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Testo della predicazione: Isaia 40,25-31

«A chi dunque mi vorreste assomigliare, a chi sarei io uguale?» dice il Santo. Levate gli occhi in alto e guardate: Chi ha creato queste cose? Egli le fa uscire e conta il loro esercito, le chiama tutte per nome; per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non ne manca una.  Perché dici tu, Giacobbe, e perché parli così, Israele: «La mia via è occulta al Signore e al mio diritto non bada il mio Dio?» Non lo sai tu? Non l'hai mai udito? Il Signore è Dio eterno, il creatore degli estremi confini della terra; egli non si affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli,

sono stata molto fortunata: ho visto volare l’aquila. Volava molto in alto, se non avessi avuto un binocolo non sarebbe stata altro che un puntino nel cielo. Planava con le ali stese, mi sembrava senza fatica, sfruttava le correnti dell’aria, faceva grandi giri nel cielo. Là dove osano le aquile. Coloro che sperano nel Signore, dice il profeta, sono come quell’aquila.

Ho anche osservato le galline. Sempre chinate sulla terra, alla ricerca di qualcosa da becchettare. Hanno ali ma le usano pochissimo, più che volare, svolazzano per breve tempo e non certo in alto. Il loro orizzonte è limitato. Guardando le galline senza volo, mi è venuto in mente il popolo di Israele in esilio a Babilonia. Con l’orizzonte stretto attorno a loro stessi , vedono solo le loro difficoltà, i loro problemi e si lamentano con Dio. “Il Signore non vede che vita faccio? Come mai Dio non difende la mia causa?” In una parola: Dio mi ha abbandonato in preda alla mia vita qui sulla terra. Non vede quanto devo tribolare.

Testo della predicazione: Giovanni 20,11-18

Maria se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Sermone

Fratelli e sorelle, Cristo è risorto! Cristo è veramente risorto. Cosa significa per noi oggi tutto questo?

Maria Maddalena va al sepolcro, ma trova la tomba vuota? Non trova il corpo senza vita di Gesù sul quale piangere ed elaborare il suo lutto. Non c’è più il corpo per il quale convincersi a rassegnarsi alla morte, alla separazione, alla rottura dei legami, al crollo delle speranze; ed è smarrimento, senso di vuoto, di disorientamento; vi è ancora più tristezza e confusione dopo quella visione angosciante della crocifissione del suo maestro Gesù.

Eppure Maria Maddalena doveva convincersene: l’aveva visto inchiodato su quella croce il suo maestro, l’aveva visto morire, e che cosa vi può essere di più definitivo della morte?

Ora sembra perfino inaudito il fatto che lasciare spazio alla rassegnazione possa essere così difficile.

Maria di Magdala, torna sul luogo della morte perché là può prendere coscienza del proprio dolore e della propria rassegnazione. Ma ciò non può avvenire, perché non c’è più l’oggetto della rassegnazione e del dolore: “Hanno tolto il mio Signore e non so dove l’abbiano deposto”.

Confessione di fede dei Catecumeni in occasione della loro Confermazione e Battesimo la Domenica delle Palme, 13 aprile 2014.

Cari fratelli e care sorelle,

il nostro gruppo di Catechismo è giunto alla conclusione del percorso di formazione.

Abbiamo deciso di far parte della Chiesa valdese perché con questa e con voi che siete qui oggi, vogliamo proseguire il nostro percorso di fede.

Abbiamo deciso di condividere con questa comunità la nostra ricerca che continua, le nostre domande, i dubbi, ma anche la nostra gioia e la nostra riconoscenza a Dio per la sua grazia.

Dalla parabola dei talenti abbiamo imparato quanto sia importante partecipare perché ognuno, dentro di sé, ha qualcosa da dare agli altri. Partecipare ed esserci significa già dare qualcosa.

Noi ci impegniamo a percorrere il nostro cammino con la Chiesa valdese e desideriamo permettere che essa cresca e si trasformi anche con il nostro contributo, in coerenza con la Parola di Dio.

