Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti
Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50
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Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.
Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA
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Testo della predicazione: Giovanni 6,4-14
La Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina. Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva verso di lui, disse a Filippo: «Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?» Diceva così per metterlo alla prova; perché sapeva bene quello che stava per fare. Filippo gli rispose: «Duecento denari di pani non bastano perché ciascuno ne riceva un pezzetto». Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, gli disse: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cosa sono per tanta gente?»
Gesù disse: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. La gente dunque si sedette, ed erano circa cinquemila persone. Gesù, quindi, prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, quanti ne vollero.
Quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda». Essi quindi li raccolsero e riempirono dodici ceste di pezzi che di quei cinque pani d’orzo erano avanzati a quelli che avevano mangiati. La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse: «Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, la divisione dei pani e dei pesci tra i discepoli e le cinquemila persone, avviene nell’ambito della pasqua ebraica. L’evangelista Giovanni sottolinea che “la Pasqua, la festa dei giudei, era vicina”. In effetti, il Vangelo di Giovanni non contiene l’episodio dell’ultima cena di Gesù con i discepoli, come negli altri Vangeli, ma contiene l’episodio di Gesù che lava i piedi ai discepoli.
Tuttavia, nel brano in cui Gesù divide il pane e i pesci, c’è un messaggio molto simile a quello dell’ultima cena; il Vangelo di Giovanni vuole affermare con forza che la Cena di Gesù in realtà è la nuova Pasqua che la chiesa celebra, Gesù offre a tutti, non solo si suoi discepoli, il suo cibo, abbondantemente.
L’episodio della divisione dei pani e dei pesci ha luogo su un monte, dove Gesù era salito, sul monte accadono sempre eventi solenni, e questo è un momento solenne: Mosè riceve le tavole della Legge su un monte, il Sinai, così il popolo riceve la Parola di Dio; infatti, dopo aver celebrato la Pasqua, Israele liberato dalla schiavitù d’Egitto, si avvia verso la terra promessa e, lungo la strada, riceve la Parola del Signore sulle tavole della Legge. Anche nel nostro racconto, accade una cosa simile.
In questo racconto, Gesù prende i pani, e dopo aver reso grazie li distribuisce: negli altri Vangeli, Gesù delega i discepoli dicendo «date loro voi da mangiare»; qui, invece, è Gesù stesso che distribuisce i pani e i pesci a 5 mila persone sedute per terra sul monte; Gesù distribuisce egli stesso il cibo, gratuitamente, perché è un dono di Dio.
Testo della predicazione: Luca 5,1-11
Mentre egli stava in piedi sulla riva del lago di Gennesaret e la folla si stringeva intorno a lui per udire la parola di Dio, Gesù vide due barche ferme a riva: da esse i pescatori erano smontati e lavavano le reti. Montato su una di quelle barche, che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra; poi, sedutosi sulla barca, insegnava alla folla.
Com’ebbe terminato di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo, e gettate le reti per pescare». Simone gli rispose: «Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti». E, fatto così, presero una tal quantità di pesci, che le reti si rompevano. Allora fecero segno ai loro compagni dell’altra barca, di venire ad aiutarli. Quelli vennero e riempirono tutt’e due le barche, tanto che affondavano. Simon Pietro, veduto ciò, si gettò ai piedi di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Perché spavento aveva colto lui, e tutti quelli che erano con lui, per la quantità di pesci che avevano presi, e così pure Giacomo e Giovanni, fi gli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Allora Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono.
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l'evangelista Luca riferisce che Gesù si trovava davanti ad una tale folla di gente che ha dovuto salire su una barca e allontanarsi dalla riva, perché la calca di gente avesse più spazio. Alla fine del suo insegnamento rivolto a tutti, Gesù domanda a Simone di prendere il largo e di gettare le reti.
È singolare questa richiesta proprio al termine della sua predicazione, ma l’ordine di Gesù “prendi il largo e getta le reti” è legato alla sua predicazione, perché Gesù non ci chiama semplicemente all'ascolto, ma anche all'ubbidienza che qui si esplica in un servizio che produce frutti abbondanti. La Parola di Gesù non è soltanto bella da ascoltare, non è soltanto consolante e incoraggiante, ma è anche esigente.
