Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti
Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50
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Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.
Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA
Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50
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Testo della predicazione: Matteo 28,1-10
Dopo il sabato, verso l'alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l'altra Maria andarono a vedere il sepolcro. Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e vi sedette sopra. Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste bianca come neve. E, per lo spavento che ne ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte. Ma l'angelo si rivolse alle donne e disse: «Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato crocifisso. Egli non è qui, perché è risuscitato come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. E andate presto a dire ai suoi discepoli: "Egli è risuscitato dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete". Ecco, ve l'ho detto». E quelle se ne andarono in fretta dal sepolcro con spavento e grande gioia e corsero ad annunciarlo ai suoi discepoli. Quand'ecco, Gesù si fece loro incontro, dicendo: «Vi saluto!» Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e l'adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, le donne vanno al sepolcro dove è custodito il corpo di Gesù, morto da tre giorni, vanno per ispezionare il sepolcro e assicurarsi che Gesù sia davvero morto.
Nel vangelo è raccontato che la tomba è vuota: un angelo rotola la pietra e vi si siede sopra e dice alle donne: «Non temete, Gesù che è stato crocifisso e che voi cercate non è qui perché è risuscitato».
L’angelo si siede sulla pietra rotolata. Il messaggio è chiaro, significa che la risurrezione di Gesù è definitiva, è per tutte le epoche, per tutte le persone di ogni del globo.
Le donne saranno pure spaventate, sì, ma le guardie svengono: quando si dice delle donne “il sesso debole”. A loro l’angelo dice: «Non temete». La stessa parola detta ai pastori quando Gesù nasce a Betlemme.
Questo racconto non vuole raccontarci un miracolo spettacolare come quello di una risurrezione, ma rivelarci il senso della croce di Cristo per noi.
Alle donne è data una missione: andate e dite che Gesù è risuscitato. Ora i discepoli possono finalmente capire che la morte di Gesù non è stata una tragedia che ha annullato le loro speranze e distrutto il futuro!
Testo della predicazione: Giovanni 13,1-15
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell'acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto. Si avvicinò dunque a Simon Pietro, il quale gli disse: «Tu, Signore, lavare i piedi a me?» Gesù gli rispose: «Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo». Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!». Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». E Simon Pietro: «Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!». Gesù gli disse: «Chi è lavato tutto, non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è purificato tutto quanto; e voi siete purificati, ma non tutti». Perché sapeva chi era colui che lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete netti». Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: «Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io.
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, questo gesto di Gesù ha un significato profondo: la lavanda dei piedi dei discepoli è un gesto semplice e umile, ma carico di una forza dirompente.
Questo brano rappresenta il passaggio di Gesù dalla sua morte alla sua risurrezione. Gesù «depone» e «riprende» le sue vesti, prima e dopo la lavanda, come «depone» e «riprende» la sua vita.
Ecco, Gesù vuole insegnarci che Dio viene a noi e ci offre la salvezza nell’abbassamento e nell’immagine del servo. Pietro, ma anche gli altri discepoli, non capisce, non può comprendere, perché il gesto di Gesù non è nella logica umana: Dio si abbassa, diventa servo e vive la passione e la morte.
Questo non è ovvio!
Perciò Gesù risponde a Pietro: «Se non ti laverò, non avrai parte con me!». È chiara la strada che il Messia deve percorrere, ma Gesù coinvolge in quella strada anche i suoi.
«Non avrai parte con me!». Per far parte del Regno, Pietro deve accettare di accompagnare il Signore sulla strada della passione. Ma Pietro non è pronto. Non è questo il Messia in cui credeva.
La lavanda dei piedi indica l’umile servizio che non si ferma neppure davanti a una croce, al sacrificio di sé. Il nostro destino è quello di essere testimoni di un Maestro che dà la sua vita per amore dei suoi, che chiama amici. Essere testimoni significa percorrere la strada del Maestro, fino in fondo, fino alla croce.
Pietro gli dice: «lavami dalla testa ai piedi», ma Gesù fa capire che non è il rito che ti permette di vivere il messaggio di Cristo: basta un segno, un piede o due, o anche meno, l’importante è che tu capisca la necessità di essere coinvolto nell’evento della croce di Cristo.