Alcuni di noi hanno già ricevuto il battesimo, segno dell’amore di Dio. Il battesimo è un atto di Dio, quell’atto in cui Egli pronuncia il suo sì, quello in cui si rivela come il Dio che accoglie e che ama in modo sovrabbondante. Oggi noi rispondiamo al suo amore con il nostro sì, accogliendo con gioia la sua bontà, il suo perdono e la sua grazia. Noi confermiamo il battesimo con la nostra fede, quella che abbiamo ricevuto da Dio.

Testo della predicazione: Ebrei 12,1-3

«Noi, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio. Considerate perciò colui che ha sopportato una simile ostilità contro la sua persona da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, nella lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato, l’autore è preoccupato del fatto che i credenti siano diventati apatici e pigri: non prestano più attenzione alla predicazione, trascurano i culti, non sopportano le difficoltà che incontrano come cristiani e come minoranza religiosa; soffrono anche di ignoranza teologica, di un deficit di conoscenza che li fa diventare creduloni alla cultura dominante:

«Avremmo molte cose da dire, ma è difficile spiegarle voi perché siete diventati lenti a comprendere. Dopo tanto tempo dovreste già essere maestri; invece avete di nuovo bisogno che vi siano insegnati i primi elementi...; siete giunti al punto che avete bisogno di latte e non di cibo solido» (Ebrei 5,11-12).

Chi si rivolge a questi credenti, ricorda i padri che agirono con la loro fede e furono testimoni delle opere di Dio, si tratta di una lunga schiera di uomini e di donne, a partire da Adamo, Noè, Mosè, per passare ai patriarchi, ai profeti fino a Giovani Battista e altri che morirono per la loro fede.

«Siamo circondati da una grande schiera di testimoni»: come a dire che partecipiamo anche noi al miracolo della fede, alla continuità storica della testimonianza, che anche noi siamo chiamati ad afferrare quella fune della fede che così ci unisce all’intero popolo dei fedeli che nel corso dei secoli vi si sono aggrappati.

Testo della predicazione: Ebrei 13,12-14

Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori della porta della città. Usciamo quindi fuori dall'accampamento e andiamo a lui portando il suo obbrobrio. Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera agli Ebrei rivolge un lungo sermone ai suoi destinatari per incoraggiarli circa le difficoltà che vivevano nella società come credenti cristiani. Questi credenti attraversavano diverse persecuzioni che provocavano delusioni, perché si aspettavano una salvezza che li liberasse dalle sofferenze umane.

Il predicatore cerca di spiegare la realtà della fede attingendo dalle Scritture dell’Antico Testamento, scritture che diventano la prefigurazione di un nuovo Patto che Dio aveva compiuto attraverso il suo figlio, Gesù. Il nuovo Patto è perfetto perché non è stato compiuto con il sangue di animali, ma con il sangue di Cristo, Dio stesso che si offre all’umanità. Il nuovo Patto è per sempre, non servono altri sacrifici, perché è accaduto una volta per tutte.

Non bisogna temere dunque, perché siamo entrati all'interno di una nuova alleanza con Dio in cui Dio stesso decide di essere l’autore della nostra salvezza, del nostro perdono e della nostra redenzione.

Testo della predicazione: Matteo 10,34-36

«Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, allo Studio biblico su “Il Dio della Bibbia e la violenza” abbiamo appreso che la violenza è la costante minaccia distruttrice degli esseri umani. Quando due individui aspirano alla stessa meta, diventano rivali, si genera un conflitto che induce alla violenza. Presto si perde di vista l'oggetto della meta e la violenza diventa cieca, essa è socialmente contagiosa e produce sempre nuova violenza. Nelle società primitive, il rituale sacrificale serviva a deviare sulla vittima del sacrificio, un animale o addirittura una persona, il male, la violenza e il peccato delle persone. Così nei testi dell’Antico Testamento, il credente fa l’esperienza di Dio all’interno di questi processi culturali, ed è così che si spiegano i diversi rituali cruenti qui contenuti e perché vi è la necessità di spiegare Dio come crudele e violento, perché ciò è identificato con la potenza e la forza, anzi con l’onnipotenza di Dio: «Ha precipitato in mare cavallo e cavaliere», canta Miriam, dopo che le acque del Mar Rosso si sono richiuse. Ecco perché tanta violenza e ferocia domina buona parte della storia d’Israele.

