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Testo della predicazione: Ezechiele 18,1-4. 21-24. 30-32

La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: «Perché dite nel paese d’Israele questo proverbio: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?” Com’è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà. Se l’empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l’equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. Io provo forse piacere se l’empio muore? dice Dio, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive? Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità e imita tutte le abominazioni che l’empio fa, vivrà egli? Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato, perché si è abbandonato all’iniquità e al peccato; per tutto questo morirà. Perciò, io vi giudicherò ciascuno secondo le sue vie, casa d’Israele, dice Dio, il Signore. Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni e non avrete più occasione di caduta nell’iniquità! Gettate via da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato; fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d’Israele? Io infatti non provo nessun piacere per la morte di colui che muore, dice Dio, il Signore. Convertitevi dunque, e vivete!

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il profeta Ezechiele è anche un sacerdote, il suo nome significa “Dio rafforzerà”. È un esule, deportato con il suo popolo in terra straniera, in Babilonia, dopo la sconfitta di Israele per opera del re Nabucodonosor nel 587 a.C.

Sono ormai passati diversi anni, e fra i prigionieri regna un morale molto basso e uno stato d’animo pessimo. Danno la colpa a Dio perché ritengono che Dio faccia pagare a loro le colpe dei loro padri, dei loro antenati.

Così, il profeta Ezechiele esordisce la sua predicazione con una immagine: la gloria di Dio si allontana dal tempio lasciando posto al giudizio; ma conclude con un’altra immagine: la gloria di Dio riappare nel nuovo tempio per una nuova epoca segnata dalla benedizione di Dio.

Ezechiele annuncia a Israele una speranza e una nuova liberazione, come quella dall’Egitto al tempo di Mosè. Prima di tutto, il profeta chiarisce il carattere di Dio: Dio non è un Dio vendicativo e spietato, ma un Dio che ama i suoi figli/e, un Dio che ama il suo popolo anche quando, a causa delle di scelte sbagliate e insensate, si trova in grave difficoltà.

Testo della predicazione: I Corinzi 9,16-23

Perché se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n'è imposta; e guai a me, se non evangelizzo! Se lo faccio volenterosamente, ne ho ricompensa; ma se non lo faccio volenterosamente è sempre un'amministrazione che mi è affidata. Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunciando il vangelo, io offra il vangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che il vangelo mi dà. Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni. E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

scelta o costrizione? Siamo qui per una libera scelta o perché ci sentiamo obbligati? Oggi se ponessi così l'alternativa e dovessimo esprimerci per alzata di mano, ci schiereremmo dalla parte della libera scelta.

Non è il precetto domenicale, non è il mio senso del dovere, non è un obbligo che mi ha portato qui, ma liberamente ho scelto di essere qui. Secoli di “oppressione religiosa”, di  una religione di precetti ed  obblighi ci fanno dire con forza: liberamente scelgo, nessuno mi può costringere. A lungo andare però questa legittima affermazione della libertà di scelta finisce per diventare la nostra fragilità.  La libertà diventa un atto puro e ideale e nel concreto si traduce così: sono qui perché oggi mi prendeva bene, sono qui perché io sono di chiesa, non vado in chiesa perché ho altro da fare. Nella pur legittima libera scelta, la mia persona con le sue decisioni, diventa il centro di ogni cosa e alla fine posso anche dire: come siamo bravi a fare le scelte giuste. Come sono bravi coloro che utilizzano la libertà per fare le scelte giuste. Siamo proprio persone di buona volontà.

