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Testo della predicazione: Isaia 54,2

«Allarga il luogo della tua tenda, si spieghino i teli della tua abitazione, senza risparmio; allunga i tuoi cordami, rafforza i tuoi picchetti!».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, è un momento storico importante quello che sta attraversando Israele quando questa profezia è annunziata. Israele sta tornado da un lungo periodo di cattività, la deportazione in terra straniera, in Babilonia; il re Nabucodonosor ha distrutto il piccolo regno di Israele, Gerusalemme, il tempio costruito dal re Salomone, le terre.

Ma ora, dopo 50 anni di sofferenze, di solitudine e di assenza di Dio, il profeta Isaia annuncia la liberazione e il ritorno nella terra che Dio aveva promesso ad Abramo.

La predicazione diventa una predicazione non di giudizio e di condanna, ma promessa di perdono e di riconciliazione con Dio.

Il profeta invita a gioire, a rallegrarsi dell’opera di Dio, del suo amore verso tutte le sue creature. L’esortazione del profeta è tanto intensa e sentita che prende una forma poetica con cui egli descrive le benedizioni che il Signore sta per donare.

Prima, il popolo in cattività, aveva perso le speranze, aveva lottato, ma nulla era accaduto, aveva cercato di rialzarsi con tutte le forze di cui poteva disporre. Ma non ce l’aveva fatta.

Ora il profeta annuncia un cambiamento: «Per un breve istante ti ho abbandonato, ma con immensa compassione di raccoglierò… con amore eterno avrò cura di te».

Testo della predicazione: Romani 12,1-2

Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, nei due versetti che abbiamo udito dalla lettera ai Romani, l'apostolo Paolo opera una rivoluzione copernicana all'interno del Cristianesimo.

L'apostolo incoraggia la comunità dei credenti di Roma e, sebbene l'esortazione abbia una sapore autorevole, è fatta in nome della "misericordia di Dio"; perciò l'apostolo invita i credenti a «offrire i loro corpi in sacrificio vivente ...quale culto spirituale a Dio». Ed è proprio il caso di sottolinearlo "culto spirituale" perché, in effetti, l’apostolo sta operando un’abolizione di antiche concezioni che separavano nettamente il sacro dal profano. Gli antichi riti erano eseguiti proprio a motivo di questa netta divisione tra gli umani e il dio. Lo stesso rito, anche in Israele, serviva a purificare il corpo di chi si presentava al cospetto di Dio. Una persona che aveva peccato non poteva apparire davanti alla santità di Dio.

Ora, invece, Paolo invita a offrire proprio quel corpo umano come sacrificio, quel corpo che rappresentava tutto il contrario del sacro, tutta l'impurità e la corruzione umana, tutto il degrado e il peccato in cui era piombato l’essere umano per la sua disubbidienza che leggiamo fin dalle prime pagine della Bibbia.

Testo della predicazione: Romani 11,25-32

«Fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d'Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: «Il liberatore verrà da Sion. Egli allontanerà da Giacobbe l'empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati». Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l'elezione, sono amati a causa dei loro padri; perché i carismi e la vocazione di Dio sono irrevocabili. Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, così anch'essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch'essi misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti».

Sermone

Cari fratelli e sorelle, questo brano biblico che ci propone il nostro lezionario “Un giorno, una Parola”, è la conclusione di un discorso che l’apostolo Paolo inizia due capitoli prima. La riflessione dell’apostolo riguarda il rapporto fra Israele e quella parte di Cristianesimo proveniente dal mondo pagano.

     L’apostolo esordisce spiegando che i credenti sono davanti a un mistero che Dio ha rivelato all’apostolo ed egli, ora, lo rivela a sua volta.

     La domanda che i cristiani di Roma si ponevano era la seguente: «Israele che non ha riconosciuto Gesù come Figlio di Dio e come Messia, è stato estromesso dalla salvezza?». Ogni risposta avrebbe generato altre domande. Se si risponde di sì, che Israele è fuori dalla salvezza, allora l’elezione che Dio ha dato a Israele, appunto come popolo eletto privilegiato, passa ora ai cristiani, essi diventerebbero il popolo eletto, il nuovo Israele e Dio avrebbe rinnegato il vecchio Israele. Se si risponde di no, che Israele è il popolo di Dio eletto, allora che ruolo avrebbero i cristiani nel progetto di Dio? Non potrebbero essere loro fuori dalla salvezza?

     Il mistero di Dio che l’apostolo svela è il seguente: Dio ha progettato l’indurimento del cuore d’Israele per salvare i pagani, coloro che non sono ebrei, che non hanno una tradizione di conoscenza di Dio e della sua Parola.

Testo della predicazione: Romani 6,19-23

Parlo alla maniera degli uomini, a causa della debolezza della vostra carne; poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità per commettere l'iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. Quale frutto dunque avevate allora? Di queste cose ora vi vergognate, poiché la loro fine è la morte. Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’apostolo Paolo parla un linguaggio metaforico perché il suo discorso sia più facilmente compreso dai credenti della chiesa di Roma, e da noi oggi. Parla di “carne”, parla di “membra”, di “schiavitù” e di “libertà”.

