Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Venerdì, 20 Maggio 2016 17:01

Lezione 2

Nella prima beatitudine "Beati i poveri" avevamo riscontrato che il termine "poveri" non viene mai adoperato in senso esclusivamente metaforico, senza alcun riferimento alla condizione sociale. In Isaia 61,1 e 66,2 «povero» è abbinato a «dal cuore rotto» e «dallo spirito contrito». Matteo interpreta così il povero: "il curvato", colui cioè che non si erge orgogliosamente davanti a Dio.

Il termine "povero" nel giudaismo era diventato una sorta di termine onorifico del giusto. Nella comunità monastica di Qumran troviamo una formulazione come quella di Matteo: «Poveri di spirito»: si tratta di quelli che conoscono Dio, dei giusti la cui condotta è "perfetta".

L'annuncio originario di Gesù è indirizzato semplicemente ai «poveri». La salvezza è annunciata a tutti i poveri. Per tutti loro, Dio è presente, è dalla parte del misero, Dio sostiene la causa dei deboli; a loro appartiene il regno di Dio.

v. 4: «Beati quelli che fanno cordoglio perché saranno consolati».

Luca in 6,21b riporta: «Beati voi che ora piangete, perché riderete».

Matteo interpreta la versione di Luca e attinge da Isaia 61,1-2:

«Lo Spirito del Signore, di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l'apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l'anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti».

Venerdì, 20 Maggio 2016 16:59

Lezione 1

Leggiamo Matteo 5,1-2. Sia Matteo che Luca tendono a sottolineare che sul "monte" Gesù si rivolge a tutti, si tratta cioè di un discorso rivolto a tutto il popolo e non solo ai discepoli (Matteo 5,1a; 7,28).

In Luca 6,20 Gesù parla ai discepoli in seconda persona plurale:

«Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro».

In Matteo, invece, Gesù parla in terza persona:

«Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli» (Matteo 5,3).

La folla assiste al discorso. L'idea è che il Sermone non è rivolto a una stretta categoria di persone rivestite di particolare responsabilità nella chiesa: il Sermone di Gesù si rivolge a tutta la chiesa che legge il Vangelo. È come se la chiesa fosse presente sul Monte, nella moltitudine che segue Gesù. Le parole del versetto 1b provengono probabilmente dalla Fonte “Q”, una fonte precedente i quattro Vangeli, conosciuta da Matteo e Luca.

È vero che è dal discepolo di Gesù che si esige una giustizia superiore di quella degli Scribi e dei Farisei, ma chi è per Matteo il discepolo di Gesù se non colui che si lascia chiamare a Dio da Gesù Cristo?

Dunque Matteo rivolge il Sermone sul monte di Gesù dapprima alla sua comunità e poi a tutti gli uomini e le donne.

Leggiamo Matteo 5,3-12 Le beatitudini non sono caratteristiche del Sermone sul Monte di Gesù infatti, anche l'antico Testamento ne contiene alcune.

Venerdì, 20 Maggio 2016 16:41

Lezione 5 - Lo stato intermedio

Ai tempi di Gesù, i Sadducei affermavano che non vi è né risurrezione, né angeli, né spirito, invece i Farisei affermavano tutte e tre le cose. I Farisei erano assertori della risurrezione e avevano sviluppato dei modi per descrivere lo stato intermedio dei defunti. In quel mondo antico, nessuno immaginava che i morti fossero già risuscitati; la risurrezione indicava una vita corporea successiva all’attuale vita.

Circa lo stato intermedio, e cioè dove stanno e che cosa sono attualmente i morti, i Farisei rispondevano che i morti erano come angeli o spiriti. Ora sono “disincarnati”, in futuro riceveranno la nuova incarnazione.

Dunque, i Farisei non suppongono per un momento che qualcuno possa essere testimone di una risurrezione, perché essa sarebbe avvenuta per tutti, in un momento futuro. Essi si chiedevano se i morti, resi come angeli, che si trovano nello stato intermedio tra la morte e la risurrezione, potessero far visita a qualcuno.

I Farisei che non credevano nella risurrezione di Cristo, perché non era ancora il momento, tuttavia ritenevano che si poteva avere un incontro con l’angelo del defunto.

