Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Testo della predicazione: I Tessalonicesi 1,2-10

Noi ringraziamo sempre Dio per voi tutti, ricordandovi nelle nostre preghiere, rammentando l'opera della vostra fede, la fatica dell'amore e la costanza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo davanti a Dio, nostro Padre. Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti, il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena certezza. Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore, avendo accettato la Parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia dello Spirito Santo, al punto da diventare un esempio per tutti i credenti (…).

Infatti, da voi la Parola del Signore si è sparsa, non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la fama della fede che avete in Dio è giunta in ogni luogo (…). Tutti raccontano (…) del vostro servizio al Dio vivente, nell'attesa del Figlio suo dai cieli e che Egli ha risuscitato dai morti.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’apostolo Paolo ringrazia Dio perché i credenti della chiesa di Tessalonica sono fermi nella fede in Cristo. È stato l’apostolo stesso a fondare quella chiesa con la predicazione del Vangelo, un vangelo annunciato con passione e con piena certezza, come dirà egli stesso. Ora, però, l’apostolo è altrove, e non ha modo di visitare i credenti tessalonicesi per consolidarli ulteriormente nella fede, però, avendo inviato Timoteo, un suo compagno nella predicazione, ha ricevuto buone notizie, senz’altro inattese, che lo riempiono di gioia. Così scrive, con grande riconoscenza, una lettera, quella di cui abbiamo ascoltato la parte iniziale.

L’apostolo afferma di pregare, prega per i credenti che sono vittime di persecuzioni, sofferenze e difficoltà di vario genere, prega perché la fede di questi credenti non vacilli a causa delle prove.

A un certo punto, la preghiera dell’apostolo si trasforma: da preghiera di richiesta diventa una preghiera di ringraziamento. Non ringrazia i credenti per essere fedeli, ma ringrazia Dio che li sostiene e li rende forti nelle prove e nelle difficoltà della vita.

Perciò, i credenti di Tessalonica sono ricordati dall’apostolo Paolo, nelle sue preghiere, per:

  • l’opera della loro fede;
  • la fatica del loro amore;
  • la costanza della loro speranza.

Testo della predicazione: Filippesi 2,1-4

«Se c'è, dunque, una consolazione in Cristo, se c'è un incoraggiamento d'amore, se c'è una comunione di Spirito, se ci sono sentimenti di compassione e di misericordia, colmate la mia gioia avendo lo stesso pensiero, lo stesso amore e un solo animo; pensando un'unica cosa, non facendo nulla per ambizione o vanagloria, ma in umiltà. Stimate gli altri superiori a voi stessi, cercando ciascuno non il proprio bene, ma anche quello degli altri».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, è dal carcere di Efeso che l’apostolo Paolo scrive questa lettera alla chiesa della città di Filippi. È dalla prigionia che rivolge un accorato appello a quella comunità che ha visto nascere e crescere, una comunità il cui affetto e amore supera ogni altra. Eppure anche la comunità dei filippesi è provata, sta subendo duri attacchi e persecuzioni dal mondo pagano, ma la sua fede è forte, incrollabile e l’apostolo sa che in momenti difficili come questi il fatto di continuare a vivere e a testimoniare l’Evangelo della libertà e dell’amore di Cristo significa vivere della grazia di Dio.

     Nonostante la comunità cristiana di Filippi abbia una buona testimonianza tra il mondo cristiano, è ad essa che l’apostolo si rivolge in tono supplichevole: «colmate la mia gioia avendo lo stesso pensiero, lo stesso amore, e un solo animo, pensando un’unica cosa». Possono sembrare le parole di un padre che desidera che i suoi figli non litighino tra loro e che vivano d’amore e d’accordo.

Ma la comunità dei credenti non è una semplice famiglia alla quale si possono applicare tutti quei principi che la regolano e ad essa si richiamano; perché in ogni famiglia, benché unita, ognuno poi prende la propria strada, segue il proprio destino, i figli prendono mogli, le figlie mariti, e formano altri nuclei famigliari.

     L’apostolo Paolo, in realtà, si rivolge a una comunità di credenti chiamata a essere e a vivere in modo autenticamente evangelico. Questo è l’appello dell’apostolo: si appella all’amore che è fondato su Cristo e a partire dal quale ogni rapporto umano cambia, perché l’amore permette di dialogare da pari a pari, senza ritenersi superiori, senza interessi personali, senza spirito di parte.

