Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Testo della predicazione: Luca 1,67-79

Zaccaria fu pieno di Spirito Santo e profetizzò, dicendo: «Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti; uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano. Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto, del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai davanti al Signore per preparare le sue vie, per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio; per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace.

Sermone

     Cari fratelli e sorelle, l’evangelista Luca ci fa visitare un vecchio sacerdote, Zaccaria. Mentre è nel Tempio per le sue funzioni, Zaccaria riceve l’annuncio da parte di un angelo che avrebbe avuto un figlio. Zaccaria e la moglie Elisabetta sono ormai vecchi, hanno smesso di sperare di avere un figlio, soprattutto perché Elisabetta è sterile.

Così, Zaccaria resta incredulo e come segno della verità della promessa di Dio, Zaccaria resta muto per tutto il tempo della gravidanza di Elisabetta, resta muto fin tanto che non giunge il figlio promesso, in risposta alla sua incredulità.

Zaccaria è reso muto, non soltanto perché l’opera di Dio che si adempie ci lascia ammutoliti e senza parole, ma proprio perché non è con la nostra parola che si realizza la promessa, ma con la Parola di Dio stesso. Noi la riceviamo ed essa si adempie per noi, senza la nostra partecipazione attiva, senza il nostro parere, senza il nostro intervento. Noi restiamo muti, mentre Dio fa tutto per noi, nel suo amore e nella sua misericordia.

Così, quando arriva il figlio, Giovanni, Zaccaria può di nuovo parlare, gli si scioglie la lingua, per benedire il Dio e la sua opera di salvezza: Zaccaria pronuncia un cantico, il cosiddetto “Benedictus” perché in latino inizia con questa parola, come il “Magnificat” di Maria, la madre di Gesù.

Testo della predicazione: Apocalisse 2,8-11

All'angelo della chiesa di Smirne scrivi: queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda”.

Sermone

Care sorelle e fratelli, i testi apocalittici sono un genere letterario che aveva lo scopo di dare una parola di consolazione a quei credenti che subivano prove e persecuzioni, momenti che, nella vita anche dei credenti, generavano domande esistenziali sulla presenza di Dio nel mondo e nella storia.

Anche l’Apocalisse di Giovanni, da cui abbiamo ascoltato la lettera alla chiesa di Smirne, fu composta durante le persecuzioni dell’imperatore Domiziano alla fine del primo secolo dopo Cristo.

Per capire meglio il nostro testo biblico, bisogna ricordare che la città di Smirne era rinata dalle macerie dopo una distruzione totale nel 600 a.C., rinasce proprio nel primo secolo della nostra èra e diventa una splendida città, moderna e produttiva, con un magnifico porto situato in un vasto golfo. Aristide paragona la bellezza di Smirne a una corona di stelle.

     Ecco, la storia di questa città, rinata dalle macerie e divenuta splendida come una corona di stelle, è tenuta presente all’interno del nostro brano, per questo Gesù si presenta come Colui che è tornato in vita, contrapponendosi alla rinascita della città, e come colui che prepara per i suoi fedeli una corona che però non dura fin tanto che la città sarà distrutta ancora una volta (come in effetti accadrà a causa di un terremoto) ma che dura per sempre, infatti la corona è chiamata “corona della vita”.

Testo della predicazione: Galati 5,1-6:

Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù. Ecco, io, Paolo, vi dichiaro che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. Dichiaro di nuovo: ogni uomo che si fa circoncidere, è obbligato a osservare tutta la legge. Voi che volete essere giustificati dalla legge, siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia. Poiché quanto a noi, è in spirito, per fede, che aspettiamo la speranza della giustizia. Infatti, in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione; quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi è la Domenica della Riforma nella quale ricordiamo l’importanza che la Parola di Dio ha per la vita della chiesa e dei singoli credenti. Una Parola dalla quale la chiesa si era allontanata perseguendo propositi umani di potere e ricchezza. Quella del 31 ottobre del 1517 fu una scintilla che innescò dappertutto consensi perché la necessità di ritornare all’essenza della Parola di Dio era sentita dai più. Certo ci furono anche dissensi e opposizioni forti e la ricomposizione della chiesa “una” non fu più possibile fino ad oggi.