Lo dice anche Paolo: se il mio impegno di apostolo è una questione di buona volontà è giusto che io sia ricompensato e anche elogiato. Nel caso di Paolo la questione era letteralmente essere mantenuto dalle chiese dove predicava.  Ma continua Paolo il mio impegno di apostolo, di annunciatore della buona notizia   non è una questione di buona volontà, per me è un obbligo, una costrizione (letteralmente, un destino).   Avete presente lo schiavo che alcuni di voi hanno in casa? A lui affidate dei compiti che deve svolgere, non sceglie di svolgerli. Ecco il mio apostolato, lo leggo così. Non ho scelto io di viaggiare per il mediterraneo predicando e mantenendomi con il mio lavoro di tessitore. L'orizzonte delle mie scelte, quello che potevo immaginare secondo la mia educazione e la mia storia personale, era fare il tessitore ed essere un buon ebreo. Poi è arrivata una forza irresistibile, la buona notizia che mi ha cambiato i piani. Devo fare quel che faccio perché mi muove la forza della buona notizia che viene da Dio.

Testo della predicazione: Efesini 5, 21-33

Sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama sé stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma d'altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama sé stesso; e altresì la moglie rispetti il marito.

Sermone

Care sorelle e fratelli, il discorso della lettera agli efesini che abbiamo ascoltato può sembrare povero e limi­tato se lo isoliamo dal suo insieme, dal suo contesto più largo; alla nostra mentalità moderna, che apprezza i valori della libertà e della dignità della persona umana, può dare anche l’impressione di un discor­so che opprima l’altro: «Mogli., siate sottomesse…». Dobbiamo, però, ricordarci che l’ordine sociale del mondo antico si reggeva sulla gerarchia dei ruoli. Di qui deriva il primo dovere: ognuno deve rispettare il proprio ruolo, e il ruolo della moglie di una famiglia a struttura patriarcale è di stare sotto­messa al marito, di rispettarlo e obbedirgli. Questa è una concezione che fa parte di una cultura antica. E nella Bibbia rimane riprodotto l’ordinamento piramidale e autoritario della famiglia antica, ma l’au­tore della lettera agli efesini, sebbene non cambi l’ordinamento fami­liare, vi apporta una novità veramente speciale.

Infatti il verbo “stare sottomesso” (gr. hypotassesthai) indica la sottomissione volontaria di Cristo a Dio e dei cristiani tra loro per mezzo della fede e dell’amore. Quindi l’essere sottomesso, qui non indica l’uno sotto l’altro e basta, ma vicendevolmente sottomessi, così come dice lo stesso autore al v. 21: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” che corrisponde a quello che dice l’apostolo Paolo nella lettera ai Galati “Siate al servizio gli uni degli altri” (5, 14).

Testo della predicazione: Genesi 11,1-9

Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. Dirigendosi verso l’Oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Scinear, e là si stanziarono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamo dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e bitume invece di calce. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra». Il Signore discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!» Così il Signore li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire la città. Perciò a questa fu dato il nome di Babel, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là li disperse su tutta la faccia della terra.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, radioascoltatori e radioascoltatrici l’episodio di Pentecoste ha in comune con quello della Torre di Babele la diversità delle lingue, che da una parte disperde e dall’altra unisce.

A Pentecoste, coloro che ascoltano i discepoli che pregano affermano: «Come mai ciascuno di noi li ode parlare nella propria lingua?». Persone provenienti da nazioni diverse, comprendono nella propria lingua la preghiera dei credenti. Il messaggio del racconto biblico mira a spiegare che ora lo Spirito Santo, presente nella chiesa, può condurla alla testimonianza dell’Evangelo che libera, che converte e trasforma, e che permette di vivere nel nuovo orizzonte dell’amore di Dio e della fraternità piuttosto che in quella dell’inimicizia e dell’odio.

Oggi però vorrei parlare del brano della Torre di Babele contenuto nel libro della Genesi e provare a capire che cosa sia veramente successo.

In questo brano, il disperdersi ha il significato di spargersi sulla terra, così come aveva voluto il Signore quando aveva detto «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…» (Genesi 1,28).

Testo della predicazione: Romani 8,26-30

«Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati».

Sermone

L’apostolo Paolo, al capitolo 8 della lettera ai Romani contrappone la legge antica alla grazia di Dio; una legge che genera peccato e, quindi, morte a una legge che genera vita, quella dello Spirito. Infatti è chiamato “Spirito della vita” (8,2).