È necessario essere lavati da Gesù per essere parteci, così ci è chiesto di fare lo stesso anche tra noi, per vivere la comunione, il legame che Dio stesso instaura tra noi, chiesa sua.
Gesù pone le basi per il fondamento della comunità dei credenti: «Vi ho dato un esempio affinché anche voi facciate come io vi ho fatto».
Testo della predicazione: 1 Pietro 1,3-5
Che gran Dio è il nostro! E come siamo fortunati ad avere lui come Dio, il padre del nostro Signore Gesù. Poiché Gesù è stato risuscitato dalla morte, a noi è stata donata una vita completamente nuova, abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere, compreso un futuro in cielo, e questo futuro comincia adesso! Dio veglia attentamente, su di noi e sul domani. Viene il giorno in cui avrete una vita totalmente sana e piena. (Traduzione da: The Bible in contemporary english)
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, l’autore della lettera di Pietro scrive ad alcune comunità cristiane dell’Asia Minore alla fine del primo secolo, quando, dopo un periodo iniziale di consensi ed entusiasmo per la fede cristiana, i credenti, durante il governo dell’imperatore Domiziano, cominciarono a subire dure prove e persecuzioni. Fu un periodo successivo a quello di Nerone che, però, limitò le sue persecuzioni contro i cristiani solo a Roma.
I credenti dell’epoca che leggono questa lettera vivono il forte disagio dell’incertezza del domani, dell’insicurezza, della sofferenza, della discriminazione, tutto a causa di pregiudizi e intolleranze.
Perciò, chi scrive sa bene che sulla terra la vita può essere costellata di difficoltà, prove, sofferenze e che ci sono tanti buoni motivi per essere tristi.
E tuttavia egli esplode in un canto entusiasta che dice: «Che gran Dio è il nostro, come siamo fortunati ad avere lui come Dio», piuttosto che Zeus o un altro Dio dell’Olimpo che ti soggioga e sottomette alla sua inesorabile volontà. Il nostro Dio, ci dice il brano biblico, invece è il Padre di Gesù che è morto per noi.
Quale altro dio darebbe la sua vita per noi. Semmai è il contrario, perché sono gli dèi che chiedono di dare a loro la nostra vita: che si tratti del dio Mammona (il denaro) o del dio potere: essi esigono asservimento e sudditanza.
La morte di Gesù e la sua risurrezione, invece, ci hanno permesso di ricevere una vita completamente nuova. Il nostro è cioè un Dio che viene per farci vivere non una vita qualunque, ma una vita nuova, cioè una vita piena, sana, che ha un senso, uno scopo per il quale vale davvero la pena vivere.
Testo della predicazione: II Corinzi 4,16-18
«Noi non ci scoraggiamo ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne».
Sermone
Cari fratelli e sorelle, si tratta di una riflessione sul senso della vita e della morte quella che l’apostolo Paolo ci propone nel brano che abbiamo ascoltato. Egli considera la debolezza dei credenti, le difficoltà reali, fisiche, che riguardano persecuzioni, l’intolleranza e discriminazione nei confronti dei credenti dell’epoca.
L’apostolo cerca di dare coraggio a quei credenti che vivevano in quelle situazioni di così grande disagio, egli stesso vive quelle difficoltà a motivo della sua predicazione del Vangelo, conosce, dunque, la sofferenza ed è perfettamente consapevole del peso delle sue affermazioni.
L’apostolo prende in esame la fragilità della vita umana e la mette in contrasto con Colui che è “fonte della vita”, Dio, egli illumina di una forte luce l’interno della nostra esistenza che, a dispetto di ogni sofferenza, dolore e debolezza, acquista un valore nuovo e autentico che le conferisce forza e dignità.
Dio permette di vedere in modo diverso la nostra fragilità, e lo fa attraverso la fede che ci offre in dono. La fede relativizza le difficoltà che incontriamo, esse diventano piccole, relativizza il senso di paura e tristezza che prima predominava come una montagna minacciosa davanti a noi, diventa una pietruzza, un sassolino lungo il nostro cammino.
Per l’apostolo, la fede permette di dare il giusto peso agli eventi che ogni giorno ci accadono, ci incoraggia a non ingigantirli, ma neppure a sottovalutarli, e ci invita a ricordare che Dio è davvero presente e ci accompagna, non solo dentro la nostra immaginazione o il nostro desiderio, ma concretamente.