I movimenti di Riforma della chiesa erano nati secoli prima del gesto di Martin Lutero nel ‘500, e i valdesi del 1174 si inseriscono all’interno di uno di questi grandi movimenti, tutti soffocati sul nascere. Quello dei poveri di Lione (valdesi), fu l’unico a sopravvivere alle tempeste della repressione e alla Santa Inquisizione.

La stampa, che nel frattempo era stata inventata, aprì una nuova epoca dello sviluppo della comunicazione umana, fu una vera e propria rivoluzione che diede le ali al pensiero di Martin Lutero e di tutti riformatori. Non a caso il primo libro ad essere stampato fu la Bibbia.

Testo della predicazione: Giovanni 2,1-11

Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». Gesù le disse: «Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta». Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». C’erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. Gesù disse loro: «Riempite d’acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all’orlo. Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora». Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’evangelista Giovanni propone all’inizio del suo Vangelo il primo miracolo di Gesù, che chiama “segno”.

Alcuni teologi hanno fatto notare lo stridore tra questo capitolo e il primo capitolo del Vangelo di Giovanni in cui incontriamo un linguaggio poetico e teologico di alto livello e spessore, come per esempio, il prologo stesso e la presentazione di Gesù come agnello di Dio, come salvatore del mondo. Qui, al capitolo due incontriamo un miracolo dal carattere domestico, quasi a stridere con quanto affermato prima; quello di Gesù, sembra qui un miracolo buffo. Ma, in realtà, non è da sottovalutare il fatto che qui Gesù intervenga in una situazione di penuria, probabilmente di povertà, e si rivela come Colui che salva una festa che stava per fallire.

Gesù è a festa, una festa di nozze che, all’epoca, durava alcuni giorni. La festa era articolata in diversi momenti. Gli amici dello sposo andavano a casa della sposa e la conducevano presso la casa dello sposo. Poi vi era anche il pranzo di nozze, la festa vera e propria, in cui non poteva mancare il vino, simbolo della gioia e dell’allegrezza, per tutta la durata della festa.

Dunque Gesù interviene per trasformare una situazione di penuria in abbondanza, e l’abbondanza di Gesù è anche squisitezza, infatti, il vino che sarà offerto in un secondo tempo è migliore del primo.

Testo della predicazione: I Corinzi 13,1-8. 13

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. L’amore è paziente, è gentile; l’amore non invidia, non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non tiene conto del male, non gioisce per l’ingiustizia, ma si rallegra per la verità; sopporta ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, è paziente in ogni cosa. L’amore non viene mai meno. Ora dunque queste tre realtà rimangono: fede, speranza, amore. La più grande di esse, però, è l’amore.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, l’apostolo Paolo ci parla dell’amore, ma non fa un discorso filosofico, non dice quello che l’amore è con una serie di aggettivi, ma parte dalla concretezza della vita di tutti, dai nostri gesti di solidarietà, di affetto, fraternità, spiegando che tutto quello che facciamo non avrebbe senso se fatto senza amore, se non fosse ispirato dall'amore.

Neppure l’essere saggi, o preparati teologicamente ad affrontare la vita o a compiere gesti che sanno di miracoloso, hanno un valore in sé che possa dare un senso all’esistenza se non sono ispirati dall’amore di Dio.

Neppure l’essere martiri o benefattori generosi, in sé possiede un valore che dia un senso profondo alla nostra vita. L’apostolo sostiene, invece, che il credente fonda il suo essere sull’amore e che solo l’amore, che porta con sé qualcosa di divino, può davvero permetterci di uscire fuori dalla routine e dal non senso che spesso si presentano nelle nostre giornate.

