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Testo della predicazione: Isaia 60,1-6

«Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta, e la gloria del Signore è spuntata sopra di te!  Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli; ma su di te sorge il Signore e la sua gloria appare su di te. Le nazioni cammineranno alla tua luce, i re allo splendore della tua aurora. Alza gli occhi e guàrdati attorno; tutti si radunano e vengono da te; i tuoi figli giungono da lontano, arrivano le tue figlie, portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, il tuo cuore palpiterà forte e si allargherà, poiché l'abbondanza del mare si volgerà verso di te, la ricchezza delle nazioni verrà da te. Una moltitudine di cammelli ti coprirà, dromedari di Madian e di Efa; quelli di Seba verranno tutti, portando oro e incenso, e proclamando le lodi del Signore». 

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, chi di voi non ha mai vissuto momenti di profondo sconforto o di tristezza dovuti a una malattia, propria o di una persona cara, dovuti a un lutto, a una crisi di un rapporto, oppure una crisi spirituale, o una crisi finanziaria che ha messo in forse le prospettive del futuro, i progetti, i programmi per una vita serena?

Il profeta Isaia fa risuonare le sue parole ad un popolo che ha perso la speranza perfino nelle promesse di Dio! Un popolo che non vede alcun futuro davanti a sé. La deportazione di Israele in Babilonia aveva distrutto ogni attesa, i pochi non deportati rimasti in Giudea vivevano sulla loro pelle la distruzione delle città e la devastazione dei campi; la percezione dell’ingiustizia e la privazione provocavano sconforto e arresa.

Anche quando cominceranno ad arrivare, dopo quasi 50 anni, come un piccolo rivolo, i primi esuli da Babilonia, non si avrà certo la sensazione che tutto cambierà per magia, anche se il ritorno degli esuli è salutato come un dono della grazia di Dio.

Mercoledì, 25 Dicembre 2013 11:46

Sermone di Natale 2013 (Giovanni 1,1-14)

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Testo della predicazione: Giovanni 1,1-14

«Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per render testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per render testimonianza alla luce. La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio. E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre.». 

Sermone

     Cari fratelli e care sorelle, l’annuncio di Natale di oggi ci è testimoniato dal Vangelo di Giovanni che, al capitolo 1, che abbiamo letto, fa riferimento alla Genesi, all’inizio cioè di tutte le cose, del mondo, quando cioè Dio pronunciò una parola e tutto accadde. Dio disse: «Sia la luce», e la luce fu. Il Salmo 33,9 dice infatti si esprime così: «Egli parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa apparve».

     La Bibbia vuole dirci, in ogni pagina, che quando Dio parla accade qualcosa, che la sua parola non è come la nostra che è portata via dal vento, che è dimenticata, che non è mantenuta, che può essere una voce tra le tante. Ma la parola che Dio pronuncia è sempre una promessa, e una promessa fa riferimento al futuro dove ancora noi non ci siamo, ma proprio per questo ci dà una speranza.

     Cosa accade quando Dio parla? Il parlare di Dio crea la vita.

     Perché?

Testo della predicazione: Matteo 1,18-21

«La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo marito, che era uomo giusto e non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente. Ma mentre aveva queste cose nell’animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati»

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, oggi abbiamo raggiunto un grado significativo circa la paternità e la maternità, l’avere dei figli. Si può parlare oggi di maternità responsabile, si pianifica un figlio, oppure no se non possiamo garantirgli una condizione di vita accettabile.

Anche se purtroppo succede che sono sempre meno le donne e gli uomini che sono pronti ad accettano la responsabilità di avere un figlio/a. E può capitare che, quando una gravidanza è frutto di “un incidente di percorso”, allora essa è recepita come uno spezzare la tranquillità che si voleva, o l’interruzione di progetti diversi.

I figli certamente “cambiano la vita” ed essa non sarà più la stessa di prima.

Come una gravidanza non programmata, in modi diversi, Dio interviene nella nostra vita e ne interrompe il corso in modo inatteso, ci fa cambiare direzione. E noi ci troviamo impreparati e l’accaduto ci scombussola, scompiglia i nostri progetti.

