Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Testo della predicazione: 1 Corinzi 2,6-16

Fratelli, a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo mondo né dei dominatori di questo mondo, i quali stanno per essere annientati; ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno dei dominatori di questo mondo ha conosciuta; perché, se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma com'è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell'uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano». A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Infatti, chi, tra gli uomini, conosce le cose dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere le cose che Dio ci ha donate; e noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali. Ma l'uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente. L'uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da nessuno. Infatti «chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?» Ora noi abbiamo la mente di Cristo».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, parlare di Spirito, secondo l'apostolo Paolo, vuol dire parlare di spiritualità. Mi sono domandato cosa significa, nella nostra comprensione comune, la parola "spiritualità". Certamente, molti di noi la intendono come una forma di "entusiasmo", per la chiesa, per il Signore; la spiritualità la vediamo in una persona della chiesa che lavora con entusiasmo; oppure la vediamo in una persona che parla della propria fede, che si dedica con convinzione all'evangelizzazione o alle varie attività della chiesa. Diciamo, con un linguaggio che non è nostro, che si tratta di persone “spirituali”, mentre nel nostro linguaggio diremmo persone "attive nella chiesa".

Quando l’apostolo Paolo collega strettamente la spiritualità dei credenti allo Spirito Santo, lo fa trattando il tema della Sapienza.

Ci può apparire strano, ma l'apostolo intavola un discorso con quella parte di comunità filo-gnostica, cioè di quella corrente che fondava la propria fede su quella sapienza e conoscenza che Dio avrebbe riservato solo a pochi eletti, i "perfetti", gli altri erano spregevolmente chiamati "psichici" cioè materiali, di second'ordine insomma.

Sembra che fra questi di second'ordine, cioè materiali, poco inclini alla comprensione della sapienza di Dio, fosse annoverato anche l'apostolo Paolo che, così, deve difendersi dell'accusa di non aver ricevuto da Dio nessuna rivelazione spirituale.

L'apostolo risponde dicendo che, se finora non ha parlato tanto profondamente della sapienza di Dio è perché i Corinzi non erano in grado di capire i suoi discorsi. Dunque, Paolo passa ad affermare che Dio rivela se stesso, sì agli esseri umani, ma lo fa attraverso l'azione dello Spirito Santo.

Testo della predicazione: Esodo 13,20-22

Gli Israeliti, partiti da Succot, si accamparono a Etam, all'estremità del deserto. Il Signore andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino; di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte. Egli non allontanava la colonna di nuvola durante il giorno, né la colonna di fuoco durante la notte, dal cospetto del popolo.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, questo racconto ci riporta all’epoca in cui Israele è stato appena lasciato libero di andarsene dall’Egitto. Le dieci piaghe d’Egitto hanno piegato il faraone che si sente ora costretto a liberare un popolo che teneva in schiavitù per costruire i suoi palazzi e le sue città.

Israele marcia verso una terra ignota, ha un lungo cammino da percorrere; la Bibbia ci parla di 40 anni di viaggio attraverso il deserto; certo, 40 è un numero simbolico che rappresenta la preparazione del popolo alla salvezza di Dio, ma non saranno stati certo 40 giorni.

Questo popolo dovrà affrontare pericoli di ogni sorta, prima di raggiungere la Terra promessa; e il primo pericolo è in agguato, accadrà a breve distanza da questa partenza, infatti il Faraone si mostra poco convinto di aver lasciando liberi i suoi schiavi e armerà un esercito di 600 carri da guerra per inseguirli e raggiungerli per farli tornare indietro o per farli morire.

Non si presenta dunque un futuro sereno per il popolo che pure ha trascorso 400 anni di dura schiavitù: cosa ci poteva essere di più duro da sopportare? Ci poteva essere il pericolo di popoli nomadi nel deserto, ostili e aggressivi, sete per la scarsità di acqua, fame per la scarsità di cibo.

Non solo, ma anche forze interne al popolo della discendenza di Abramo, persone contrarie che si sono sentite costrette a lasciare l’Egitto, e che indurranno il popolo a rinnegare il Dio liberatore, che non si lasciava vedere fisicamente, a favore di un idolo costruito da loro, un vitello d’oro.