Testo della predicazione: Atti 3,1-10

Mentre Pietro e Giovanni salivano al tempio in occasione della preghiera dell'ora nona, un tale, zoppo dalla nascita, veniva portato lì. Ogni giorno lo ponevano vicino alla porta del tempio detta “Bella”, per chiedere l'elemosina a quelli che entravano nel santuario. Questi, vedendo Pietro e Giovanni sul punto di entrare nel santuario, chiese loro l'elemosina. Allora Pietro, insieme a Giovanni, fissato lo sguardo su di lui, disse: «Guardaci!» Ed egli aspettandosi di ricevere qualcosa da loro, li osservava. Pietro disse: «Non possiedo argento e oro, ma quel che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» Lo prese allora per la mano destra e lo fece alzare. Immediatamente, i suoi piedi e le sue caviglie acquistarono vigore. Con un balzo si mise in piedi e cominciò a camminare. Poi, entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. E tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio. Lo riconoscevano, infatti, come colui che stava seduto a chiedere l'elemosina accanto alla porta "Bella" del tempio, e furono colmi di stupore e di smarrimento per quanto gli era successo.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il centro del racconto che abbiano ascoltato è la parola che Pietro rivolge allo zoppo: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati cammina».

Pietro e Giovanni si recano nel tempio per pregare e, attraversando una delle porte del tempio, incontrano un paralitico, così fin dalla nascita, che chiede l’elemosina. Ma i due apostoli non hanno soldi, non hanno delle monete d’argento o d’oro da dare all’uomo che ha pur bisogno di sopravvivere non potendo lavorare. Non riceve la pensione d’invalidità civile!!!

I due possono passare oltre, far finta di niente, cambiare strada, evitare l’uomo. Non poter aiutare spesso ci fa sentire mancanti. Ma se i due apostoli avessero avuto dei soldi con sé avrebbero potuto assolvere a un loro dovere, come tutti gli altri, e sentirsi sufficientemente buoni e altruisti.

Eppure, tante volte non ci rendiamo conto di quanto smorziamo l’amore, la compassione e la tenerezza quando deleghiamo al denaro, alla nostra offerta o a un regalo anche prezioso, il nostro amore, le nostre attenzioni, i nostri affetti, le nostre cure. In fondo l’elemosina non ci impegna a farci carico dell’altra persona, non ci impegna come persone, come credenti, ma mantiene quella certa distanza per non essere troppo coinvolti in un rapporto, in una relazione che potrebbe sfociare in qualche legame forte.

Pietro e Giovanni si sentono chiamati invece a instaurare un rapporto umano e un vincolo forte di solidarietà.

Domenica, 01 Luglio 2018 16:31

Sermone di domenica 1 luglio 2018

Testo della predicazione: Genesi 12,1-4a

Il Signore disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Abramo partì, come il Signore gli aveva detto.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, quante volte abbiamo avvertito un senso di insicurezza dovendo fare un trasloco, oppure trasferendoci da una città all’altra. Prepararci per una partenza che potrà cambiare il nostro futuro ci mette ansia, un senso di incertezza e di precarietà.

Quello che accade ad Abramo e Sara è la stessa cosa, devono partire, a loro è dato un comando perentorio da parte di Dio: «Va’ via dal tuo paese». Quello che sta accadendo è che Dio decide di dar vita a una nuova comunità umana, che comincia con un porsi in cammino. Dio ha chiamato all’esistenza il mondo, e ora chiama Abramo e Sara a creare un futuro nuovo, radicalmente diverso dal passato e dal presente. Abramo e Sara sono disponibili, rispondono con fede, la fede è quella capacità di accogliere il futuro annunciato da Dio.

Ma non sarà facile.

Dio dice ad Abramo: «Io farò di te una grande nazione», gli promette una discendenza, ma ora questa discendenza è destinata ad annullarsi, perché sua moglie Sara è sterile. Il testo non spiega le cause della sterilità di Sara, si limita soltanto a riferire che questa famiglia, e con essa tutta la discendenza di Abramo, ha esaurito il suo futuro, è giunta al termine della sua storia. Per Abramo e Sara non c’è nessuna speranza, nessun futuro in vista.