Simone, è colui che ascolta, concorda con la predicazione di Gesù… e poi? Poi è chiamato a ubbidire: «Prendi il largo e getta le reti».
La richiesta è davvero strana perché Simone e i suoi compagni avevano già lavato le riti, avevano concluso il loro lavoro dopo una notte di lavoro in cui non avevano preso nulla. Simone ricorda a Gesù questo particolare, che si era affaticato inutilmente per tutta la notte. In quel lago non c’era pesce in quel momento. Ma pure, all’ordine di Gesù, Simone non esita e prende il largo gettando le reti. Credo sia importante sottolineare che la gran quantità di pesci pescati (quasi le barche affondavano) indica il frutto che portano coloro che non solo ascoltano la voce del Signore, ma la mettono in pratica.
Tuttavia, noi non abbiamo un alto concetto circa l’ubbidienza; la viviamo come un sacrificio: ubbidire ai genitori, per i figli, è spesso una sofferenza, così come ubbidire al proprio capo o al datore di lavoro: allora ci rifiutiamo di considerare il fatto che il Signore ci possa obbligare a fare qualcosa.
Testo della predicazione: Luca 6,36-42
Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato. Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi». Poi disse loro anche una parabola: «Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più grande del maestro; ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Come puoi dire a tuo fratello: “Fratello, lascia che io tolga la pagliuzza che hai nell’occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall'occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello.
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l’evangelista Luca, a differenza di Matteo, preferisce far pronunciare a Gesù il suo discorso programmatico, non sul Monte, ma su un pianoro, nel luogo, cioè, della riflessione e della preghiera. In Matteo, si sottolinea, invece, il Monte che raffigura il Sinai, dove Mosè ricevette la legge di Dio, dunque Gesù è, per Matteo, il nuovo Mosè che annuncia la nuova legge di Dio, la legge dell’amore che non chiede nulla in cambio. Entrambi fanno un uso teologico della geografia.
Il brano alla nostra attenzione ha come tema il giudizio. Il giudizio contiene in sé il tema della giustizia: quella di Dio e quella umana; tanto diverse tra loro che, talvolta, ancora oggi, facciamo fatica ad averne una corretta comprensione.
L’evangelista Luca propone ai suoi ascoltatori di praticare una giustizia che affonda le radici nella misericordia e nel perdono. Per questo dice: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro».
L’evangelista afferma che nessun discepolo di Gesù deve contraccambiare al comportamento dell’altro. Cioè, non devi risponde all’odio con l’odio e all’amore con l’amore perché Dio non rende male per male e bene per bene; Dio è buono verso tutti, verso «gli ingrati e i malvagi» (v. 35), Dio «fa piover sui giusti e sugli ingiusti» (Mt. 5,45). La grazia di Dio non si fonda sui meriti delle persone, ma è pura bontà gratuita, amore autentico che non è determinato dai meriti di chi lo riceve, Dio ama a prescindere dal valore delle persone.
Testo della predicazione: Marco 10,13-16
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse; ma i discepoli sgridavano coloro che glieli presentavano. Gesù, veduto ciò, si indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano da me; non glielo vietate, perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità io vi dico che chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto». E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani su di loro.
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, la Bibbia parla dei bambini come coloro a cui sono riservate le promesse del Signore, il Regno di Dio, la rivelazione stessa di Dio, la sua gloria.
L'autore del Salmo 8 che abbiamo ascoltato, scaturisce in una meditazione spontanea riconoscendo che l'espressione più grande per dare gloria a Dio è quella dei bambini che si mostrano sbalorditi e sorpresi davanti all'immensità della creazione, stupiti davanti a una minuscola formichina. Stupore che noi adulti abbiamo perduto. L’autore del Salmo chiede, quindi, al Signore quella capacità di sorprendersi ancora delle piccole cose.