Testo della predicazione: Luca 7,18-22

I discepoli di Giovanni gli riferirono tutte queste cose. Ed egli, chiamati a sé due dei suoi discepoli, li mandò dal Signore a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?» Quelli si presentarono a Gesù e gli dissero: «Giovanni il battista ci ha mandati da te a chiederti: "Sei tu colui che deve venire o ne aspetteremo un altro?"» In quella stessa ora, Gesù guarì molti da malattie, da infermità e da spiriti maligni, e a molti ciechi restituì la vista. Poi rispose loro: «Andate a riferire a Giovanni quello che avete visto e udito: i ciechi ricuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, il vangelo è annunziato ai poveri. Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!». 

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, questo testo biblico di Luca ci sorprende. Giovanni il battista è lo stesso che ha battezzato Gesù nel fiume Giordano e durante il battesimo di Gesù si aprì il cielo e lo Spirito Santo scese come una colomba e una voce dal Cielo: «Tu sei mio figlio, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3,22). Il testo biblico di oggi ci sorprende perché è lo stesso Giovanni che aveva visto i cieli aperti e sentito la voce dal cielo che ora, dalla prigione in cui si trova, invia i suoi discepoli da Gesù a domandare se è lui il Messia oppure no: «Se tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?».

Forse i segni di Gesù non erano sufficienti a credere che in lui si adempivano le promesse? Oppure le attese riguardo al Messia erano più grandi della realtà? O forse è il contrario, cioè che la speranza che Gesù il Messia porta va molto oltre le nostre aspettative, fino a non crederci?

Testo della predicazione: Luca 22,21-27

«Ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola. Perché il Figlio dell'uomo, certo, se ne va, come è stabilito; ma guai a quell'uomo per mezzo del quale egli è tradito!» Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai, tra di loro, a far questo. Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande. Ma egli disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev'essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve. Perché, chi è più grande, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, oggi è la domenica della diaconia ed è stato proposto alle nostre chiese di riflettere su questo brano dell’evangelista Luca che parla di servizio, di diaconia, appunto.
L’evangelista Luca pone questo passo subito dopo l’ultima Cena, è un discorso di addio rivolto a suoi discepoli, ma è anche un dialogo con loro. Gesù rivela il tradimento di Giuda e la propria morte; d’altra parte durante l’ultima Cena lo aveva già rivelato. È l’annuncio del tradimento da parte di uno dei discepoli che scatena la domanda esistenziale: chi sarà quello, tra noi, a tradire il Maestro? 
«Sei forse tu? No! Semmai sarai tu a tradire il Maestro e tutti noi!». Non dev’essere stato facile sentirsi accusati o soltanto sospettati di tradimento. Ma questa contesa porta i discepoli a domandarsi chi, tra loro, sarebbe stato il più grande, il più importante, che così sarebbe stato scartato come sospettato di tradire il Signore.
Gesù interviene all’interno di questa contesa per spiegare il senso dell’essere grandi, quale dovrebbe, davvero, essere il ruolo delle persone importanti, dei re, dei governati; quello di Gesù stesso, quindi, quello dei suoi discepoli e, oggi, il ruolo della Chiesa.
L’evangelista Luca, sottolinea, intanto, che la Chiesa non è mai al riparo dai tradimenti, dalle infedeltà, dai voltafaccia nei confronti del Signore. L’interrogarsi reciprocamente è la domanda che sempre la chiesa deve porsi: sono fedele a Cristo o a me stessa? 