La sterilità espressa in questo racconto manifesta la condizione dell’umanità priva di speranza. Dio ha a che fare con questa realtà umana sterile. La sterilità nella Bibbia non è un caso isolato: non colpisce soltanto Sara, ma anche Rebecca la moglie di Isacco, Rachele la moglie di Giacobbe, e la profetessa Anna che sarà la madre di Samuele, ma anche Elisabetta la madre di Giovanni Battista: donne tutte sterili.

La metafora della sterilità annuncia che la famiglia inizia la sua vita in una situazione di irreparabile assenza di speranza. È qui, in questa realtà, che Dio si fa vivo e presente con le sue promesse.

Testo della predicazione: 1 Pietro 3,8-15

«Siate tutti concordi, comprensivi, pieni di amore fraterno, compassionevoli e umili; non rendete male per male, od offesa per offesa, ma, al contrario, benedite; perché a questo siete stati chiamati per ereditare la benedizione. Infatti: “Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da un parlare ingannevole; si allontani dal male e faccia il bene, cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi ascoltano le loro preghiere; ma la faccia del Signore è contro chi fa il male”. Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene? Se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non abbiate paura di coloro che incutono terrore e non vi preoccupate; ma santificate Cristo il Signore nei vostri cuori. Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono chiarimenti».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, una dura persecuzione attendeva i cristiani a cui si rivolge questa lettera di Pietro, e già, in parte, aveva avuto inizio, attraverso la ferocia e l’odio contro i cristiani da parte dell’imperatore Domiziano e del mondo pagano.

L’autore non nasconde le difficoltà del momento, e manifesta un pensiero per lui importante, e cioè che, facendo il bene, si induce l’avversario a convincersi che è falsa l’idea secondo la quale i cristiani sono da eliminare perché pericolosi dal momento che non s’inchinano davanti all’imperatore, ma solo davanti a Dio. Inoltre l’autore biblico è convinto che con la violenza non si va mai lontano, ma, prima o poi si ritorcerà contro di te, sebbene egli sappia bene che potrebbe sempre accadere il peggio, perciò aggiunge: «E se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi!».

L’autore della lettera di Pietro mette in guardia i credenti dalla tentazione di rispondere a tono, di ricambiare il male con il male, l’ingiuria con l’ingiuria, l’oltraggio con l’oltraggio. Mette in guardia dal dire: «Non meriti la mia attenzione, la mia compassione, il mio amore».

La Bibbia conosce bene la spirale del male, sa bene che entrando in questo circolo non se ne potrà più facilmente uscire, non si otterrà che ostilità e discordia,  guerra e distruzione; la Bibbia invita a guardare oltre la fragilità, oltre la debolezza umana, oltre il male, la malvagità, la meschinità, oltre il nostro piccolo orizzonte; la Bibbia invita a guardare alla speranza che abbiamo ricevuto come credenti e che vede già realizzarsi l’obiettivo che ci è posto davanti e che dobbiamo perseguire: la pace, la concordia, la riconciliazione.

L’aveva detto chiaramente Gesù: «Siate misericordiosi, non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati… Benedite coloro che vi maltrattano e che vi maledicono».

Testo della predicazione: 1 Corinzi 14,1-3. 20-25

Perseguite l'amore e cercate con cura i doni spirituali, soprattutto per profetizzare. Colui che parla in lingue non parla alle persone, ma a Dio; nessuno infatti comprende, ma lo Spirito proferisce misteri. Chi profetizza, invece, parla a delle persone, edificando, esortando, consolando. Fratelli, non ragionate da bambini, ma siate innocenti come fanciulli nei confronti del male. Quanto al ragionare, siate adulti. Nella legge è scritto: «Con persone che parlano altre lingue e con labbra di altri parlerò a questo popolo e neppure così mi presteranno attenzione». Così dice il Signore. Perciò le lingue sono un segno non per i credenti, ma per i non credenti. La profezia, invece, non è per i non credenti, ma per i credenti. Se, dunque, tutta la chiesa si raduna nel medesimo luogo e tutti parlano in lingue, se entrano dei semplici uditori o non credenti, non diranno che siete impazziti? Se tutti profetizzano ed entra un non credente o una persona in ricerca, è convinto da tutti, ed è da tutti esaminato. Le cose nascoste del suo cuore diventano evidenti  e così, cadendo faccia a terra, adorerà Dio, dichiarando: «Dio è veramente tra voi».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, talvolta accade che, pensando alla volontà di Dio, crediamo che essa sia esattamente diversa o addirittura contraria a ciò che desideriamo o a ciò che speriamo.