Ma la Parola di Gesù va ancora oltre. Ci sono dei bambini festanti e urlanti, entusiasti, che corrono verso Gesù; i discepoli sgridano i loro genitori chiedendo loro di allontanarsi: Gesù non è qual taumaturgo o quel santone che basta toccare per ricevere miracoli. Solitamente, proprio per questo motivo, Gesù si allontanava dalla gente per stare in luoghi appartati, ma qui no, qui ci sono dei bambini, la chiusura e la superstizione dei grandi non devono penalizzare l'apertura e la fiducia dei piccoli. Così Gesù pronuncia una delle parole più belle del Nuovo Testamento: «In verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non vi entrerà».
Ogni bambino che viene al mondo, porta con sé quella fiducia di possedere il diritto di trovare, in ogni caso, attenzione e accoglienza. Per un bambino, non vale ciò che vale per gli adulti, cioè che l'altro possa essere stanco o occupato in cose più importanti. Un bambino si considera, istintivamente, la cosa più importante della terra. Quando chiama, vuole che qualcuno arrivi, e ha diritto a questa "cortesia", si ammalerebbe se nessuno rispondesse ai suoi richiami.
Testo della predicazione: Isaia 6,1-13
Nell'anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. L'uno gridava all'altro e diceva: «Santo, santo, santo è il Signore dell'universo! Tutta la terra è piena della sua gloria!» Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta e la casa fu piena di fumo. Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore dell'universo!» Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall'altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato».Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? E chi andrà per noi?» Allora io risposi: «Eccomi, manda me!» Ed egli disse: «Va', e di' a questo popolo: “Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!” Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!» E io dissi: «Fino a quando, Signore?» Egli rispose: «Finché le città siano devastate, senza abitanti, non vi sia più nessuno nelle case, e il paese sia ridotto in desolazione; finché il Signore abbia allontanato gli uomini, e la solitudine sia grande in mezzo al paese. Se vi rimane ancora un decimo della popolazione, esso a sua volta sarà distrutto; ma, come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa».
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, la visione del profeta Isaia è una sorta di introduzione alla sua vocazione di profeta; dà legittimità e forza alla sua predicazione. È sottolineato che Dio stesso invia il profeta ad annunciare la Parola di Dio; la visione che abbiamo ascoltato dà al messaggio del profeta una grande autorità perché mette in rilievo il fatto che non si tratta di una parola umana, ma di ciò che Dio ha detto.
Dio è presentato come Colui che riempie il mondo con la sua gloria e la sua presenza: questo stanno ad indicare i lembi del manto di Dio che riempiono il tempio dove Isaia prega. Dio è sperimentato in questa forma possente, e tuttavia Egli rimane indescrivibile, incomprensibile nella sua totalità, imprendibile.
Dio sta sopra tutti e sopra ogni cosa, a Dio è diretto il canto dei Serafini: «Santo, santo, santo è il Signore, Dio dell’universo, tutta la terra è piena della sua gloria»; questo canto mette in evidenza tutta la pochezza e la parzialità dell’essere umano. Perfino gli angeli sono costretti a coprirsi il corpo perché anche loro partecipano alla natura di creature; se così è per gli angeli, come sarà per gli esseri umani?
Questa scena rivela che la santità di Dio è possibile comprenderla solo nella misura in cui noi comprendiamo la nostra condizione umana, la nostra caducità, la nostra debolezza; nella misura in cui riconosciamo il nostro peccato allora comprendiamo la santità di Dio.
Testo della predicazione: Giovanni 16,23b - 28. 33
«In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa. Vi ho detto queste cose in similitudini; l’ora viene che non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi farò conoscere il Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome; e non vi dico che io pregherò il Padre per voi; poiché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono proceduto da Dio. Sono proceduto dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo, e vado al Padre. Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, il brano del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato è inserito all’interno dei discorsi di addio che Gesù rivolge ai suoi discepoli. Gesù annuncia che essere credenti non sempre è facile; spesso può determinare sofferenze e persecuzioni, come quelle dei romani nei confronti dei cristiani della chiesa primitiva.