La morte di Gesù sulla croce, interrompe l’azione del peccato e della morte, e apre le porte alla libertà dello Spirito che agisce per rinnovare ogni essere umano che accoglie la grazia e l’amore di Dio.

Dunque, per l’apostolo Paolo, dalla morte di Gesù sulla croce si apre un’epoca nuova nella quale l’azione dello Spirito permette una vita che rende il nostro essere credenti non più vissuto all’insegna della paura del peccato e della morte, ma gioioso perché vive della speranza che la nostra redenzione è già presente nell’oggi e avrà il suo pieno compimento in un futuro non lontano, che sta davanti a noi. Le “primizie dello Spirito” (v. 23) ci danno serenità e pace, affinché, malgrado i nostri limiti umani, le nostre paure, le nostre incredulità, possiamo vivere in un orizzonte nel quale lo Spirito ci permette di rasserenarci.

Testo della predicazione: Esodo 32,7-14

Il Signore disse a Mosè: «Va', scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è corrotto; si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si son fatti un vitello di metallo fuso, l'hanno adorato, gli hanno offerto sacri? ci e hanno detto: "O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto"». Il Signore disse ancora a Mosè: «Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro. Dunque, lascia che la mia ira s'in? ammi contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande nazione». Allora Mosè supplicò il Signore, il suo Dio, e disse: «Perché, o Signore, la tua ira s'in? ammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con mano forte? Perché gli Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra!" Calma l'ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo popolo. Ricordati di Abraamo, d'Isacco e d'Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: "Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo possederà per sempre"». E il Signore si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo

Sermone

 

Care sorelle e cari fratelli,

quante preghiere riceverà in media, Dio in una qualunque giornata della settimana? Sicuramente centinaia di milioni. Sono spesso preghiere per altri e altre, le “preghiere di intercessione”. Presentiamo a Dio le persone che conosciamo, a volte preghiamo per persone che non conosciamo affatto, ma che immaginiamo vittime o carnefici, delle piaghe del mondo: la fame, la guerra, la violenza ad esempio.

Questo pregare per gli altri e le altre rivela il nostro amore per gli umani e dichiara però a volte anche il nostro limite umano. Chiediamo a Dio di fare lui qualcosa per quelle persone, qualcosa che noi non riusciamo a fare: guarire gli ammalati, dare acqua e pane per i poveri, fede agli increduli. Una lista più o meno lunga che a volte ci lascia incerti.

Oggi impariamo qualcosa della preghiera per gli altri/e alla scuola di Mosé. Mosé prega Dio a favore del suo popolo in un momento grave:

  • Davanti alla fabbrica del vitello d’oro, momento in cui il popolo volta le spalle al Dio della sua liberazione.
  • Davanti alla decisione di Dio di volersi liberare di quel popolo piagnucoloso, incerto e infedele.
  • Davanti alla decisione di Dio di ripartire da zero: ricomincerà a crearsi un nuovo popolo da Mosé il fedele e la sua discendenza. Dio separerà Mosé dal suo popolo infedele.

Ci aspetteremmo due tipi di preghiere da parte di Mosé:

  • Signore devi capire quelle persone. Io sono qui sul Sinai vicino a te da molto tempo e loro sono laggiù nella pianura, desiderano ripartire per la terra promessa. Io non posso camminare davanti a loro e te non ti si vede; hanno fabbricato solo un simbolo di guida. Hanno sbagliato, ma bisogna capirli, poverini.
  • Signore, hai proprio ragione! Anche io non ce la faccio più con questo popolo; eccomi sono a disposizione. Ordinami qualunque cosa e io come Abramo mi affido a te a alla tua promessa per la mia discendenza. Poi non hanno solo voltato le spalle solo a te. Anche a me: non sono forse qui su questa montagna per raccogliere le tue parole? Mica sono qui per gli affari miei!