Dopo aver bussato alla porta d'ingresso, una serva di nome Rode si avvicinò per sentire chi era e, riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse dentro ad annunziare che Pietro stava davanti alla porta.
Quelli le dissero: «Tu sei pazza!» Ma ella insisteva che la cosa stava così. Ed essi dicevano: «È il suo angelo». Pietro intanto continuava a bussare e, quand'ebbero aperto, lo videro e rimasero stupiti. Ma egli, con la mano, fece loro cenno di tacere e raccontò in che modo il Signore lo aveva fatto uscire dal carcere
(Atti 12,13-17).

Pietro è stato appena liberato miracolosamente dalla prigione e va a trovare i suoi compagni discepoli. La frase «È il suo angelo», significa che i discepoli pensavano che Pietro era stato ucciso in prigione, non significa «È stato risuscitato dai morti». È un modo per riferirsi a quello stato intermedio, «angelico», in cui, mentre il corpo è morto e sepolto, la persona sussiste fino alla sua risurrezione.

Venerdì, 20 Maggio 2016 16:39

Lezione 4 - La redenzione attesa

Abbiamo detto che l’amore di Dio rivelato in Cristo è una realtà che determina tutto. Dove l’amore è sperimentato con forza, diventa impossibile l’autoaffermazione, l’autogiustificazione, l’opposizione a Dio e al prossimo. Dove l’amore determina tutta l’esistenza, allora è superata la lotta tra lo spirito e la carne, è superato il conflitto fra Dio e il mondo che gli è ostile.

La fede confessa già nell’oggi che Cristo è venuto a distruggere le opere del male, sebbene la nostra lotta continui, infatti il credente non è colui che ha pace in sé, ma colui che è in continuo travaglio tra il desiderio di bene e la debolezza della sua carne.

Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra.
Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?
Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Così dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato. (Romani 7,19-24)

Questa è la nostra condizione di oggi, una sorta di realtà di schizofrenia vissuta dal credente reso capace, dall’amore di Dio, di operare il bene e, tuttavia, peccatore. Per certi versi, si tratta di una lotta, e la promessa della venuta nella gloria di Cristo, dà ai credenti la certezza che questa lotta finirà vittoriosamente. L’annuncio di questa vittoria definitiva di Gesù Cristo è il senso autentico dell’attesa apocalittica. Qui la potenza minacciosa e crescente delle tenebre deve essere vista come lo sfondo oscuro sul quale si irradia in modo tanto più chiaro la potenza di Gesù Cristo. Non la menzogna avrà l’ultima parola, ma la verità, non sarà l’odio a vincere, ma l’amore.

Non andiamo incontro alla notte, ma allo spuntar del giorno.

Gesù Cristo è la promessa della giustificazione da parte di Dio, una giustificazione non solo vissuta nel presente della nostra vita, ma pure come promessa di redenzione futura. Il Nuovo Testamento distingue nettamente tra quello che noi già siamo in Cristo e quello che saremo.

«Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è» (I Giovanni 3,2).

 Il discorso relativo al futuro non si esaurisce nella storia, come la diffusione dell’evangelo sulla terra o che le «porte dell’inferno» non prevarranno sulla comunità dei credenti, ma lo scopo finale, il telos, va oltre la storia umana.

Tuttavia, la chiesa ha sempre trovato difficile accogliere, nella sua essenza, l’eschaton, l’attesa della redenzione al di là della storia; al posto di esso subentrò il concetto dell’al di là, del paradiso e invece della risurrezione dei morti si parlò di immortalità dell’anima.

 D’altra parte, l’attesa prossima della parousia, il ritorno di Cristo, era stata vista come una delusione dal momento che, l’attesa non aveva dato alcun risultato.

Aprirsi alla promessa del futuro rivolta da Dio al credente, significa rendersi conto che ci è data la possibilità di un futuro. L’eschaton ha il suo fondamento nel messaggio del Cristo crocifisso che è anche il Risorto. A partire dalla morte e dalla risurrezione di Cristo, è stata presa la decisione sul nostro futuro e su quello di tutto il mondo.

Vanno distinte a questo punto le tre opere dell’unico Dio.

Venerdì, 20 Maggio 2016 16:34

Lezione 2 - Il tempo di risvegliarsi

La grande speranza d’Israele consisteva nel fatto che il popolo, seme di Abramo, Isacco e Giacobbe, si moltiplicasse e prosperasse. Perfino nella caduta, la speranza è rivolta nella procreazione:

Alla donna disse: «Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli». (Genesi 3,16)

I figli, e dopi i nipotini, sono la maggiore benedizione divina, e il vivere abbastanza a lungo da vederli è una delle cose migliori in cui sperare.