L’apostolo Paolo parla dell’amore come di qualcosa che è sempre in azione, una forza che mette in moto le persone, le une verso le altre; l’amore permette l’incontro sereno, il confronto pacato, il dialogo costruttivo.

Testo della predicazione: Luca 12,15-21

Gesù disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni forma di avarizia; perché per chi è nell’abbondanza la sua vita consiste nei suoi beni». Raccontò loro una parabola con queste parole: «La terra di un uomo ricco diede un buon raccolto; egli ragionava tra sé e sé dicendo: “Che farò? Perché non ho un posto dove immagazzinare il mio raccolto”. E disse: “Farò così: demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi, e immagazzinerò lì tutto il mio grano e tutti i miei beni, e dirò alla mia anima: ‘Anima, hai molti beni da parte per molti anni. Riposati, mangia, bevi, goditela”. Ma Dio gli disse: “Sciocco, proprio stanotte la tua anima ti sarà chiesta indietro. A chi andranno le cose che hai preparato?” Così va per chi accumula per sé e non è ricco in Dio».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, la parabola dell’uomo ricco trae spunto da una domanda che un tale rivolge a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello di dividere con me l’eredità». Evidentemente, il fratello di quel tale voleva tenere tutto per sé; chissà, forse per volontà del padre, o forse perché era il primogenito cui spettava tutto, o forse per avarizia. Oggi, qualunque pastore che fa cura d’anime avrebbe cercato di aiutare l’uomo rimasto escluso dall’eredità, magari parlando al fratello, spiegandogli quanto sia importante dividere equamente l’eredità.

Gesù, invece, è molto duro nei confronti dell’uomo escluso dall’eredità, e lo mette in guardia dall’avarizia. Certo, è un argomento spinoso quello del possedere e Gesù ne parla davanti alla folla raccontando una parabola: «La terra di un uomo ricco diede un buon raccolto…».

Gesù vuole spiegare che quello del possedere può diventare un vero problema se gestito con avidità e avarizia. Esso si insinua in modo subdolo, nascosto, senza consapevolezza, sotto le mentite spoglie di un problema di equità, di giustizia, di correttezza. In realtà, però, il possedere può far perdere il senso di orientamento della nostra esistenza, e perfino il senso vero della vita.

Gesù parla, dunque, di avidità e di ricchezze, di possesso e di denaro, ma anche di potere che si acquisisce con la ricchezza. È vero, infatti, il detto: «Chi paga, comanda».

Bisogna, tuttavia, notare che Gesù non dà nessun giudizio negativo al fatto che questo agricoltore sia ricco o che i suoi campi abbiamo dato un raccolto abbondante. Gesù pone l’accento sull’autoreferenzialità dell’uomo.

Testo della predicazione: Giacomo 2,1-13

«Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria, sia immune da favoritismi. Infatti, se nella vostra adunanza entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero vestito malamente, e voi avete riguardo a quello che veste elegantemente e gli dite: «Tu, siedi qui al posto d’onore»; e al povero dite: «Tu, stattene là in piedi», o «siedi in terra accanto al mio sgabello», non state forse usando un trattamento diverso e giudicando in base a ragionamenti malvagi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi quelli che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi? Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: «Ama il tuo prossimo come te stesso», fate bene; ma se avete riguardi personali, voi commettete un peccato e siete condannati dalla legge quali trasgressori. Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che ha detto: «Non commettere adulterio», ha detto anche: «Non uccidere». Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge. Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà. Perché il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia. La misericordia invece trionfa sul giudizio.».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il brano biblico della lettera di Giacomo alla nostra attenzione, affronta il tema legato ai nostri rapporti con il prossimo, in modo particolare al nostro giudizio verso gli altri.

Sebbene la nostra sensibilità di protestanti è quella di un’etica della responsabilità che ha come conseguenza la libertà di vivere ed operare in base a scelte che facciamo a partire dalla propria coscienza e coerenza con la fede, tuttavia il nostro modo di vivere non è esente dal rapportarci con gli altri avendo di loro un nostro proprio giudizio.