Ogni giorno, da quando ci svegliamo fino a quando torniamo a dormire, Dio è accanto a noi, che cammina con noi e che ci sorregge con il suo amore.
Testo della predicazione: Efesini 5,8b-14
Voi siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce - poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - esaminando che cosa sia gradito al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce. Per questo è detto: «Risvègliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce».
Sermone
Cari fratelli e sorelle, il testo biblico della lettera agli efesini è stato scritto per far riflettere i credenti: si parla della svolta della loro vita, la conversione, si parla di quello che erano e di quello che sono.
Ma di che si tratta? Cos'erano i credenti prima di credere? E che senso può avere che diventino qualcos'altro?
L'autore della lettera agli efesini ha le idee chiare; sostiene che la natura dell'essere umano è quella di vivere nelle tenebre, nella prigione della sua umanità, all'interno delle sue contraddizioni, dei suoi limiti, della sua parzialità. Per natura non riesce ad andare al di là di se stesso e il fatto di volersi riscattare da questa condizione con le proprie forze non fa che peggiorare il suo stato: è come dimenarsi per liberarsi mentre si affonda di più.
L'orgoglio di considerarsi capace e adeguato allo scopo non fa che accentuare questa sua contraddizione. È come se un cieco avesse la pretesa di dirigersi, da solo, in modo disinvolto, alla conquista del mondo. Ebbene, questo è l'essere umano secondo la Bibbia: un essere che da solo non può riscattarsi dalla sua condizione di peccato.
Dunque, emerge chiara la necessità dell'intervento propizio di Dio. Ma cosa accade quando Dio interviene?
Succede che tutto cambia.
Testo della predicazione: II Samuele 12,1-7a
Il Signore mandò Natan da Davide e Natan andò da lui e gli disse: «C’erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell’uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l’agnellina dell’uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa». Davide, allora, si adirò moltissimo contro quell’uomo e disse a Natan: «Com’è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita di essere punito e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà. Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo!».
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, cari bambini e bambine della SD, cari genitori, care monitrici, il profeta Natan pronuncia la parabola che abbiamo ascoltato davanti al re Davide, il più grande re d’Israele. Gesù sarà poi discendente di questo re.
Davide però ha sbagliato, si invaghisce di una bella donna, Betsabea, mentre la guarda dalla sua terrazza, mentre Betsabea faceva un bagno. Ma la donna è la moglie di un militare in alto grado del re, Uria. Davide manda a chiamare Betsabea e con lei ha dei rapporti, viola la sua integrità di donna e di moglie fedele. E quando la donna rimane incinta, il re cerca di rimediare sposandola. C’è però suo marito, Uria. Come fare? Così il re Davide ordina di esporre in battaglia Uria, di lasciarlo solo in prima linea perché così sia ucciso dal nemico. E così accadde. Uria, fedele servo del re, muore in battaglia.
Il profeta Natan va dal re Davide e gli racconta una storia: C’erano due uomini, uno ricco, l’altro povero. Per descrivere il ricco, Natan, non ci mette molto, non c’è alcun interesse in quell’uomo. Era ricco, aveva in gran numero pecore e buoi, aveva tutto quello che gli serviva per vivere, anzi, molto di più.
Il povero, invece, attira la nostra attenzione: aveva una piccola agnellina che aveva comprato e allevata, era cresciuta insieme a lui e ai suoi figli, era tutto ciò che possedeva, le voleva bene come a una figlia. L’agnellina mangiava con il suo padrone, beveva alla sua coppa, dormiva tra le sue braccia. Come un animale domestico, un gattino o un cagnolino che custodiamo con affetto.
Ma un giorno arrivò un ospite in casa dell’uomo ricco, e questi, per non uccidere nessuna tra le sue pecore e i suoi buoi, per preparare il pranzo all’ospite, «prende» l’agnellina del povero e la cucina.
Il ricco prese ciò che non era suo, prese l’agnellina del povero e ne fece un pranzo per sé e per il suo ospite. Il ricco ha trattato come sua proprietà ciò che non gli apparteneva.
