Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

Numero di telefono del presbiterio: 0121.30.28.50

Pastore Giuseppe Ficara

Consacrato nel 1992, ha svolto il suo ministero nelle chiese di Riesi, Caltanissetta, Agrigento, Trapani e Marsala, Palermo.
Pastore a Luserna San Giovanni da Agosto 2013.

 

Indirizzo: Via Beckwith 49, Luserna San Giovanni (TO), 10062, ITALIA

Tel/Fax: (+39) 0121/30.28.50

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Testo della predicazione: Romani 6,19-23

Parlo alla maniera degli uomini, a causa della debolezza della vostra carne; poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità per commettere l'iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. Quale frutto dunque avevate allora? Di queste cose ora vi vergognate, poiché la loro fine è la morte. Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’apostolo Paolo parla un linguaggio metaforico perché il suo discorso sia più facilmente compreso dai credenti della chiesa di Roma, e da noi oggi. Parla di “carne”, parla di “membra”, di “schiavitù” e di “libertà”.

È consapevole che non si può parlare di Dio e della sua grazia senza che ciò sia frainteso da noi, perché viviamo dentro una logica umana che non ci permette di capire quella di Dio, tanto diversa dalla nostra.

Così, per permettere di capire che cosa è il peccato, Paolo vi contrappone la giustizia. «Se tu ti orienti in modo che la giustizia per tutti si compia, allora non ti presti al peccato; quando te ne freghi di realizzare una giustizia di cui tutti possono godere, allora stai consegnando il tuo corpo e l’intero tuo essere al peccato».

In realtà, l’apostolo sta cercando di incoraggiare i credenti di Roma a proseguire lungo una strada che non è facile, perché non ricevono il consenso dei loro concittadini che vivono dentro una logica di tornaconto, di interesse e di giovamento personale, piuttosto che umano e sociale. Perciò l’apostolo afferma: «Prestate ora le vostre membra al servizio della giustizia».

Essere credenti cristiani significa partecipare alla fede in Gesù Cristo, vivere una svolta, prendere parte a un cambiamento che porta dalla schiavitù alla libertà. In modo figurato, l’apostolo, permette di vedere nella morte di Gesù, la fine della nostra schiavitù al peccato, e nella sua risurrezione, il nostro ingresso nella terra della libertà.

Tutti noi, dunque, come credenti, partecipiamo a questo evento di Gesù attraverso l’esperienza della nostra conversione.

Testo della predicazione: Esodo 16,2-3.11-18

Tutta la comunità dei figli d'Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d'Israele dissero loro: «Fossimo pur morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà! Voi ci avete condotti in questo deserto perché tutta questa assemblea morisse di fame!» E il Signore disse a Mosè: «Io ho udito i mormorii dei figli d'Israele; parla loro così: "Al tramonto mangerete carne e domattina sarete saziati di pane; e conoscerete che io sono il Signore, il vostro Dio"». La sera stessa arrivarono delle quaglie che ricoprirono il campo. La mattina c'era uno strato di rugiada intorno al campo; e quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra. I figli d'Israele, quando l'ebbero vista, si dissero l'un l'altro: «Che cos'è?» perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «Questo è il pane che il Signore vi dà da mangiare. Ecco quello che il Signore ha comandato: "Ognuno ne raccolga quanto gli basta per il suo nutrimento: un omer a testa, secondo il numero delle persone che vivono con voi; ognuno ne prenda per quelli che sono nella sua tenda"». I figli d'Israele fecero così, ne raccolsero gli uni più e gli altri meno. Lo misurarono con l'omer; chi ne aveva raccolto molto non ne ebbe in eccesso; e chi ne aveva raccolto poco non gliene mancava. Ognuno ne raccolse quanto gliene occorreva per il suo nutrimento.

Sermone

      Cari fratelli e care sorelle, Israele è uscito dall’Egitto, è stato liberato cioè dalla schiavitù, però ora, lungo la traversata del deserto, si trova davanti a un dilemma non certo facile: «È meglio essere schiavi, ma sazi oppure liberi ma affamati?». Ovviamente per molti il problema non si pone perché stare seduti davanti a una pentola piena di carne, anche se schiavi, resta meglio della libertà senza nulla da mangiare.