Israele non conosce ancora tutte le difficoltà che dovrà attraversare, i pericoli, le prove, la sete, la fame. Ora vive la gioia della partenza dalla terra che l’ha reso schiavo, ma c’è anche l’ansia per il domani; l’ansia che tutti i cambiamenti e le nuove strade da percorrere portano.

Testo della predicazione: I Corinzi 1,26-31

Fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio. Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, ossia giustizia, santificazione e redenzione; affinché com’è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, in questo scritto in cui l’apostolo scrive alla comunità cristiana di Corinto, affronta il tema della gratuità dell’amore, della grazia e del perdono di Dio.

I credenti, sono tali perché hanno ricevuto la fede da Dio, e questa fede non l’hanno ricevuta perché sono più intelligenti, sapienti o più giusti e santi di altri; i credenti, dunque, non possono avere alcun vanto riguardo alla loro fede: essa è un dono gratuito di Dio.

«Guardate la vostra vocazione», scrive l’apostolo, come dire: «Guardate che cosa siete diventati voi, per grazia di Dio, senza alcun merito, senza nessuna delle vostre carte in regola, senza appartenere a classi agiate, o a classi di intellettuali, di persone altolocate che esercitano poteri forti». No, Maria diceva: «Il Signore ha buttato giù dai troni i potenti e ha mandato a mani vuote i ricchi».

Così accadrà che i Magi d’oriente faranno una lunga strada per abbassarsi nell’adorazione di un bambino povero che nasce in una stalla e deposto in una mangiatoia: questa è la logica di Dio, è la logica per la quale non ci sono ceti di appartenenza giusti, come il popolo ebraico, ma tutti hanno accesso alla fede e alla grazia, qualunque sia la propria condizione a patto che riconosca Dio nell’umiltà, nella povertà, nell’impotenza, nella semplicità.

Eppure non mancano credenti ancora convinti che Dio stia dalla parte dei potenti che altri onorano e riveriscono. Credenti che affermano: «Dio non mi ascolta perché non ho influenza politica», o «perché non ho alcun potere», o «perché non ho l’intelligenza di capire la Bibbia». No, Paolo dice chiaramente: «Dio ha chiamato voi alla fede, proprio perché non siete né ricchi, né potenti».

Testo della predicazione: Matteo 1,18-24

La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Maria, sua madre, era stata promessa sposa a Giuseppe e, prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo marito, che era uomo giusto e non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente. Ma mentre aveva queste cose nell'animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati».  Tutto ciò avvenne, affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele», che tradotto vuol dire: «Dio con noi». Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, oggi abbiamo raggiunto un grado significativo circa la paternità e la maternità, l’avere dei figli. Si può parlare oggi di maternità responsabile, si pianifica un figlio, oppure no se non possiamo garantirgli una condizione di vita accettabile.

Anche se purtroppo succede che sono sempre meno le donne e gli uomini che sono pronti ad accettano la responsabilità di avere un figlio/a. E può capitare che, quando una gravidanza è frutto di “un incidente di percorso”, allora essa è recepita come uno spezzare la tranquillità che si voleva, o l’interruzione di progetti diversi.

I figli certamente cambiano la vita ed essa non sarà più la stessa di prima.

Come una gravidanza non programmata, in modi diversi, Dio interviene nella nostra vita e ne interrompe il corso in modo inatteso, ci fa cambiare direzione. E noi ci troviamo impreparati e l’accaduto ci scombussola, scompiglia i nostri progetti.

Testo della predicazione: 1 Giovanni 4,16-19 (passim)

«Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore. In questo l'amore è reso perfetto in noi: che noi abbiamo fiducia. Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore. Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo».

Sermone

Cari bambini e care bambine, monitrici, fratelli e sorelle: «Nell’amore non c’è paura, perché l’amore caccia via la paura» dice la Bibbia.

Che significa questa frase? Che chi ama non ha paura?

Significa che, se voi volete bene i vostri genitori, non dovete avere paura? Beh, sì, perché i vostri genitori vi proteggono, si prendono cura di voi, vi dicono dove sono i pericoli, vi danno sempre buoni consigli (alle vote anche degli ordini cui obbedire) e lo fanno per il vostro bene.