Testo della predicazione: Matteo 12,38-42
Alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona. Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c’è più che Giona! La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c’è più che Salomone!».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, davanti a persone che si considerano dei “santi” o degli “unti del Signore” noi protestanti assumiamo subito un atteggiamento prudente, guardingo, se non scettico, siamo certi che la Parola di Dio non ha bisogno di figure carismatiche potenti per affermarsi e per essere creduta. È giusto, anche perché nel passato abbiamo fatto esperienze di personalità carismatiche devastanti, come Hitler, Mussolini e altri tiranni che vantavano Dio dalla loro parte.
Dunque, la richiesta che gli scribi e i farisei rivolgono a Gesù “Dacci un segno” è più che legittima. Significa: “Dai prova delle tue pretese di essere il Messia, così potremo interpretarle alla luce delle Scritture”.
All’epoca, erano molti i “profeti” che vantavano pretese messianiche e promettevano segni stupefacenti che, ovviamente, non riuscivano a rendere concreti. C’era bisogno, quindi, di capire e di non farsi abbindolare dal primo venuto.
Tuttavia, Gesù riesce a capire cosa si nascondeva dietro la domanda degli scribi e dei farisei. Non era semplice curiosità di capire per poter giudicare l’autenticità di una persona come Gesù. Gesù non ha a che fare con delle persone che sono alla ricerca di Dio e sentono il bisogno di incontrarlo e amarlo; qui i farisei sono alla ricerca di un Messia potente che sappia essere forte, di grande impatto carismatico sulla popolazione e di grande potere!
Si tratta del fascino dell’onnipotenza, del potere che conquista, che sottomette e domina.
Testo della predicazione: Luca 10,38-42
Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio; e una donna, di nome Marta, lo ricevette in casa sua. Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola. Ma Marta, tutta presa dalle faccende domestiche, venne e disse: «Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta».
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, questo episodio delle due sorelle Marta e Maria è molto simile a quello delle due sorelle di Lazzaro che Gesù ha risuscitato, ma non si tratta dello stesso racconto.
Qui le due donne Marta e Maria, in realtà sono anonime, non hanno collegamenti parentali con nessuno. Maria è la stessa donna che qualche capitolo prima appare come prostituta che entra in casa di un fariseo, Simone, dove vi era Gesù invitato a pranzo: la donna piange ai suoi piedi che bagna con le sue lacrime, li asciuga coi capelli e li unge con profumo. La stessa donna, qui si siede ai piedi del Signore e lo ascolta parlare.
L’evangelista Luca racconta tutto ciò con compiacimento, sapendo di scandalizzare parecchie persone.
Ripercorriamo il suo racconto. Una donna, Marta, invita Gesù a casa sua, la donna comincia a preparare il pranzo, mentre Gesù parla: le sue parole sono parole di pace, di giustizia, di speranza, di riscatto spirituale e sociale, per tutti: uomini e donne, schiavi e liberi. Improvvisamente, giunge in casa la sorella di Marta, è Maria. È attratta dalle parole di Gesù e si siede ai piedi del Maestro, come facevo i discepoli e si concentra nell’ascolto, è assorta, non lascia che nulla la distragga. Le importa solo quello, è oltremodo attratta da quel messaggio che sente indirizzato proprio a lei e non ritiene che vi sia nulla di più importante in quel momento che ascoltarlo con attenzione.
Due donne, due figure femminili: due modi di concepire la vita, due priorità diverse, due orientamenti diversi circa il rispetto e l’accoglienza di una persona.
Luca 17,7-10
Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà forse, quando quello torna a casa dai campi: "Vieni subito a metterti a tavola"? Non gli dirà invece: "Preparami la cena, rimbòccati le vesti e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu"? Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato? Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: "Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare"
Sermone
Cari fratelli e care sorelle, per gli antichi copisti della Bibbia, i commentatori o i predicatori, ma anche per noi, questo testo suona molto severo. In fondo ci dice di essere dei buoni a nulla, delle persone inutili. Per questo si è spesso ritoccato il testo per attenuare la sua severità. Lo fa anche la TILC traducendo «Siamo soltanto servitori» omettendo "inutili".
Invece, la frase «Siamo servi inutili» dovrebbe dare a tutti molta gioia.
