.

Ma Gesù non ci sta, non intende essere travisato e scambiato per un liberatore nazionale, come uno dei tanti eroi della storia.

La folla aveva frainteso, non aveva capito il miraco­lo della risurrezione di Lazzaro, se non come un segno di gloria nazio­na­listica, anziché come un dono di vita per tutti gli esseri umani sulla terra.