È consapevole che non si può parlare di Dio e della sua grazia senza che ciò sia frainteso da noi, perché viviamo dentro una logica umana che non ci permette di capire quella di Dio, tanto diversa dalla nostra.

Così, per permettere di capire che cosa è il peccato, Paolo vi contrappone la giustizia. «Se tu ti orienti in modo che la giustizia per tutti si compia, allora non ti presti al peccato; quando te ne freghi di realizzare una giustizia di cui tutti possono godere, allora stai consegnando il tuo corpo e l’intero tuo essere al peccato».

In realtà, l’apostolo sta cercando di incoraggiare i credenti di Roma a proseguire lungo una strada che non è facile, perché non ricevono il consenso dei loro concittadini che vivono dentro una logica di tornaconto, di interesse e di giovamento personale, piuttosto che umano e sociale. Perciò l’apostolo afferma: «Prestate ora le vostre membra al servizio della giustizia».

Essere credenti cristiani significa partecipare alla fede in Gesù Cristo, vivere una svolta, prendere parte a un cambiamento che porta dalla schiavitù alla libertà. In modo figurato, l’apostolo, permette di vedere nella morte di Gesù, la fine della nostra schiavitù al peccato, e nella sua risurrezione, il nostro ingresso nella terra della libertà.

Tutti noi, dunque, come credenti, partecipiamo a questo evento di Gesù attraverso l’esperienza della nostra conversione.

Testo della predicazione: Esodo 16,2-3.11-18

Tutta la comunità dei figli d'Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d'Israele dissero loro: «Fossimo pur morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà! Voi ci avete condotti in questo deserto perché tutta questa assemblea morisse di fame!» E il Signore disse a Mosè: «Io ho udito i mormorii dei figli d'Israele; parla loro così: "Al tramonto mangerete carne e domattina sarete saziati di pane; e conoscerete che io sono il Signore, il vostro Dio"». La sera stessa arrivarono delle quaglie che ricoprirono il campo. La mattina c'era uno strato di rugiada intorno al campo; e quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra. I figli d'Israele, quando l'ebbero vista, si dissero l'un l'altro: «Che cos'è?» perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «Questo è il pane che il Signore vi dà da mangiare. Ecco quello che il Signore ha comandato: "Ognuno ne raccolga quanto gli basta per il suo nutrimento: un omer a testa, secondo il numero delle persone che vivono con voi; ognuno ne prenda per quelli che sono nella sua tenda"». I figli d'Israele fecero così, ne raccolsero gli uni più e gli altri meno. Lo misurarono con l'omer; chi ne aveva raccolto molto non ne ebbe in eccesso; e chi ne aveva raccolto poco non gliene mancava. Ognuno ne raccolse quanto gliene occorreva per il suo nutrimento.

Sermone

      Cari fratelli e care sorelle, Israele è uscito dall’Egitto, è stato liberato cioè dalla schiavitù, però ora, lungo la traversata del deserto, si trova davanti a un dilemma non certo facile: «È meglio essere schiavi, ma sazi oppure liberi ma affamati?». Ovviamente per molti il problema non si pone perché stare seduti davanti a una pentola piena di carne, anche se schiavi, resta meglio della libertà senza nulla da mangiare.

     Ciò che accade a quel popolo liberato dalla schiavitù, durante la lunga traversata del deserto, è che la crisi del cibo diventa una crisi di fede. Il popolo è perfino disposto a ritornare schiavo e a rinnegare di essere stato liberato da Dio stesso. Siamo tutti fatti così: cerchiamo Dio nelle cose straordinarie, cerchiamo la provvidenza di Dio nelle cose eccezionali, ma non ci avvediamo che Dio è là, durante le nostre giornate normali, che ci offre le sue benedizioni, e quando non riusciamo a discernere la presenza di Dio nella vita quotidiana, lo neghiamo anche nelle situazioni di straordinarietà.

     Per Israele, la liberazione dall’Egitto è come una nuova creazione di Dio, equivale a una nuova identità come popolo libero. In questa fase del deserto, il popolo percepisce se stesso in modo diverso, non ha ancora consapevolezza della sua nuova identità, non è ancora diventato quello che sarà, e allora, la sazietà nell’oppressione è preferibile alla fame nella libertà.

Testo della predicazione: Prima Pietro 2,4-10

Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Infatti si legge nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa
e chiunque crede in essa non resterà confuso». Per voi dunque che credete essa è preziosa; ma per gli increduli «la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra angolare, pietra d'inciampo e sasso di ostacolo». Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella parola; e a questo sono stati anche destinati. Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

è notizia di questi giorni che i cristiani di Mosul (Iraq) sono stati costretti a abbandonare la città, come nel 1687 i nostri antenati presero la via dell’esilio da queste vallate. Si tratta di una decina di famiglie, a Mosul i cristiani erano una piccola minoranza. Non ci occupiamo di coloro che li hanno spinti o costretti a cercare accoglienza fuori dalla loro terra. Vogliamo concentrarci proprio sugli esiliati. Ci chiediamo: è tutto perduto? Può la chiesa vivere nella dispersione?