     Ciò che accade a quel popolo liberato dalla schiavitù, durante la lunga traversata del deserto, è che la crisi del cibo diventa una crisi di fede. Il popolo è perfino disposto a ritornare schiavo e a rinnegare di essere stato liberato da Dio stesso. Siamo tutti fatti così: cerchiamo Dio nelle cose straordinarie, cerchiamo la provvidenza di Dio nelle cose eccezionali, ma non ci avvediamo che Dio è là, durante le nostre giornate normali, che ci offre le sue benedizioni, e quando non riusciamo a discernere la presenza di Dio nella vita quotidiana, lo neghiamo anche nelle situazioni di straordinarietà.

     Per Israele, la liberazione dall’Egitto è come una nuova creazione di Dio, equivale a una nuova identità come popolo libero. In questa fase del deserto, il popolo percepisce se stesso in modo diverso, non ha ancora consapevolezza della sua nuova identità, non è ancora diventato quello che sarà, e allora, la sazietà nell’oppressione è preferibile alla fame nella libertà.

Testo della predicazione:  Matteo 15,21-28

Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele». Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!» Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, una donna pagana distoglie l'attenzione su Gesù, grida dietro al corteo che segue Gesù. È una donna non ebrea che si rivolge a Gesù, ad un maestro ebreo per rivolgergli la preghiera di guarire sua figlia affetta da una grave malattia, forse è epilettica o qualcosa legata a forme improvvise di crisi, è tormentata, dice il nostro testo, da un demone maligno.

Ma l'attenzione del brano biblico non si ferma su questo aspetto, ma sul rapporto che la donna vuole instaurare con Gesù. Perciò grida per farsi sentire da lui, non si può avvicinare troppo a Gesù perché è pagana e quindi potrebbe contaminare il maestro, come chi ha una malattia contagiosa, come la lebbra. Ma la donna non si arrende, non si perde d'animo, e grida per farsi sentire da Gesù.

Però «Gesù non le rispose parola» dice l’evangelista. Gesù è muto, non reagisce, il suo silenzio è pesante, strano, urtante… Gesù, che è il consolatore degli afflitti; lui, che ha rasserenato coloro che piangono, che ha soccorso i tormentati; lui, che ha guarito tante persone, alla donna non risponde nulla.

Testo della predicazione: 1 Corinzi 1,18-25

La predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti». Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il brano biblico che l’apostolo Paolo scrive e che abbiamo ascoltato è un discorso di rottura, un forte testo di contestazione. A noi possono suonare scontate le parole di Paolo: «Noi predichiamo Cristo crocifisso». Ma qui l’apostolo sta richiamando i credenti di Corinto affinché sia predicato il Cristo crocifisso e non un altro.

L’apostolo non sta semplicemente parlando della centralità della fede, ma di una centralità della fede perduta; l’apostolo è critico, pungente, sta cercando di intaccare e frantumare una immagine di Dio distorta che si erano fatta alcuni credenti di Corinto. Paolo sta restaurando la croce, sta facendo un’opera di restauro nel senso di ripristinare il valore della croce come fondamento della fede.

Nella chiesa di Corinto vi erano delle divisioni, alcuni si schieravano con la teologia di un predicatore, Apollo, altri con quella di Cefa, l’apostolo Pietro, altri ancora con Paolo stesso. L’apostolo ricorda invece che la fede non si fonda né sulla teologia di uno, né sulla filosofia di un altro, né sulla scienza, né su qualche persona, spirituale per quanto possa essere.

Testo della predicazione: Romani 12,17-21

Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore. Anzi, «se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo». Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, come protestanti, manifestiamo una certa diffidenza davanti a elenchi di imperativi imposti in qualche modo; noi crediamo nel valore della libertà, di scelte e comportamenti che fanno riferimento alla propria coscienza resa responsabile dalla Parola di Dio perché radicata nel Vangelo di Gesù Cristo.

In effetti l’apostolo Paolo è maestro per quanto concerne questa nostra posizione chiara, eppure qui, nella lettera ai Romani, l’apostolo pronuncia con forza una serie di imperativi, rivolti ai credenti della chiesa di Roma. È evidente che l’apostolo fa riferimento a una realtà particolare, concreta; è sensibile ai problemi che quella comunità attraversa. E si evince che nella chiesa di Roma ci sono fratelli e sorelle che subiscono del male e sono oggetto di odii, violenze, ritorsioni, forse anche di intolleranze; non sappiamo perché.