Soprattutto dopo l’anno 70, accadde che le sinagoghe ebraiche espulsero gli ebrei che si erano convertiti alle fede in Cristo, lasciando così i cristiani esposti alle persecuzioni romane. Gli ebrei godevano, infatti, del privilegio di non rendere il culto all’imperatore, a questo privilegio non poterono partecipare così i cristiani i quali ritenevano che solo Cristo è Signore, solo Lui può ricevere adorazione e culto, non l’imperatore che si considera come Dio in terra. Infatti il Nuovo Testamento afferma più volte che Gesù è il Re de re e il Signore dei signori, anche il Re dell’imperatore.
Per questo Gesù ricorda ai discepoli dicendo loro: «Vi espelleranno dalle Sinagoghe… nel mondo avrete tribolazione». I credenti possono illudersi che la loro coerenza cristiana, la loro fede, il loro impegno per il bene comune sia sempre ripagato con riconoscimenti, elogi e approvazioni, ma non è così. Gesù insegna che il male che vi è nel mondo ha un forte potere: il potere di soggiogare, di imprigionare, di rendere schiavi. E ciò può accadere in modo chiaro ed esplicito oppure in modo subdolo, in modo nascosto o inconsapevole: ci si crede liberi, ma si è dipendenti da ciò che produce male al prossimo.
Testo della predicazione: Matteo 11,25-30
In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, il brano alla nostra attenzione è un vero e proprio inno di riconoscenza dedicato all’opera che Dio compie nei confronti dell’umanità.
Tutto parte da una spontanea esternazione di Gesù che prende in considerazione la realtà del suo messaggio per il mondo.
Chi riceve il messaggio di Dio? Chi ha compreso veramente la natura di Gesù e la sua missione? In questo inno il mondo viene diviso in due parti: da una parte vi sono i sapienti e gli intelligenti e, dall’altra, i bambini che non sono ancora sapienti, e non hanno ancora sviluppato le loro doti intellettive al meglio.
Però è strano che la rivelazione di Dio non sia capita dai sapienti, da chi per primo dovrebbe intuire e comprendere meglio un messaggio, un ideale, un pensiero profondo. No! La rivelazione di Dio non passa attraverso i canali ufficiali, o attraverso chi è capace di capire e di trasmettere filosofie antiche e nuove; qui i saggi e gli intelligenti diventano come un muro di gomma, dove la Parola di Dio rimbalza, non è assorbita, accolta, perché troppo diversa, non rispetta quei criteri minimi della logica umana.
Perciò, la predicazione di Gesù è pazzia per chi cerca di capire con le proprie forze, con la propria logica umana, con i criteri filosofici più seri e rigorosi.
Nella Bibbia, la consapevolezza dell’opera di Dio e della sua rivelazione, sono spesso raccontati con canti, come quello di Miriam, la sorella di Mosè (Esodo 15,21ss) che canta la liberazione dalla schiavitù egiziana, quello di Anna, la madre di Samuele, che canta per la nascita del figlio (1 Sam. 2,1ss); la stessa Maria, madre di Gesù (Luca 1,46), esprime la sua gioia a Dio con il Magnificat. Anche la chiesa canta, intona inni a Dio.
Testo della predicazione: Giovanni 15, 1-8
Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli.
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, Gesù si propone come vite, ma bisogna dire che questa immagine della vite non è estranea alla Bibbia, spesso, nell'Antico Testamento, è il simbolo della fecondità, della fertilità, del frutto abbondante e rappresenta il popolo d'Israele, fedele alla Parola del Signore, altre volte è presentata come una vite improduttiva o desolata e deludente per Dio.