La comunità a cui si rivolge Giacomo, era chiamata a esprimere dei giudizi che però non erano fondati su criteri corretti di eguaglianza e di misericordia. L’autore fa degli esempi di situazioni che denotano un atteggiamento dei credenti, messo da lui in discussione, perché non è rapportato alla fede, ma ancora di più non ha come base la misericordia di Dio per noi che ci chiama a metterla in pratica: «Se durante i vostri incontri entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero vestito malamente, e voi avete riguardo a quello che veste elegantemente e non al povero, non state forse usando un trattamento diverso?».

Testo della predicazione: Isaia 49,1-6

Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! Il Signore mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre. Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra, e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa è presso il mio Dio». Ora parla il Signore che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del Signore, il mio Dio è la mia forza. Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».

Sermone

Care sorelle e fratelli, in questo “Canto del servo” del profeta Isaia, il Signore dichiara di aver scelto un suo servo per affidargli una missione da compiere.

Israele è ancora in esilio forzato in Babilonia (l’attuale Iraq), e il profeta, agli albori della sua predicazione, proclama che il tempo della schiavitù è compiuto, che la gloria del Signore si rivelerà proprio nella liberazione di Israele, come fu un tempo liberato dalla schiavitù d’Egitto. Per questo prorompe in un canto che dice: «Consolate, consolate il mio popolo…»; Dio invia, quindi, un araldo per annunziare a Israele “la buona notizia” che il Signore viene, ancora una volta, per liberare.

L’intento del profeta è quello di ridestare negli esiliati la speranza di tornare a casa, nella terra promessa. Una speranza che gli ebrei non avevano più, anzi dicevano: «la nostra speranza è tramontata, siamo perduti per sempre» (Ezechiele 37).

Ma qui, il profeta Isaia prorompe in un canto di gioia tanto grande da permettergli di rivolgerlo perfino alle Isole lontane e ai popoli che vivono ai confini della terra a cui, magari, non importava nulla, ma il senso è che i gesti di liberazione vanno condivisi, raccontati, annunziati.

Così succede quando ci si sposa o quando ci nasce un figlio o quando ci accade qualcosa di molto importante: lo raccontiamo a tutti, anche a quelli che non hanno alcun interesse. In noi nasce la certezza che ciò che è successo in piccolo nella nostra storia, nella nostra vita, coinvolga tutti gli altri, il mondo intero, tutta la storia attorno a noi.

Domenica, 16 Settembre 2018 20:48

Sermone di domenica 16 settembre 2018

Testo della predicazione: Atti 12,1-11

«A quel tempo, il re Erode iniziò a opprimere alcuni della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, il fratello di Giovanni. E visto che ciò era gradito ai Giudei, fece in modo di prendere anche Pietro. Erano i giorni degli Azzimi. Dopo averlo fatto arrestare, lo mise in prigione, e lo affidò alla custodia di quattro squadre di quattro soldati ciascuna; era sua intenzione condurlo in giudizio davanti al popolo dopo la Pasqua. Così, mentre Pietro era sorvegliato in carcere, la Chiesa pregava intensamente Dio per lui. Nella notte in cui Erode stava per portarlo davanti al popolo, Pietro dormiva, piantonato da due soldati, legato con due catene; delle guardie davanti alla porta sorvegliavano il carcere. Ed ecco, si presentò un angelo del Signore e una luce brillò nella cella. E, toccato il fianco di Pietro, lo svegliò: «Àlzati, presto!», e le catene gli caddero dalle mani. Poi, l’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e legati i sandali». Egli eseguì e l’angelo aggiunse: «Mettiti addosso il tuo mantello e seguimi». Allora Pietro, uscito, lo seguiva, per quanto non sapeva se fosse vero quel che gli accadeva per mezzo dell’angelo. Pensava, infatti, di avere una visione. Superate, quindi, la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro, quella che conduce in città, e questa si aprì da sola davanti a loro. Usciti, proseguirono su una strada e, subito, l’angelo scomparve da lui. Poi, quando Pietro rientrò in sé, disse: «Ora so per certo che il Signore ha inviato il suo angelo e mi ha liberato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si aspettava il popolo dei Giudei».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, davanti a noi si apre una delle scene più suggestive del Nuovo Testamento. Andiamo quindi a vedere cosa stava succedendo all’epoca dei fatti, siamo verso l'anno 45 dopo Cristo. La chiesa ha cominciato a formarsi, l'apostolo Paolo si è già convertito ed è ancora in ritiro spirituale, solo tra 5 anni comincerà i suoi viaggi missionari di evangelizzazione. Stefano, il primo martire è morto da una decina d'anni, ma la chiesa di Gerusalemme è ancora viva e cresce tra grandi difficoltà. I giudei però cominciano a sopportare sempre meno i cristiani: i Sadducei e i Farisei sono i loro peggiori nemici.