Testo della predicazione: I Giovanni 3,13-18

Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida possiede in sé stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l'amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, il comandamento dell’amore che Gesù proclama nei Vangeli è il centro di questa prima lettera di Giovanni.

L’autore della lettera di Giovanni presenta un dualismo teologico che permette di comprendere meglio la portata e lo spessore dell’amore. Egli afferma che dove manca l’amore, là c’è odio. E Gesù, parlando del comandamento dell’amore, aveva messo in guardia i discepoli dall’odio: «Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me».

Tuttavia, l’amore e l’odio, per la Bibbia, non sono semplicemente dei sentimenti, ma producono delle azioni che determinano la vita o la morte. Caino uccise perché odiava suo fratello. Questo è dunque l’odio: vivere nella dimensione, nell’orizzonte e nella prospettiva della morte, di se stessi e degli altri.

Gesù, parlando del comandamento dell’amore, conclude dicendo: da questo comandamento dipende tutta la legge e i profeti (Matteo 22,40) come per sottolineare che il peccato è la trasgressione della legge che nell’Antico testamento era la Torà, mentre adesso è la legge dell’amore.

Testo della predicazione: Luca 22,21-27

«Ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola. Perché il Figlio dell'uomo, certo, se ne va, come è stabilito; ma guai a quell'uomo per mezzo del quale egli è tradito!» Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai, tra di loro, a far questo. Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande. Ma egli disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev'essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve. Perché, chi è più grande, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve».

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, abbiamo davanti a noi il racconto nel quale, dopo l’ultima Cena, Gesù rivolge un discorso di addio discepoli. Gesù parla della propria morte e di uno di loro che lo tradirà. Questa rivelazione di Gesù desta tutta l’indignazione dei discepoli che scoprono, così, in mezzo a loro infedeltà e tradimento, tutti segnali di mancanza di autenticità e di verità. ¿Ma allora, chi sarà colui, tra i discepoli, più fedele al maestro Gesù e meritevole, quindi, di essere il più grandeil più importante? Il più grande avrebbe governato sugli altri, sarebbe stato un piccolo “capetto”, era importante preparasi e informare tutti, Gesù avrebbe indicato chi e quello sarebbe stato investito di questa autorità.

Gesù spiega che cosa significa “essere il più grande”. Certamente il suo discorso avrà deluso i suoi discepoli perché la sua spiegazione è esattamente un capovolgimento del senso comune di grandezza, che per noi significa essere serviti e riveriti, che la nostra presenza vale più degli altri e la nostra parola più di quella degli altri, per noi significa avere l’ultima parola. Gesù parla ai governanti, parla ai discepoli, parla alla Chiesa, parla a noi.

Testo della predicazione: Marco 16,15-20

Gesù disse loro: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato. Questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio scacceranno i demòni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti; anche se berranno qualche veleno, non ne avranno alcun male; imporranno le mani agli ammalati ed essi guariranno». Il Signore Gesù dunque, dopo aver loro parlato, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. E quelli se ne andarono a predicare dappertutto e il Signore operava con loro confermando la Parola con i segni che l'accompagnavano.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, cosa vi può essere di più definitivo della morte? Benché Gesù avesse annunciato la sua risurrezione, i suoi discepoli, tuttavia, non capivano cosa intendesse dire. Fintanto che non fai l’esperienza concreta della risurrezione è difficile crederci perché, per noi, nulla è più definitivo della tomba.

Gesù era stato visto dalle donne e poi da due discepoli e, dopo il loro racconto, non avevano creduto. Ricordate cosa dirà Tommaso? «Se non vedo… e non metto il mio dito nel segno dei chiodi …io non crederò» (Giovanni 20,25).

Nel brano alla nostra attenzione Gesù permette il superamento dell’incredulità da parte dei discepoli, l’incredulità è superata dalla grazia di Dio che ci prende al suo servizio e ci inserisce così nell’orizzonte della fede.