L’immagine che l’autore della prima lettera di Pietro ci trasmette è quella della pietra. Un’immagine di solidità, di insensibilità (la pietra non sente il dolore), un’immagine di eternità (da quanto tempo certi edifici di pietra sfidano il tempo). La pietra però è in questo testo, soprattutto un materiale di costruzione. Il Signore costruisce la comunità di coloro che pongono in Lui la loro fiducia, utilizzandoli come pietre di costruzione. Noi delle pietre? Noi che siamo tutt’altro che solidi, eterni, insensibili? Già proprio noi possiamo essere quel materiale da costruzione, perché Dio ci trasforma da materia inerte e per giunta fragile, in materiale da costruzione vivente e solido. Pietre viventi, una contraddizione in termini che sottolinea che quando si parla di chiesa, si parla prima di tutto della azione di Dio. Dio agisce in modo non riconoscibile da tutti, certamente, ma agisce e  infonde la vita che viene da Lui in noi, trasformandoci, rendendo possibile il nostro concorrere all’edificazione di quel tempio che è la chiesa. 

Testo della predicazione:  Matteo 15,21-28

Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele». Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!» Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, una donna pagana distoglie l'attenzione su Gesù, grida dietro al corteo che segue Gesù. È una donna non ebrea che si rivolge a Gesù, ad un maestro ebreo per rivolgergli la preghiera di guarire sua figlia affetta da una grave malattia, forse è epilettica o qualcosa legata a forme improvvise di crisi, è tormentata, dice il nostro testo, da un demone maligno.

Ma l'attenzione del brano biblico non si ferma su questo aspetto, ma sul rapporto che la donna vuole instaurare con Gesù. Perciò grida per farsi sentire da lui, non si può avvicinare troppo a Gesù perché è pagana e quindi potrebbe contaminare il maestro, come chi ha una malattia contagiosa, come la lebbra. Ma la donna non si arrende, non si perde d'animo, e grida per farsi sentire da Gesù.

Però «Gesù non le rispose parola» dice l’evangelista. Gesù è muto, non reagisce, il suo silenzio è pesante, strano, urtante… Gesù, che è il consolatore degli afflitti; lui, che ha rasserenato coloro che piangono, che ha soccorso i tormentati; lui, che ha guarito tante persone, alla donna non risponde nulla.

Testo della predicazione: 1 Corinzi 1,18-25

La predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il brano biblico che l’apostolo Paolo scrive e che abbiamo ascoltato è un discorso di rottura, un forte testo di contestazione. A noi possono suonare scontate le parole di Paolo: «Noi predichiamo Cristo crocifisso». Ma qui l’apostolo sta richiamando i credenti di Corinto affinché sia predicato il Cristo crocifisso e non un altro.

L’apostolo non sta semplicemente parlando della centralità della fede, ma di una centralità della fede perduta; l’apostolo è critico, pungente, sta cercando di intaccare e frantumare una immagine di Dio distorta che si erano fatta alcuni credenti di Corinto. Paolo sta restaurando la croce, sta facendo un’opera di restauro nel senso di ripristinare il valore della croce come fondamento della fede.

Nella chiesa di Corinto vi erano delle divisioni, alcuni si schieravano con la teologia di un predicatore, Apollo, altri con quella di Cefa, l’apostolo Pietro, altri ancora con Paolo stesso. L’apostolo ricorda invece che la fede non si fonda né sulla teologia di uno, né sulla filosofia di un altro, né sulla scienza, né su qualche persona, spirituale per quanto possa essere.

Testo della predicazione: Romani 12,17-21

Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore. Anzi, «se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo». Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, come protestanti, manifestiamo una certa diffidenza davanti a elenchi di imperativi imposti in qualche modo; noi crediamo nel valore della libertà, di scelte e comportamenti che fanno riferimento alla propria coscienza resa responsabile dalla Parola di Dio perché radicata nel Vangelo di Gesù Cristo.

In effetti l’apostolo Paolo è maestro per quanto concerne questa nostra posizione chiara, eppure qui, nella lettera ai Romani, l’apostolo pronuncia con forza una serie di imperativi, rivolti ai credenti della chiesa di Roma. È evidente che l’apostolo fa riferimento a una realtà particolare, concreta; è sensibile ai problemi che quella comunità attraversa. E si evince che nella chiesa di Roma ci sono fratelli e sorelle che subiscono del male e sono oggetto di odii, violenze, ritorsioni, forse anche di intolleranze; non sappiamo perché.

L’apostolo si sente di offrire dei consigli derivati dalla sua esperienza di credente che ha subìto violenza, che è stato in carcere, perseguitato ingiustamente, e propone una risposta nonviolenta dei credenti nei confronti di chi ha inflitto loro del male; l’apostolo insegna a rispondere alla provocazione in modo costruttivo, lontano dalla logica di “occhio per occhio e dente per dente”, logica che conduce sempre a inimicizie e ostilità senza fine. Quindi afferma con grande determinatezza: «Non rendete male per male».