Testo della predicazione: II Samuele 13,1-22

 

Dopo queste cose avvenne che Absalom, figlio di Davide, aveva una sorella di nome Tamar, che era bella; e Amnon, figlio di Davide, se ne innamorò. Amnon si appassionò a tal punto per Tamar sua sorella da diventarne malato; perché lei era vergine e pareva difficile ad Amnon di fare qualche tentativo con lei. Amnon aveva un amico, di nome Ionadab, figlio di Simea, fratello di Davide; Ionadab era un uomo molto accorto. Questi gli disse: «Come mai tu, figlio del re, sei ogni giorno più deperito? Non me lo vuoi dire?» Amnon gli rispose: «Sono innamorato di Tamar, sorella di mio fratello Absalom». Ionadab gli disse: «Mettiti a letto e fingiti malato. Quando tuo padre verrà a vederti digli: "Fa', ti prego, che mia sorella Tamar venga a darmi da mangiare e a preparare il cibo in mia presenza perché io lo veda e mangi quel che mi darà"». Amnon dunque si mise a letto e si finse ammalato; e quando il re lo venne a vedere, Amnon gli disse: «Fa', ti prego, che mia sorella Tamar venga e prepari un paio di frittelle in mia presenza; così mangerò quel che mi darà». Allora Davide mandò a dire a Tamar: «Va' a casa di Amnon, e preparagli qualcosa da mangiare». Tamar andò a casa di Amnon, suo fratello, che era a letto; prese della farina stemperata, l'intrise, preparò delle frittelle e le fece cuocere davanti a lui. Poi prese la padella, servì le frittelle e gliele mise davanti, ma egli rifiutò di mangiare e disse: «Fate uscire di qui tutta la gente». Tutti uscirono. Allora Amnon disse a Tamar: «Portami il cibo in camera e lo prenderò dalle tue mani». Tamar prese le frittelle che aveva fatte e le portò in camera ad Amnon suo fratello. Ma mentre gliele porgeva perché mangiasse, egli l'afferrò e le disse: «Vieni a unirti a me, sorella mia». Lei gli rispose: «No, fratello mio, non farmi violenza; questo non si fa in Israele; non commettere una tale infamia! Io dove potrei andare piena di vergogna? E quanto a te, tu saresti considerato un infame in Israele. Te ne prego, parlane piuttosto al re, egli non ti rifiuterà il permesso di sposarmi». Ma egli non volle darle ascolto e, essendo più forte di lei, la violentò e si unì a lei. Poi Amnon ebbe verso di lei un odio fortissimo; a tal punto che l'odio per lei fu maggiore dell'amore di cui l'aveva amata prima. Le disse: «Àlzati, vattene!» Lei gli rispose: «Non mi fare, cacciandomi, un torto maggiore di quello che mi hai già fatto». Ma egli non volle darle ascolto. Anzi, chiamato il servo che lo assisteva, gli disse: «Caccia via da me costei e chiudile dietro la porta!» Lei portava una tunica con le maniche, perché le figlie del re portavano simili vesti finché erano vergini. Il servo di Amnon dunque la mise fuori e le chiuse la porta dietro. E Tamar si sparse della cenere sulla testa, si stracciò di dosso la tunica con le maniche e mettendosi la mano sul capo, se ne andò gridando. Absalom, suo fratello, le disse: «Forse che Amnon, tuo fratello, è stato con te? Per ora taci, sorella mia; egli è tuo fratello; non tormentarti per questo». Tamar, desolata, rimase in casa di Absalom, suo fratello. Il re Davide udì tutte queste cose e si adirò molto. Absalom non disse una parola ad Amnon né in bene né in male; perché odiava Amnon per la violenza che aveva fatta a Tamar, sua sorella.


Tamar, la principessa violata

Lidia Maggi
Le donne di Dio (Claudiana) cap. 29.

 

È una storia come tante altre, quella di Tamar.


Una vicenda comune a molte vittime innocenti, vite segnate per sempre dallo stupro e dal disprezzo.
Gli abusi domestici sono tra le violenze più terribili, perché avvengono proprio nei contesti dove i più deboli dovrebbero essere tutelati, protetti e amati. Abusare di un familiare significa tradire un rapporto intimo di fiducia, approfittare della vulnerabilità della persona per i propri fini malvagi e scardinare per sempre la stima necessaria per affrontare la vita.