L’apostolo Paolo riflette sul problema della volontà di Dio e pone le basi affinché impariamo a maturare nel fare le scelte della nostra vita legate alla Parola di Dio, al Vangelo di Gesù Cristo.

L’apostolo spiega, al capitolo 12 di questa prima lettera ai Corinzi, che i credenti ricevono una grande varietà di doni da Signore e conclude affermando che ciascuno di noi riceve un dono da Dio affinché la chiesa sia edificata.

Sembra proprio che i padri costituenti della Costituzione italiana avessero le parole dell’Apostolo quando scrissero l’articolo 4 che recita così:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società».

La nostra costituzione usa il termine “svolgere un’attività”, mentre l’apostolo Paolo usa il termine “costruire”, costruire un edificio con il contributo di ognuno, attraverso la condivisione dei doni. Quando un dono non può essere condiviso – dice l’apostolo - quando edifica solo se stessi e non agli altri, allora, si pratichi quel dono nel proprio intimo.

Testo della predicazione: Efesini 1,3-14

«Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d'intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi, prima domenica dopo Pentecoste, è la Domenica della Trinità, e il nostro lezionario “Un giorno, una Parola” propone questo testo, densissimo di contenuti e con una alta concentrazione teologica, non facile neppure agli «addetti ai lavori» soprattutto perché tratta diversi temi tutti legati da un filo rosso che è la grazia di Dio.

Innanzitutto, bisogna dire che il brano è un Inno e un capolavoro letterario che non teme paragoni con la letteratura greca antica; è un Inno che, invocando la benedizione del Signore, introduce, con una grande solennità, il tema della grazia infinita di Dio. È una solenne confessione di fede, un catechismo condensato che tocca tutti gli elementi essenziali della fede. È il minimo comune denominatore, irrinunciabile, della fede cristiana a cui tutti i credenti si rifanno.

I destinatari della lettera sono credenti cristiani di Efeso convertitesi dal paganesimo, essi sono invitati ad aprirsi al futuro contando sulla guida dello Spirito Santo. L’autore scrive in un’epoca in cui la chiesa non è per niente omogenea e dove diverse teologie e approcci teologici tenevano, spesso, i credenti lontani tra loro, in particolare cristiani giudei e cristiani provenienti dal paganesimo, la fraternità era spesso compromessa.

Il brano che oggi è alla nostra attenzione è il tentativo, ben riuscito, di promuovere l’unità della chiesa, di spiegare che, nonostante le diversità, tutti siamo uniti dalla unica grazia di Dio, proprio perché Cristo è morto per tutti e tutte.

Testo della predicazione: Geremia 31,31-34

«Ecco, i giorni vengono», dice il Signore, «in cui io farò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d'Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore», dice il Signore; «ma questo è il patto che farò con la casa d'Israele, dopo quei giorni», dice il Signore: «io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: "Conoscete il Signore!", poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice il Signore. «Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il profeta Geremia è un “profeta della crisi”, nel senso che è coinvolto nella più grande crisi della storia d’Israele che corrisponde al suo declino politico e alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Siamo attorno al 580 a.C. Geremia ha un compito profetico che lo porta a confrontarsi duramente tanto con la realtà politica, quanto con quella religiosa.

Per questo il libro delle “Lamentazioni” di Geremia è la fonte dell’interpretazione del profeta stesso: egli ci dice che ciascuno di noi ha il diritto al lamento, cioè ad aprirsi a Dio senza paura. Però, il profeta non perde di vista l’essenziale, non si perde nel lamento, ma va oltre per costruire un rapporto con Dio giusto, sano, e l’intensità del suo messaggio diventa tanto profonda da giungere alle potenti metafore della Parola di Dio vista come un fuoco o come un martello che frantuma le pietre.

Israele ha abbandonato Dio per servire altri dèi (1,16) perciò le conseguenze di questa scelta saranno inevitabili: l’autodistruzione che corrisponderà alla deportazione in Babilonia del 587 a.C. Geremia invita il popolo alla conversione, cioè a tornare a Dio, che è sempre stato un liberatore, e annuncia che Dio stesso muterà/convertirà la loro prigionia, la deportazione in Babilonia, in libertà.