L’apostolo si sente di offrire dei consigli derivati dalla sua esperienza di credente che ha subìto violenza, che è stato in carcere, perseguitato ingiustamente, e propone una risposta nonviolenta dei credenti nei confronti di chi ha inflitto loro del male; l’apostolo insegna a rispondere alla provocazione in modo costruttivo, lontano dalla logica di “occhio per occhio e dente per dente”, logica che conduce sempre a inimicizie e ostilità senza fine. Quindi afferma con grande determinatezza: «Non rendete male per male».

Testo della predicazione: Ezechiele 18,1-4. 21-24. 30-32

La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: «Perché dite nel paese d’Israele questo proverbio: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?” Com’è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà. Se l’empio si allontana da tutti i peccati che commetteva, se osserva tutte le mie leggi e pratica l’equità e la giustizia, egli certamente vivrà, non morirà. Nessuna delle trasgressioni che ha commesse sarà più ricordata contro di lui; per la giustizia che pratica, egli vivrà. Io provo forse piacere se l’empio muore? dice Dio, il Signore. Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive? Se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità e imita tutte le abominazioni che l’empio fa, vivrà egli? Nessuno dei suoi atti di giustizia sarà ricordato, perché si è abbandonato all’iniquità e al peccato; per tutto questo morirà. Perciò, io vi giudicherò ciascuno secondo le sue vie, casa d’Israele, dice Dio, il Signore. Tornate, convertitevi da tutte le vostre trasgressioni e non avrete più occasione di caduta nell’iniquità! Gettate via da voi tutte le vostre trasgressioni per le quali avete peccato; fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo; perché dovreste morire, casa d’Israele? Io infatti non provo nessun piacere per la morte di colui che muore, dice Dio, il Signore. Convertitevi dunque, e vivete!

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, il profeta Ezechiele è anche un sacerdote, il suo nome significa “Dio rafforzerà”. È un esule, deportato con il suo popolo in terra straniera, in Babilonia, dopo la sconfitta di Israele per opera del re Nabucodonosor nel 587 a.C.

Sono ormai passati diversi anni, e fra i prigionieri regna un morale molto basso e uno stato d’animo pessimo. Danno la colpa a Dio perché ritengono che Dio faccia pagare a loro le colpe dei loro padri, dei loro antenati.

Così, il profeta Ezechiele esordisce la sua predicazione con una immagine: la gloria di Dio si allontana dal tempio lasciando posto al giudizio; ma conclude con un’altra immagine: la gloria di Dio riappare nel nuovo tempio per una nuova epoca segnata dalla benedizione di Dio.

Ezechiele annuncia a Israele una speranza e una nuova liberazione, come quella dall’Egitto al tempo di Mosè. Prima di tutto, il profeta chiarisce il carattere di Dio: Dio non è un Dio vendicativo e spietato, ma un Dio che ama i suoi figli/e, un Dio che ama il suo popolo anche quando, a causa delle di scelte sbagliate e insensate, si trova in grave difficoltà.

Testo della predicazione: Efesini 5, 21-33

Sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama sé stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma d'altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama sé stesso; e altresì la moglie rispetti il marito.

Sermone

Care sorelle e fratelli, il discorso della lettera agli efesini che abbiamo ascoltato può sembrare povero e limi­tato se lo isoliamo dal suo insieme, dal suo contesto più largo; alla nostra mentalità moderna, che apprezza i valori della libertà e della dignità della persona umana, può dare anche l’impressione di un discor­so che opprima l’altro: «Mogli., siate sottomesse…». Dobbiamo, però, ricordarci che l’ordine sociale del mondo antico si reggeva sulla gerarchia dei ruoli. Di qui deriva il primo dovere: ognuno deve rispettare il proprio ruolo, e il ruolo della moglie di una famiglia a struttura patriarcale è di stare sotto­messa al marito, di rispettarlo e obbedirgli. Questa è una concezione che fa parte di una cultura antica. E nella Bibbia rimane riprodotto l’ordinamento piramidale e autoritario della famiglia antica, ma l’au­tore della lettera agli efesini, sebbene non cambi l’ordinamento fami­liare, vi apporta una novità veramente speciale.