Ecco, i figli sono un dono che viene dal Signore; il frutto del grembo materno è un premio. Come frecce nelle mani di un prode, così sono i figli della giovinezza.
Beati coloro che ne hanno piena la faretra! Non saranno confusi quando discuteranno con i loro nemici alla porta.
(Salmo 127,3-5)

Tua moglie sarà come vigna fruttifera, nell'intimità della tua casa; i tuoi figli come piante d'olivo intorno alla tua tavola. Ecco così sarà benedetto l'uomo che teme il Signore. (Salmo 128,3-4)

Vedere i propri figli morire era, al contrario, la più grave sciagura immaginabile. Far crescere la nazione e la propria famiglia era, quindi, una responsabilità sacra di ciascuno che esigeva perfino leggi specifiche che la salvaguardassero.

Per il pio israelita, la discendenza non era semplicemente il modo per tenere vivo il nome, ma il modo in cui si sarebbero adempiute le promesse di Dio, per Israele e per il mondo. Per questo la Bibbia dà molta importanza alle genealogie che alla nostra sensibilità sembrano noiose e addirittura lontane dalla religione.

Oltre alla famiglia, anche la terra, quella che Dio aveva promesso ad Abramo, faceva parte della speranza del futuro.

Questo era il motivo per il quale anche i profeti si concentravano sulla pace e sulla prosperità della terra (il paese dove scorre latte e miele). E se una persona può vedere che il popolo e il paese fioriscono, allora può anche andarsene in pace nella tomba.

Venerdì, 20 Maggio 2016 16:31

Lezione 1 - L'Antico Testamento e la morte

Il tema della Risurrezione deve essere concepito all’interno della teologia della Speranza che rientra nell’ambito dell’escatologia, cioè l’attesa degli ultimi giorni. Il tema dell’escatologia, dunque, pone al centro della vita cristiana l’attesa del Regno di Dio. Il cristiano è una persona che ha “speranza”, nei confronti del male e della morte.

L’apostolo Paolo scrive:

Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture;
fu seppellito, è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture»
(I Corinzi 15,13-14)

L’apostolo fa riferimento alla consapevolezza di una visione ebraica tardiva concepita dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia. Così, la risurrezione compare di rado nell’Antico Testamento, ed è assente nei popoli pagani.

Da ricordare che la risurrezione non fa parte della speranza pagana, ma unicamente del mondo ebraico. Essa, nell’A.T. appare di rado, tuttavia si distinguono tre fasi che hanno caratterizzato la convinzione circa la vita dopo la morte.

  1. Nel primo periodo vi era nessuna o poca speranza di una vita di gioia e di beatitudine dopo la morte.
  2. In un secondo periodo si cominciò a considerare il fatto che l’amore e la potenza di Dio erano talmente grandi che il rapporto con Dio nel presente non poteva essere spezzato neppure dalla morte.
  3. In un terzo tempo apparve l’idea, del tutto nuova, che i morti sarebbero risorti.
Mercoledì, 18 Maggio 2016 22:25

Sermone di Pentecoste 2016 (1 Corinzi 12,1-11)

Testo della predicazione: I Corinzi 12,1-11

Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell'ignoranza. Voi sapete che quando eravate pagani eravate trascinati dietro agli idoli muti secondo come vi si conduceva. Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: «Gesù è anatema!» e nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non per lo Spirito Santo. Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v'è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l'interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell'unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole.

Sermone

     Cari fratelli e sorelle, dalla parola biblica che abbiamo ascoltato, lo Spirito Santo risulta essere alla base di ogni attività e ogni testimonianza dei credenti. Senza lo Spirito nessuno può dire “Gesù è il Signore”, nessuno può pervenire alla fede, non vi è la capacità di comprendere il lieto annuncio dell’amore di Dio, c’è, infatti, troppa gratuità in quel messaggio per la nostra indole umana che ragiona in termini ricompensa, di “Do ut des”, di scambio di favori o di doni; senza l’azione dello Spirito non vi è la possibilità di esprime tale amore di Dio, tale grazia sovrabbondante, e poterla capire profondamente ed esprimerla sarebbe del tutto impossibile.

Perché?

Perché ciò di cui si parla, è altro da noi, diverso da noi, esseri umani, perché si tratta di qualcosa che ci sorpassa, qualcosa che va oltre il nostro orizzonte e i nostri limiti.