Testo della predicazione: Salmo 104 passim

Loda il Signore, anima mia: Signore, mio Dio, quanto sei grande! Sei avvolto in un manto di luce. Hai disteso il cielo come una tenda, avanzi sulle ali del vento. Hai fissato la terra su solide basi; dalle sorgenti fai scendere le acque ed ecco ruscelli scorrere tra i monti. Alle loro sponde vengono le bestie della campagna, le zebre vi placano la sete. Là intorno fanno nidi gli uccelli e tra le foglie compongono canti. Sulla cima dimora la cicogna. Dall'alto dei cieli fai piovere sui monti, non fai mancare alla terra l'acqua necessaria. Fai crescere l'erba per il bestiame e le piante che l'uomo coltiva. Sulle alte montagne vivono i cervi, i tassi trovano rifugio nelle rocce. Tu hai fatto la luna per segnare il tempo e il sole è puntuale al suo tramonto. Come sono grandi le tue opere, Signore, e tutte le hai fatte con arte! La terra è piena delle tue creature. Gloria al Signore, per sempre! Canterò a te, Signore, finché ho respiro. Ti loderò, mio Dio, finché ho vita. Ti piaccia il mio canto, Signore; la mia gioia viene da te. Amen!

Sermone

Cari bambini e bambine della Scuola domenicale, cari fratelli e care sorelle, il tema scelto per questa giornata di Festa delle Scuole domenicali della Val Pellice è quello della natura come creazione di Dio.

Sono per tutti un meraviglia i fiori di ogni genere e colore, come gli alberi, piccoli o maestosi, i loro frutti, il cielo azzurro, l’acqua… il mare…

Il Salmo 104 è un invito a dare lode a Dio attraverso lo splendore della sua creazione.

Ciò che Dio crea è la vita, tutti noi che siamo vivi, quindi, siamo legati a Dio che ci mantiene in vita. Si tratta dell’amore di Dio per noi, proprio come ci ama la mamma e il papà. È lo stesso amore.

Loda Dio un credente profondamente sorpreso dalla bellezza della natura: dei monti, dei campi, dei fiumi, dei fiori, degli animali, dell'aria, del fuoco, della terra e dell’acqua.

Ci guardiamo attorno e restiamo sempre stupiti, e ringraziamo Dio per questo: per l’amore dei genitori, per la vita delle persone che ci amano e per la vita degli animali e della natura che in questo periodo di primavera si risveglia più che mai.

Ecco, il creato invita a lodare il Creatore.

Testo della predicazione: Atti 16,22-34

Presero Paolo e Sila e comandarono che fossero battuti con le verghe. E, dopo aver dato loro molte vergate, li cacciarono in prigione, comandando al carceriere di sorvegliarli attentamente. Ricevuto tale ordine, egli li rinchiuse nella parte più interna del carcere e mise dei ceppi ai loro piedi. Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano. A un tratto, vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; e in quell'istante tutte le porte si aprirono, e le catene di tutti si spezzarono. Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate, sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo fare per essere salvato?» Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia». Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, vi sarà, senz’altro, capitato tante volte di trovarvi a pregare, senza neppure rendervene conto, a motivo di una sofferenza, un dolore, vostri o di altre persone che vi sono care. Accade tante volte che una gioia, una felicità per un evento che avete vissuto o per un pericolo scampato produca un profondo “Alleluia” dall’animaoppure un “grazie Signore”, o semplicemente un “sia ringraziato il cielo”. Sì, tante volte. Altre volte ci si trova a canticchiare piano o forte, una bella canzone o un inno che esprimono la nostra contentezza, e non ce ne accorgiamo neppure.

All’apostolo Paolo e al suo compagno missionario, Sila, era capitata, invece, una brutta avventura che non era destinata a risolversi facilmente. Erano in Macedonia, e Paolo aveva guarito una serva che aveva uno spirito indovino che procurava molti guadagni ai suoi padroni, così, a motivo di quella liberazione, la popolazione si era ribellata denunciandogli apostoli che sconvolgevano la città annunciando tradizioni e riti diversi da quelli consentiti. In realtà erano i loro guadagni che erano compromessi non la loro fede.

Così gli apostoli sono condotti in carcere, in catene e con ceppi ai piedi. Erano, cioè, pericolosi, potevano avere dei poteri con i quali liberarsi; meglio neutralizzare i loro poteri e rendere impossibile la loro liberazione.

Ma l’annuncio della Parola di Dio è l’annuncio della liberazione e non saranno i ceppi e le catene a rendere prigionieri i credenti.