Così i profeti parlano di questa vite:
«La mia vigna era feconda, ricca di tralci per l'abbondanza delle acque, aveva dei forti rami, si ergeva nella sua sublimità tra il folto dei tralci». (Ez. 19) «Io la dissodai, ne tolsi via le pietre, vi piantai delle viti di scelta, vi fabbricai un recinto e vi scavai dei canali per l'irrigazione. Cosa si sarebbe potuto fare di più per la mia vigna? Io mi aspettavo che facesse dell'uva buona, invece ecco, ha fatto dell’uva selvatica dal frutto aspro» (Isaia 5).
Il profeta sottolinea l'amore con cui Dio ha curato quella vite, mentre i risultati sono stati deludenti, tanto che in seguito dirà:
«Trovai forse rettitudine? Nient'altro che spargimento di sangue! Trovai forse giustizia? Solo grida d’angoscia! Guai dunque, a quelli che assolvono il malvagio per un regalo e privano il giusto del suo diritto. La vigna è stata sradicata con furore e gettata a terra; il suo frutto è seccato e i suoi rami sono stati spezzati» (Isaia 5).
Allo stesso modo, Gesù parla della vite e dei tralci che non portano frutto: saranno gettati via, fatti seccare e buttati nel fuoco per bruciare in un forno per fare il pane.
Testo della predicazione: Giovanni 10, 11-16
Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga, e il lupo le rapisce e disperde. Il mercenario [si dà alla fuga perché è mercenario e] non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, cari bambini e bambine della Scuola domenicale, care monitrici, Gesù ci dice di essere per noi un buon pastore. Il pastore generoso di un gregge, un pastore che non ha a cuore la lana delle pecore o il loro latte, non il profitto che può ricavare da ogni pecora, ma il rapporto di affetto, e di amore, con ciascuna pecora, agnellino, con ciascuno di noi.
Gesù è il “Buon pastore” perché si prende cura del suo gregge, delle sue pecore anche a costo della sua vita. E sappiamo che questo è vero proprio perché Gesù è morto per noi, suo gregge.
La regola per tutti gli altri pastori è salvarsi la vita quando giunge un pericolo: per esempio quando giunge un branco di lupi e le pecore diventano una preda, o quando arriva inaspettata una tempesta o quando frana la montagna e c’è il rischio di finire in un dirupo. Per qualsiasi pastore, tornare a casa vivi è la cosa più importante.
Per Gesù è diverso: il buon pastore non può permette che le sue pecore muoiano, che siano vittima di violenza distruttiva che le schiacci. Il buon pastore dà perfino la sua vita perché le sue pecore vivano, perché il gregge sia salvato dai lupi che rapiscono le pecore e disperdono il gregge.
Testo della predicazione: Giovanni 20,19-29
La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi». Detto questo, soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti». Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!» Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò». Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!» Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, nei racconti degli evangelisti emerge, in modo determinante, la necessità di testimoniare al mondo, che l’annuncio del Cristo risorto non è stato una mera allucinazione dei discepoli, ma una realtà. I Vangeli vogliono testimoniare che i discepoli non sono stati dei visionari che hanno visto quello che volevano vedere, cioè il loro maestro “vivo e vegeto” dopo la morte, ma che hanno vissuto un’esperienza che li ha sorpassati, una realtà più grande della loro e della loro stessa immaginazione.
I Vangeli sottolineano che l’uscio era serrato per bene, e Luca, in particolare, spiega che i discepoli furono presi da una gran paura, talché Gesù disse: «non abbiate paura, sono io». Ma il momento della visita di Gesù ai discepoli non sta a significare che tutto è tornato come prima, e che il momento della morte del maestro è stato un incidente di percorso a cui, adesso, Dio ha posto rimedio.
«Pace a voi» dice Gesù, entrando nella stanza dove i discepoli si riunivano. Non è un semplice saluto, ma è una rivelazione. Spesso nell’Antico Testamento viene pronunciata una formula rivelatoria simile, per esempio quando Gedeone (Giudici 6,23) è intimorito alla vista dell’angelo del Signore il quale gli dice appunto: «pace a te, non temere». Anche Daniele (Dan. 10,19), atterrito dall’apparizione dell’angelo è rassicurato con le parole: «Pace a te».