Certo, ci indisponiamo quando qualcuno ci dice che siamo inadatti al nostro compito, ma se ci pensiamo bene, tutti noi sappiamo di essere peccatori e peccatrici e siamo ben convinti che nessuno al mondo è giusto.
Eppure ci sono tanti «buoni» cristiani che si sono arresi perché si credevano adatti a un compito speciale, ma… quando hanno visto la loro debolezza, e quella degli altri, sono crollati.
Perciò dobbiamo provare molta gioia e riconoscenza per il fatto che Gesù ci tratti già in partenza da «buoni a nulla». Qui, Gesù ci vuole liberare da quel personaggio tanto orgoglioso che è dentro di noi. Gesù ci rimette al nostro posto, al nostro vero posto, e dà la miglior definizione che mai sia stata data della Chiesa: «Una compagnia di buoni a nulla».
Testo della predicazione: Esodo 3,1-12
Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian, e, guidando il gregge oltre il deserto, giunse alla montagna di Dio, a Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno. Mosè guardò, ed ecco il pruno era tutto in fiamme, ma non si consumava.
Mosè disse: «Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!» Il Signore vide che egli si era mosso per andare a vedere. Allora Dio lo chiamò di mezzo al pruno e disse: «Mosè! Mosè!» Ed egli rispose: «Eccomi». Dio disse: «Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro». Poi aggiunse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio d'Abraamo, il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe». Mosè allora si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Dio.
Il Signore disse: «Ho visto, ho visto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. E ora, ecco, le grida dei figli d'Israele sono giunte a me; e ho anche visto l'oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire. Or dunque va'; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall'Egitto il mio popolo, i figli d'Israele».
Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall'Egitto i figli d'Israele?» E Dio disse: «Va', perché io sarò con te. Questo sarà il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, voi servirete Dio su questo monte».
Sermone
Care sorelle e cari fratelli, un giorno un pastore di pecore sconfina verso il deserto perché talvolta capita che anche lì qualche raro temporale produca dell’erba nuova, buona per le sue pecore. Oltre il deserto accade un fatto strano: un pruno, una pianta di poco valore nota per il fatto che bruci in un attimo, arde senza consumarsi, perciò il pastore diventa curioso e «devia» dal suo percorso, per dirigersi verso quella direzione. In ebraico Mosè dice: «Devio verso quella direzione; ¿perché il pruno non è mangiato dal fuoco?».
In fondo è proprio la curiosità di Mosè che lo conduce verso quella che sarà una vocazione, è strano, ma solo quando il pastore si lascia trascinare fuori dalla sua realtà, deviare fuori dalla sua normalità, proprio lì avviene l’insolita visione, lì avviene l’incontro con Dio.
Dio si rivela a Mosè mentre è intento a pascolare il suo gregge, e sarà il destino di tante persone nella Bibbia e non solo: come Amos chiamato a essere profeta mentre pascolava il suo gregge, Eliseo che arava il suo campo dietro ai buoi, Gedeone che trebbiava il grano, il re Davide che era a pascolare il gregge quando il profeta Samuele va a casa di suo padre per cercare un re per Israele; ma anche i discepoli di Gesù che erano a pescare. Come i pescatori di pesci diverranno pescatori di uomini, così il pastore delle greggi di Ietro è chiamato a diventare pastore dei figli d’Israele, liberatore dalla schiavitù, colui che li condurrà verso la terra promessa.
Ma perché ciò accada è importante una deviazione, un cambiamento di direzione, di rotta.
Mosè incontra Dio non in un Tempio o mentre sta pregando, ma in un momento qualsiasi della sua giornata, nella sua quotidianità, quando non lo cerca. Dio si rivela a un uomo che non lo conosce, e gli dice: «Io sono il Dio dei tuoi padri», ma Mosè è pieno di domande: «Chi sono io? Perché proprio io? Chi sei tu? Qual è il tuo nome?». Si tratta di domande vitali, importanti; potersi chiamare reciprocamente per nome significa avere una relazione stretta, personale, chiamare per nome rende la comunicazione possibile. Questa è la relazione tra Dio e Mosè, è fatta di un continuo reciproco interrogarsi e chiedersi: “chi sei?”, “chi sono?”.