Perché lo fanno? Perché tante volte si disperano per voi?

Lo fanno perché vi vogliono bene! Vi amano, e vogliono che voi cresciate bene, imparando a conoscere il mondo, il bene, il male, e affinché un giorno potrete fare tutto da soli, senza più loro attorno.

Ma quando sarete adulti, non domani!

Testo della predicazione: Isaia 63,15-16; 64,1-3

Guarda dal cielo, e osserva, dalla tua abitazione santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo, i tuoi atti potenti? Il fremito delle tue viscere e le tue compassioni non si fanno più sentire verso di me. Tuttavia, tu sei nostro padre; poiché Abraamo non sa chi siamo e Israele non ci riconosce. Tu, Signore, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro. Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi! Davanti a te sarebbero scossi i monti. Come il fuoco accende i rami secchi, come il fuoco fa bollire l'acqua, tu faresti conoscere il tuo nome ai tuoi avversari e le nazioni tremerebbero davanti a te. Quando facesti le cose tremende che noi non ci aspettavamo, tu discendesti e i monti furono scossi davanti a te.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, i capitoli 63 e 64 del libro del profeta Isaia contengono un lamento, una intensa preghiera dovuta a una grande disperazione che il popolo viveva. È un periodo storico in cui Israele ha una forte crisi di identità spirituale e sociale, gravi difficoltà lo tormentano, ed egli attribuisce quelle battute d’arresto all’indifferenza di Dio.

Il profeta cerca di contribuire a sanare il rapporto fra Dio e Israele che è pericolosamente rovinato. Così, il profeta prega Dio a favore del popolo e, allo stesso tempo, confessa il suo peccato.

In questi capitoli del libro del profeta Isaia vi sono riportate le opere che Dio ha fatto a favore del suo popolo; egli ricorda la sua bontà e la sua misericordia quando nessuno le meritava; ricorda le opere di liberazione che il Signore compì attraverso Mosè, liberando il popolo dalla schiavitù dell’Egitto.

Quando il profeta scrive, Israele è tornato nella terra promessa dopo 50 anni di esilio in Babilonia, siamo attorno al 520 a.C. La gioia del ritorno deve però fare i conti con la devastazione delle terre, la distruzione del tempio e delle case. Tutta la terra è una rovina e uno squallore indicibili, proprio come l’anima di questi deportati che, tornando in patria, non trovano più nulla, ma tutto da ricostruire senza mezzi per farlo.

Testo della predicazione: Apocalisse 5,1-7

Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?» Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. Io piangevo molto perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: «Non piangere, ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli». E vidi un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’Apocalittica è un genere letterario che i credenti usavano nei periodi di persecuzione per rafforzare la fede e confortare i deboli e chi era colpito dalle oppressioni. Si tratta di parole da decifrare e interpretare prima di poter intenderne il messaggio. Così, l’Apocalisse del Nuovo Testamento fa in modo che il credente che legge sia tanto emotivamente coinvolto da metterlo nelle condizioni di partecipare agli eventi che il libro descrive.

Oggi tenteremo di capire il messaggio del brano alla nostra attenzione facendo un piccolo viaggio nel mondo del veggente Giovanni che scrive il libro.

La visione si apre con una scena di giudizio. Un trono è posto al centro della scena, su di esso siede il Dio giudice. Attorno a lui una schiera di servi e ministri che gli danno gloria con inni e con pronunciamenti solenni. A un certo punto l’attenzione si rivolge a qualcosa di importante: è un libro. In tutte le scene del genere, appare un libro. Anche nel libro di Daniele ritroviamo la stessa scena di giudizio con lo stesso trono e i servi attorno; l’atmosfera è carica di tensione a motivo dell’imminente giudizio e così irrompe, maestosa, una voce che dice: “...e i libri furono aperti”.

In questo libro vi sono contenuti dei nomi di coloro che sono stati fedeli fino alla morte, altrove, nella Bibbia, è chiamato “il libro della vita” (Salmo 69,29; Apoc. 13,8).