Piccola principessa violata, sapevi che non sarebbe bastato il tuo status regale a proteggerti? Sapevi che il pericolo più grande, il nemico da temere, non veniva dall'esterno ma abitava con te, aveva il tuo stesso sangue, era parte della tua stessa genealogia?
Tuo fratello, Tamar, tuo fratello! Si era invaghito di te, di una passione insana, un'ossessione malata. Amnon, il primogenito del re, l'erede al trono, per te rifiutava il cibo. Di te aveva fatto la sua malattia. Possibile che nessuno in casa notasse quanto stava accadendo?
«Sono innamorato di Tamar, la sorella di mio fratello Assalonne» (II Sam. 13,4), aveva confessato al cugino Jonadab. Fu quest'ultimo a suggerirgli quel folle piano: «Mettiti a letto e fingiti malato. Quando tuo padre verrà a trovarti digli: se venisse mia sorella Tamar a farmi da mangiare e vedessi con i miei occhi quel che prepara, mangerei volentieri il cibo dalle sue mani» (v. 6).
Tuo padre, il re, venuto a conoscenza dello stupro, si è molto indignato senza però intervenire. Ma come ha potuto essere così cieco, non accorgersi di quella passione perversa, dell'ambiguità della richiesta fatta, che tu e solo tu cucinassi e lo nutrissi con le tue mani?

Testo della predicazione: Romani 3,21-28

Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, la Riforma protestante del ‘500 ha sottolineato questa parola dell’apostolo Paolo: «Siamo giustificati gratuitamente per la Grazia di Dio mediante la fede».

La grazia è quindi il presupposto della nostra salvezza, ne è il fondamento, il fulcro attorno a cui ruota l’esistenza umana. Ma dobbiamo domandarci che cosa è questa grazia di cui parla l’apostolo!

Per noi protestanti, la grazia è il punto di partenza di un cammino di fede, non il punto di arri­vo, non la meta, non il nostro obiettivo. Non accade che dopo una serie di buone opere arriviamo a guadagnarci l’agognata grazia, dopo una serie di sacrifici e di rinunce riusciamo a meritarci quella grazia che ci porta in salvo. Al contrario, consapevoli che la grazia è un dono di Dio, che ci è data gratuitamente senza averla meritata, possiamo incamminarci portando i frutti che essa produce in noi.

Testo della predicazione: Michea 6,6-8

«Con che cosa verrò in presenza del Signore e mi inchinerò davanti al Dio eccelso? Verrò in sua presenza con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà il Signore le migliaia di montoni, le miriadi di fiumi d'olio? Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto delle mie viscere per il mio peccato? O uomo, Egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il Signore, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?». 

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, alla nostra attenzione, oggi, vi è un brano del profeta Michea che annuncia il suo messaggio in una epoca molto difficile di Israele. Il Regno del Nord (Israele) con capitale Samaria è già conquistato dagli Assiri dal 722 a.C. e la minaccia incombe anche per il piccolo Regno del Sud (Giuda) con capitale Gerusalemme.

Le profezie del profeta Michea si rivolgono ad una popolo che vive una realtà instabile, una minaccia, un pericolo imminente e che cerca di rendersi indipendente da un oppressore che impone anche i propri idoli e che poi, nel 701 avrà la peggio, perché Sennacherib sarà miracolosamente sconfitto dal re di Giuda, Ezechia.

Testo della predicazione: Giovanni 15,9-17

«Come il Padre mi ha amato, così anch'io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi.». 

Sermone

Il nostro brano del Vangelo di Giovanni riflette sul versetto del cap. 13 che dice: «Io vi do un comandamento nuovo» (v. 34). In realtà, il comandamento dell’amore non è certo nuovo perché le parole “Amerai il prossimo tuo come te stesso” sono già contenute nell’Antico Testamento (Lev. 19,18). Ma è nuovo perché riflette la rivelazione con cui Dio si presenta al mondo in Gesù, suo Figlio.

Gesù, dunque, si presenta a noi come uno spazio nuovo nel quale possiamo vivere concretamente la nostra realtà di fede e di cittadini del mondo. Il legame tra il Padre e Gesù, suo Figlio, è un legame d’amore, la relazione tra il Padre e il Figlio è caratterizzata dall’amore. Così questo legame può determinare anche le relazioni tra i credenti che vivono dell’amore di cui Gesù li ama.