Tuttavia, i profeti Amos, Isaia, Geremia, Osea, Michea, denunciano l’inefficacia del sacrificio e denunciano la violenza come peccato, anche quella che accadeva all’interno del popolo d’Israele e cioè nei riguardi degli umili, degli indifesi, dei poveri, delle vedove e degli orfani.

È vero che le guerre sono viste come atti di salvezza di Dio, egli comanda di annientare il nemico perfino nel modo dell’interdetto, cioè senza lasciare nessuno in vita e senza far bottino. Qui non c’entra affatto l’odio o la brutalità, ma vi è la l’ordine di Dio che nessuno può e deve disporre della guerra, essa non è uno strumento della politica per arricchirsi o per conquistare. Per questo era proibito il censimento della popolazione, per non essere tentati dal numero dei soldati superiore all'avversario.

Testo della predicazione: Marco 6,30-44

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco». Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare. Partirono dunque con la barca per andare in un luogo solitario in disparte. Molti li videro partire e li riconobbero; e da tutte le città accorsero a piedi e giunsero là prima di loro. Come Gesù fu sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore; e si mise a insegnare loro molte cose. Essendo già tardi, i discepoli gli si accostarono e gli dissero: «Questo luogo è deserto ed è già tardi; lasciali andare, affinché vadano per le campagne e per i villaggi dei dintorni e si comprino qualcosa da mangiare». Ma egli rispose: «Date loro voi da mangiare». Ed essi a lui: «Andremo noi a comprare del pane per duecento denari e daremo loro da mangiare?». Egli domandò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Essi si accertarono e risposero: «Cinque, e due pesci». Allora egli comandò loro di farli accomodare a gruppi sull'erba verde; e si sedettero per gruppi di cento e di cinquanta. Poi Gesù prese i cinque pani e i due pesci, e, alzati gli occhi verso il cielo, benedisse e spezzò i pani, e li dava ai discepoli, affinché li distribuissero alla gente; e divise pure i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e furono sazi, e si portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane, ed anche i resti dei pesci.  Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

Sermone

Gesù nel suo ministero in Galilea, attira molte persone. Con le sue guarigioni, con le sue parole, con la sua attenzione ha  incontrato le necessità spirituali  e materiali di quella popolazione che soffre molte cose: l’occupazione romana, malattie, povertà, disorientamento e esclusione dalla vita religiosa. Per molti così Gesù era qualcuno in cui sperare per un cambiamento della propria situazione.

Forse la sinagoga, il catechismo imparato, i consigli dei rabbini, quando ancora li potevano ascoltare, non erano più in grado di parlare alle loro persone e al loro cuore. Proprio come a volte temiamo noi, che la nostra predicazione, il nostro  annuncio non raggiunga chi ne ha necessità.

Gesù con la sua pratica di parole e fatti attirava; per questo vediamo nel testo una folla disordinata e in continuo movimento, gente che viene e che va, ognuno con le sue necessità. Una grande confusione. Tante ricerche di Dio, tante domande sulla propria vita in una grande confusione. Così è in fondo il campo del nostro annuncio dell’evangelo. Sappiamo, come lo sapeva la chiesa dell’evangelista Marco, che c’è gente che cerca Dio, ma cosa cerca ci sembra confuso e disordinato: un via vai senza soffermarsi, senza prendere il tempo per ascoltare, per sostare.

L’assedio della folla avviene però in un momento apparentemente inopportuno per quel giorno. Gesù infatti ha già un programma: prendersi del tempo per i discepoli, un tempo di isolamento dopo il grande lavoro missionario da cui sono appena tornati. Una barca lontano dalla folla, per approdare lontano dalla confusione.  I discepoli e il loro maestro.