Regna sul trono Giulio Agrippa I, nipote del re Erode il Grande che era suo nonno, per questo anche lui è chiamato Erode, ma si tratta di Agrippa. Costui fu educato a Roma e divenne molto amico della famiglia imperiale. Così, l'imperatore Claudio diede sotto il suo potere tutti i territori di suo nonno Erode il Grande.

Così Agrippa si trovò in Palestina con pieni poteri, al vertice della sua carriera; ma su di lui incombeva un'ombra, un atroce dubbio: il fatto che Agrippa fosse troppo amico di Cesare e dei romani che, a loro volta, erano oppressori e, quindi, nemici dei giudei. Così il re Agrippa, per accattivarsi il favore dei giudei e far dimenticare i suoi legami con Roma, comincia a perseguire una politica di protezione di tutte le osservanze giudaiche.

I cristiani rimasero così vittime di questa politica, accusati di non seguire completamente le pratiche giudaiche, ed ebbe inizio una manovra repressiva.

Testo della predicazione: Galati 5,22. 23. 25; 6,1-2. 7-10 – 22

Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, generosità, fiducia. 23 Contro queste cose non c’è legge. 25 Se viviamo nello Spirito, con lo Spirito siamo concordi. 6,1 Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche trasgressione, voi rialzatelo con spirito di mansuetudine. Vigila su te stesso, perché anche tu non sia messo alla prova. 2 Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo. 7 Non vi ingannate! Dio non si fa prendere in giro. Ciò che uno semina, anche raccoglierà, perché chi semina per la propria carne, raccoglierà rovina; chi semina per lo Spirito, dallo Spirito mieterà vita eterna. Non stanchiamoci di fare il bene. L momento opportuno, infatti, se non ci saremo stancati, mieteremo. Ora, dunque, dato che ne abbiamo l’occasione, facciamo del bene a tutti.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, di questo brano mi ha molto colpito la frase: «Portate i pesi gli uni degli altri». Com’è possibile portarli? Se penso a chi nel mondo ha fame o sete, o è perseguitato a motivo delle sue convinzioni religiose o politiche o perché è omosessuale o disabile; mi sono apparse le immagini di chi attraversa i mari, che diventano spesso la loro tomba, per cercare una vita dignitosa, lontano da guerre, conflitti, ingiustizie, precarietà, vessazioni. Ma senza andare così lontano mi sono apparse le immagini delle tante persone, vicine a noi, senza un lavoro, o dei poveri che bussano alla porta della chiesa per chiedere una borsa della spesa. Ho visto le tante persone accanto a me che percorrono una strada di dolore, di sofferenza, di disperazione, di inquietudine.

Ho pensato che è davvero difficile portare questi pesi, i pesi dei tanti fratelli e delle tante sorelle della comunità umana.

Eppure, per l’apostolo Paolo questa è una condizione per essere credenti autentici. Senza paura e senza reticenze afferma: «Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo».

Non si tratta di un suo consiglio, ma del modo di mettere in pratica la legge di Cristo.

Ma qual è la legge di Cristo? Per Paolo è la legge dell'amore.