Dunque, la presenza di un libro introduce una scena di giudizio che però, nel nostro brano, diventa diversa da quella di Daniele.

Qui, nessuno è trovato degno di aprire il libro. La fine delle persecuzioni non può dunque avere luogo perché non può iniziare la fine della violenza del mondo. Perciò Giovanni dice: “Io piangevo molto... perché nessu­no poteva aprire il libro”. Che tristezza!

Testo della predicazione: II Samuele 13,1-22

Absalom, figlio di Davide, aveva una sorella di nome Tamar, che era bella; e Amnon se ne innamorò. Egli si appassionò a tal punto per Tamar da diventarne malato. Amnon aveva un amico, di nome Ionadab, un uomo molto accorto. Questi gli disse: «Come mai tu, figlio del re, sei ogni giorno più deperito? Non me lo vuoi dire?» Amnon gli rispose: «Sono innamorato di Tamar, sorella di mio fratello Absalom». Ionadab gli disse: «Mettiti a letto e fingiti malato. Quando tuo padre verrà a vederti digli: "Fa', ti prego, che mia sorella Tamar venga a darmi da mangiare e a preparare il cibo in mia presenza perché io lo veda e mangi quel che mi darà"». Amnon dunque si mise a letto e si finse ammalato; e quando il re lo venne a vedere, Amnon gli disse: «Fa' che mia sorella Tamar venga e prepari delle frittelle, così le mangerò». Davide lo mandò a dire a Tamar che andò da Amnon che era a letto; gli preparò delle frittelle e gliele servì. Ma mentre gliele porgeva egli l'afferrò e le disse: «Vieni a unirti a me, sorella mia». Lei gli rispose: «No, fratello mio, non farmi violenza, parlane piuttosto al re, egli non ti rifiuterà il permesso di sposarmi». Ma egli non volle darle ascolto e la violentò. Poi Amnon ebbe verso di lei un odio fortissimo, maggiore dell'amore di cui l'aveva amata prima. Le disse: «Àlzati, vattene!» Lei gli rispose: «Non mi fare, cacciandomi, un torto maggiore di quello che mi hai già fatto». Ma egli non volle darle ascolto. Anzi, chiamato il servo che lo assisteva, gli disse: «Caccia via da me costei e chiudile dietro la porta!» Lei portava una tunica con le maniche, perché le figlie del re portavano simili vesti finché erano vergini. Il servo di Amnon dunque la mise fuori e le chiuse la porta dietro. E Tamar si sparse della cenere sulla testa, si stracciò di dosso la tunica con le maniche e mettendosi la mano sul capo, se ne andò gridando. Absalom, suo fratello, le disse: «Forse che Amnon, tuo fratello, è stato con te? Per ora taci, sorella mia; egli è tuo fratello; non tormentarti per questo». Tamar, desolata, rimase in casa di Absalom, suo fratello. Il re Davide udì tutte queste cose e si adirò molto. Absalom non disse una parola ad Amnon né in bene né in male; perché odiava Amnon per la violenza che aveva fatta a Tamar, sua sorella.

Predicazione in forma narrativa

Tamar, la principessa violata

di Lidia Maggi

Tratto da: Le donne di Dio (Claudiana) cap. 29.

 

È una storia come tante altre, quella di Tamar.

Una vicenda co­mune a molte vittime innocenti, vite segnate per sempre dallo stu­pro e dal disprezzo.

Gli abusi domestici sono tra le violenze più terribili, perché av­vengono proprio nei contesti dove i più deboli dovrebbero essere tutelati, protetti e amati. Abusare di un familiare significa tradire un rapporto intimo di fiducia, approfittare della vulnerabilità del­la persona per i propri fini malvagi e scardinare per sempre la sti­ma necessaria per affrontare la vita.

Piccola principessa violata, sapevi che non sarebbe bastato il tuo status regale a proteggerti? Sapevi che il pericolo più grande, il nemico da temere, non veniva dall'esterno ma abitava con te, aveva il tuo stesso sangue, era parte della tua stessa genealogia?