     L’apostolo Paolo che scrive alla chiesa di Corinto, spiega che solo attraverso il dono dello Spirito possiamo capire e allargare il nostro orizzonte.

Come agisce lo Spirito?

Innanzitutto crea diversità.

Testo della predicazione: Giovanni 15, 26 - 16,4

«Quando sarà venuto il Consolatore, che io vi manderò da parte del Pa­dre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testi­monierà di me e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal princi­pio.
Io vi ho detto queste cose affinché non siate scandalizzati. Vi espelleran­no dalle sinagoghe; anzi l’ora viene che chiunque vi uccide­rà crederà di offri­re un servizio a Dio. E faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose affinché quando sia giunta l’ora in cui avverranno, vi ricordiate che ve l’ho dette»
.

Sermone

Il brano del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, fa parte di un discorso che Gesù rivolge ai suoi di­scepoli. L’argomento è quello dell’«odio del mondo», verso i credenti, i cristiani dell’epoca.

Volendo, possiamo dare anche un’occhiata al contesto del nostro brano e scopriamo subito che, pochi versetti prima, Gesù contrappone a questo brano che parla di odio, l’amore: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Appare chiaro il dualismo di Giovanni: da una parte c’è l’amore, che tiene viva la comuni­tà dei cre­denti, e dall’altra l’odio di coloro che non credono in Cristo; da una parte la luce, dall’altra le tenebre. La luce splende nelle tenebre, così come l’amore ama in un mondo d’odio.

Eppure Gesù aveva detto: «conosceranno che siete miei discepoli se avete amore gli uni per gli altri», cioè che la testimonianza dell’a­more porterà i non credenti verso Cristo. Ma nel testo che abbiamo udito sembra invece che l’amore dei discepoli non faccia che inasprire l’odio dei non cre­denti verso la comunità dei cre­denti. Come si spiega questa contraddizione biblica?

Per capire meglio le parole di Gesù è necessario aprire uno squar­cio nella situazione della chiesa al tempo in cui l’evangelista Gio­vanni scrive. Egli ha davanti a sé una realtà concreta, una situa­zione particolare che la comunità dei credenti stava attraversando. Una situazione di persecuzione, di odio, di violenza. Certamente molto difficile da sopportare.

     «Dov’è il Regno di Dio annunziato e promesso? Dov’è quel regno di pace, di giusti­zia, di solidarietà, d’amore?», questa e altre domande simili i credenti cominciava­no a porsi! Essi attendevano che nel mondo irrompesse della pace, della felicità, della giustizia di Dio, invece incontrarono la guerra con il mondo. La fede dei più era scossa!

Testo della predicazione: Giovanni 3,1-8

C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da Gesù, e gli disse: «Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi segni miracolosi che tu fai, se Dio non è con lui». Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, in genere, per tutti, il buio, l’oscurità, le tenebre, sono il luogo in cui nascondersi quando riteniamo di aver agito male, quando non vogliamo che gli altri ci vedano, che pensino male di noi. Anche se il buio è qualcosa che, interiormente, ci fa paura, perché rappresenta la condizione della nostra coscienza, e dei nostri pensieri a volte molto confusi a seguito di tante domande che ci facciamo dopo una sofferenza, un dolore, un lutto, nostro o degli altri.

L’evangelista Giovanni deve avere una comprensione analoga del buio e delle tenebre, tanto che quando Giuda lascia Gesù per consegnarlo ai suoi nemici afferma: «Egli, dunque, prese il boccone, uscì subito, ed era notte». E sì, era davvero notte nell’animo di Giuda.

Un vecchio di nome Nicodemo incontra Gesù di notte. Era un capo dei Giudei, un dottore d’Israele, pare, simpatizzante di Gesù e del suo messaggio. Incontra Gesù di notte, col favore delle tenebre: certamente non voleva che nessuno, data la sua posizione, sapesse che incontrava un maestro considerato eretico da molti dei suoi amici.

Incontreremo ancora Nicodemo più avanti nello stesso Vangelo, quando difenderà Gesù di fronte ai capi dei sacerdoti e dei farisei; e lo incontreremo ancora, più avanti, intento a prendersi cura della salma di Gesù, avvolgendola in fasce e aromi, e poi della sua sepoltura insieme a Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, ma in segreto per timore dei Giudei. Avevano senz’altro qualcosa in comune i due.