Testo della predicazione: I Re 19,1-13

Acab raccontò a Izebel tutto quello che Elia aveva fatto, e come aveva ucciso con la spada tutti i profeti. Allora Izebel mandò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se domani a quest’ora non farò della vita tua quel che tu hai fatto della vita di ognuno di quelli». Elia, vedendo questo, si alzò, e se ne andò per salvarsi la vita; giunse a Beer-Seba, che appartiene a Giuda, e vi lasciò il suo servo; ma egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a mettersi seduto sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: «Basta! Prendi la mia vita, o Signore, poiché io non valgo più dei miei padri!» Poi si coricò, e si addormentò sotto la ginestra. Allora un angelo lo toccò, e gli disse: «Àlzati e mangia». Egli guardò, e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre calde, e una brocca d'acqua. Egli mangiò e bevve, poi si coricò di nuovo. L’angelo del Signore tornò una seconda volta, lo toccò, e disse: «Àlzati e mangia, perché il cammino è troppo lungo per te». Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio. Lassù entrò in una spelonca, e vi passò la notte. E gli fu rivolta la parola del Signore, in questi termini: «Che fai qui, Elia?» Egli rispose: «Io sono stato mosso da una grande gelosia per il Signore, per il Dio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita». Dio gli disse: «Va’ fuori e fermati sul monte, davanti al Signore». E il Signore passò. Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il Signore non era nel terremoto. E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il Signore non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un suono dolce e sommesso. Quando Elia lo udì, si coprì la faccia con il mantello, andò fuori, e si fermò all'ingresso della spelonca; e una voce giunse fino a lui, e disse: «Che fai qui, Elia?».

Sermone

     Care sorelle e cari fratelli, nel brano biblico di oggi troviamo un profeta che fugge. Fugge per salvarsi la vita. Israele si è rivolto ad altri dèi, in particolare a Baal e Astarte i cui profeti sono tutti morti a causa di Elia. Così Elia dà le motivazioni di ciò che è accaduto rispondendo alla domanda di Dio «Che fa qui, Elia?»«Io sono stato mosso da una grande gelosia per il Signore, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita».

     Elia non solo scappa dalla morte, ma scappa anche da Dio, scappa dalla vocazione profetica che Dio gli ha affidata, scappa dalla sua missione. Si rende conto che il suo fuggire rende vuota la sua esistenza e, paradossalmente, chiede al Signore di morire: «Basta, Signore, prendi la mia vita».

     Chiedere di morire, per il profeta, significa: “lasciami stare”, non mi reputo più adatto, sono incapace. E certamente, mentre fugge, Elia è incapace, viene colto da una grande tristezza, da una depressione che gli fa rinunciare a tutto. Lascia andare il suo servo per restare solo, solo con se stesso, rifugiandosi dentro una caverna, una grotta per ripararsi dalla notte.

Testo della predicazione: II Samuele 12,1-7a

Il Signore mandò Natan da Davide e Natan andò da lui e gli disse: «C’erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell’uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l’agnellina dell’uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa». Davide, allora, si adirò moltissimo contro quell'uomo e disse a Natan: «Com'è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita di essere punito e pagherà quattro volte il valore dell'agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà. Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell'uomo!».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, cari bambini e bambine, il profeta Natan pronuncia questa parabola davanti al re Davide, il più grande re d’Israele. Gesù sarà discendente di questo re.

Davide però ha sbagliato, si invaghisce di una bella donna, Bat-Sceba, moglie di un suo servo, Uria l’Ittita, la manda a chiamare e con lei ha dei rapporti, viola la sua integrità di donna e di moglie fedele. E quando la donna rimane incinta, il re cerca di rimediare sposandola. C’è però un impedimento, Bat-Sceba ha un marito. Così il re ordina di esporre in battaglia Uria, di lasciarlo solo in prima linea perché così sia ucciso dal nemico. E così accadde. Uria, fedele servo del re, muore in battaglia.

Vi sono due uomini, uno è ricco, l’altro è povero. Per descrivere il ricco, Natan, non ci mette molto, non c’è alcun interesse in quell’uomo. È ricco, ha in gran numero pecore e buoi, ha tutto, punto e basta. Così lo mette in disparte.