Infatti il verbo “stare sottomesso” (gr. hypotassesthai) indica la sottomissione volontaria di Cristo a Dio e dei cristiani tra loro per mezzo della fede e dell’amore. Quindi l’essere sottomesso, qui non indica l’uno sotto l’altro e basta, ma vicendevolmente sottomessi, così come dice lo stesso autore al v. 21: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” che corrisponde a quello che dice l’apostolo Paolo nella lettera ai Galati “Siate al servizio gli uni degli altri” (5, 14).

Domenica, 08 Giugno 2014 18:57

Sermone di Pentecoste 2014 (Genesi 11,1-9)

Testo della predicazione: Genesi 11,1-9

Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. Dirigendosi verso l’Oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Scinear, e là si stanziarono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamo dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e bitume invece di calce. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra». Il Signore discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!» Così il Signore li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire la città. Perciò a questa fu dato il nome di Babel, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là li disperse su tutta la faccia della terra.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, radioascoltatori e radioascoltatrici l’episodio di Pentecoste ha in comune con quello della Torre di Babele la diversità delle lingue, che da una parte disperde e dall’altra unisce.

A Pentecoste, coloro che ascoltano i discepoli che pregano affermano: «Come mai ciascuno di noi li ode parlare nella propria lingua?». Persone provenienti da nazioni diverse, comprendono nella propria lingua la preghiera dei credenti. Il messaggio del racconto biblico mira a spiegare che ora lo Spirito Santo, presente nella chiesa, può condurla alla testimonianza dell’Evangelo che libera, che converte e trasforma, e che permette di vivere nel nuovo orizzonte dell’amore di Dio e della fraternità piuttosto che in quella dell’inimicizia e dell’odio.

Oggi però vorrei parlare del brano della Torre di Babele contenuto nel libro della Genesi e provare a capire che cosa sia veramente successo.

In questo brano, il disperdersi ha il significato di spargersi sulla terra, così come aveva voluto il Signore quando aveva detto «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…» (Genesi 1,28).

Testo della predicazione: Romani 8,26-30

«Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati».

Sermone

L’apostolo Paolo, al capitolo 8 della lettera ai Romani contrappone la legge antica alla grazia di Dio; una legge che genera peccato e, quindi, morte a una legge che genera vita, quella dello Spirito. Infatti è chiamato “Spirito della vita” (8,2).

La morte di Gesù sulla croce, interrompe l’azione del peccato e della morte, e apre le porte alla libertà dello Spirito che agisce per rinnovare ogni essere umano che accoglie la grazia e l’amore di Dio.

Dunque, per l’apostolo Paolo, dalla morte di Gesù sulla croce si apre un’epoca nuova nella quale l’azione dello Spirito permette una vita che rende il nostro essere credenti non più vissuto all’insegna della paura del peccato e della morte, ma gioioso perché vive della speranza che la nostra redenzione è già presente nell’oggi e avrà il suo pieno compimento in un futuro non lontano, che sta davanti a noi. Le “primizie dello Spirito” (v. 23) ci danno serenità e pace, affinché, malgrado i nostri limiti umani, le nostre paure, le nostre incredulità, possiamo vivere in un orizzonte nel quale lo Spirito ci permette di rasserenarci.

Testo della predicazione: I Giovanni 3,13-18

Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida possiede in sé stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l'amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, il comandamento dell’amore che Gesù proclama nei Vangeli è il centro di questa prima lettera di Giovanni.

L’autore della lettera di Giovanni presenta un dualismo teologico che permette di comprendere meglio la portata e lo spessore dell’amore. Egli afferma che dove manca l’amore, là c’è odio. E Gesù, parlando del comandamento dell’amore, aveva messo in guardia i discepoli dall’odio: «Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me».

Tuttavia, l’amore e l’odio, per la Bibbia, non sono semplicemente dei sentimenti, ma producono delle azioni che determinano la vita o la morte. Caino uccise perché odiava suo fratello. Questo è dunque l’odio: vivere nella dimensione, nell’orizzonte e nella prospettiva della morte, di se stessi e degli altri.

Gesù, parlando del comandamento dell’amore, conclude dicendo: da questo comandamento dipende tutta la legge e i profeti (Matteo 22,40) come per sottolineare che il peccato è la trasgressione della legge che nell’Antico testamento era la Torà, mentre adesso è la legge dell’amore.