Testo della predicazione: Marco 8,22-26

Giunsero a Betsaida; fu condotto a Gesù un cieco, e lo pregarono che lo toccasse. Egli, preso il cieco per la mano, lo condusse fuori dal villaggio; gli sputò sugli occhi, pose le mani su di lui, e gli domandò: «Vedi qualche cosa?» Egli aprì gli occhi e disse: «Scorgo gli uomini, perché li vedo come alberi che camminano». Poi Gesù gli mise di nuovo le mani sugli occhi; ed egli guardò e fu guarito e vedeva ogni cosa chiaramente. Gesù lo rimandò a casa sua e gli disse: «Non entrare neppure nel villaggio».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, è la strana guarigione di un cieco quella che si presenta oggi alla nostra riflessione. Strana perché Gesù prima conduce il cieco fuori dal villaggio, Betsaida, poi con la saliva gli tocca gli occhi, pone le mani su di lui, ma non è ancora del tutto guarito: il cieco vede le persone come alberi che camminano, e Gesù deve porre ancora una volta le mani sul cieco guarito a metà, perché veda chiaramente. E, infine, Gesù gli proibisce di rientrare nel villaggio.

Sono delle strane informazioni quelle che l’evangelista fornisce che ci fanno restare, sì, un po’ perplessi ma ci costringono a cercare di capire il senso che queste immagini vogliono avere.

Cerchiamo, quindi, di entrare dentro il racconto, approfondendo la nostra ricerca.

Innanzitutto bisogna ricordare che ogni racconto biblico ci comunica un messaggio, quando leggiamo la Bibbia non dobbiamo mai pensare di avere davanti un resoconto storico perché, in realtà, l’intenzione degli autori biblici è quella di trasmettere il messaggio della Parola di Dio e non l’evento storico in sé.

¿Il cieco guarito, quindi, che cosa rappresenta per gli autori biblici? Rappresenta la possibilità nuova che ci è donata di vedere, cioè di intendere e capire la Parola di Dio. L’aveva annunciato il profeta Isaia che il Servo del Signore «Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante… ma manifesterà la giustizia secondo verità» e sarà «luce delle nazioni per aprire gli occhi ai ciechi… per far uscire dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre» (Isaia 42,3-4.7).

Testo della predicazione: Marco 4,26-29

Diceva ancora: «Il regno di Dio è come un uomo che getti il seme nel terreno, e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come. La terra da sé stessa dà il suo frutto: prima l'erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l'ora della mietitura è venuta».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, la parabola del seminatore e del seme che cresce da sé, ci insegna che la promessa del Regno di Dio non dipende dalle nostre capacità di realizzarla, ma dalla volontà di Dio.

Quando preghiamo dicendo “Venga il tuo Regno”, sottoloneamo proprio questo, che il cambiamento radicale del mondo non è nelle nostre mani, ma in quelle di Dio.

Tuttavia, noi non siamo esenti dall’annunciare questo Regno di pace, di giustizia, di speranza per un futuro migliore.

Sempre, nella Bibbia, le promesse di Dio si adempio non per le capacità umane, ma per l’intervento diretto di Dio. Abramo era già vecchio e Sara era, oltre a ciò, anche sterile. I loro tentativi di permettere che la promessa di Dio si realizzi sono inutili: avere un figlio dalla serva Agar. No, la promessa accade anche se non ci credi, e Sara e Abramo ridono increduli davanti all’annuncio di un figlio che nascerà e si chiamerà Isacco “risata” appunto, per sottolineare il fatto che la promessa di Dio va avanti, oltre le nostre aspettative umane.

La parabola alla nostra attenzione ci spiega che noi siamo chiamati a seminare, ad annunciare il futuro di Dio, nel quale egli stesso regnerà, un futuro senza violenze, senza guerre, senza sofferenze e morti sotto i colpi di mortaio e nelle lunghe traversate del mare.

 Già in Gesù, Dio non ha voluto essere che un Seminatore. Ha accettato, cioè, i limiti e i rischi che sono caratteristici della condizione umana. Dio ha accettato che la sua Parola fosse sottoposta alle limitazioni in cui s'imbattono tutte le parole umane. In un’altra parabola dello stesso tenore è riferito che Dio ha accettato che gli uccelli divorassero il seme gettato, che il sole lo inaridisse, che le spine lo soffocassero.