Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Archivio dei sermoni domenicali

Testo della predicazione: Giovanni 12,20-26

«Tra quelli che salivano alla festa per adorare c'erano alcuni Greci. Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro, dicendo: «L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev'essere glorificato. In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, Gesù pronuncia queste parole nella consapevolezza di ciò che lo attende, la sua morte in croce. Cerca di rivelarlo ai suoi discepoli e qui ricorre all’immagine del seme, un seme che è secco, senza vita, è morto quando lo si sotterra, ma poi produce il suo frutto, un frutto abbondante.

Gesù vuole rendere attenti i suoi interlocutori sul fatto che la sua morte è necessaria perché essi vivano, perché l’umanità viva di una vita vera. Gesù annuncia la vita per tutti attraverso un gesto gratuito con il quale si fa dono di sé, un gesto sul quale sembra prevalere solo la morte e la distruzione di un corpo, mentre esso tornerà a vivere per dare speranza a tutto il mondo.

Il granello di frumento, in sé, è qualcosa di insignificante, fintanto che resta lì, solo, fintanto che non viene seppellito, dentro la terra; ed ecco che, così com’è, secco, senza vita, a contatto con la terra, porta frutto: nel portare frutto c’è sempre una relazione con l’altro, con l’altra persona, è la relazione che fa rivivere, che rende vivo anche ciò che era morto. È la nostra relazione con Dio e con il prossimo che ci rende vivi davvero.

Questa è la vita per Gesù, una vita nella quale condividiamo con l’altro/a la nostra esistenza, una vita nella quale ci può essere dialogo, comunicazione, confronto, incontro.

È tutto questo che Gesù vuole spiegare ai suoi discepoli, perché è su questa relazione con Dio e il prossimo che è possibile credere, essere cristiani autentici. Questo è il maestro che incontra i suoi discepoli, questo è il Gesù che incontra noi, il Cristo che vuole incontrare il mondo.

Nell’incontro si esprime tutto il proprio amore, il proprio donarsi all’altro/a; la vita è tale perché è portatrice di frutti, frutti che portano speranza, frutti che portano fiducia, comprensione reciproca, rispetto, diritti, solidarietà, libertà.

Si tratta di servizio vicendevole!

Testo della predicazione: Matteo 17,1-9

«Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: «Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo». I discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi, non temete». Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù tutto solo. Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il racconto di oggi, narra di Gesù che sale su un alto monte con i suoi discepoli per stare in disparte. Là accade un evento straordinario che il nostro brano chiama trasfigurazione. Improvvisamente il volto di Gesù diventa luminoso come il sole e le sue vesti candide come luce. Si tratta di una immagine ricorrente nella letteratura apocalittica per raffigurare la divinità del Messia, del Figlio di Dio che viene a liberare il popolo dei credenti assoggettato alla dominazione, al male. 

     Con Gesù appaiono Mosé ed Elia che conversano tra loro. Cosa rappresentano i personaggi della trasfigurazione? Mosè rappresenta certamente la Torah, la legge che Dio gli diede sul monte Sinai perché il popolo l’osservasse per il suo bene, per mantenere la libertà che Dio gli aveva appena donato, libertà dalla schiavitù in Egitto. Elia rappresenta la profezia con cui Dio si rivelava e parlava a Israele. Torah e profezia: i due modi in cui Dio si è rivelato nell’Antico Testamento, i due modi della Parola di Dio; qui è contenuta tutta la rivelazione di Dio fino a Gesù, il Cristo, il Messia che ancora deve essere rivelato pienamente nella sua risurrezione, non ancora avvenuta, ma che la trasfigurazione rivela, la anticipa.

     Ecco, in Gesù, la rivelazione di Dio assume la sua completezza, la sua pienezza, Gesù è il compimento di tutta la legge e di tutte le profezie.

     Questo messaggio accade su un alto monte, che rappresenta il Sinai, il luogo dell’incontro con Dio.

Qui accade la nuova manifestazione di Dio: in Cristo, Dio è presente, è visibile, è concretamente vicino, tanto che Pietro afferma: «Che bello stare qui! Montiamo delle tende e ci fermiamo qui». Il malinteso è sempre in agguato, l’incomprensione e l’equivoco sono pronti a deviare la nostra attenzione da ciò che è importante, dal messaggio che ci è annunziato.

     Ed è proprio di fronte al malinteso, mentre Pietro parla, che Dio giunge con la sua presenza: una nuvola luminosa giunge e avvolge i tre, li nasconde dentro la sua luce; il testo dice che li compre con la sua ombra, ovvero la sua opacità luminosa. È dalla nuvola che Dio parla e ripete le parole che si odono nel battesimo di Gesù «Questo è il mio amato figlio nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».

Testo della predicazione: Luca 2,41-52

«I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando giunse all’età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l’usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all’insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l’udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?» Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, è un brano biblico molto conosciuto quello alla nostra attenzione. Gesù dodicenne, discute di teologia con i dottori della legge i quali sono meravigliati per la sua intelligenza e saggezza. 

L’evangelista Luca inserisce questo racconto all’interno di un progetto importante di comunicazione perché intende mettere a tacere coloro che accusavano Gesù di eresia o, addirittura, di collocarsi fuori dall’ebraismo.

Luca sottolinea che Gesù è cresciuto all’interno della vita morale e rituale del giudaismo, è un israelita in piena regola i cui luoghi di formazione sono stati il Tempio, la sinagoga e la casa. Gesù non è vissuto, cioè, in un mondo tutto suo nel deserto, ma all’interno di una comunità nella quale ha condiviso la sua umanità. Gesù si configura cioè all’interno della fede, non fuori di essa, una fede che è vera se condivisa.

Testo della predicazione: Luca 2,25-32

Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest’uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d’Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo:«Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo davanti a noi uno dei brani più commoventi della Scrittura: Simeone, una persona molto anziana e ormai vicina alla morte, è in attesa, in attesa di “vedere” con i propri occhi colui che sarà finalmente “la consolazione d’Israele”, il Messia.

Lo Spirito Santo guida il vecchio Simeone proprio quando Giuseppe e Maria conducono il loro figlio, Gesù, ad essere presentato a Dio nel tempio di Gerusalemme. È qui che avviene l’incontro: un vecchio in attesa, vede giungere a compimento ciò per cui vive.

Per Simeone, incontrare Colui che sarà la luce di tutte le genti e gloria d’Israele, significa potersi finalmente congedare da una realtà umana lontana da Dio, ribelle e, allo stesso tempo, vittima della paura, sgomenta circa il suo futuro e in preda all’inquietudine angosciante sulla propria salvezza.

Un vecchio prende in braccio un bimbo di sei settimane e proclama che quel bimbo sarà lo strumento di salvezza di Dio: «luce delle genti», per tutti i popoli, giudei e pagani.

Questa proclamazione è davvero importante perché vengono abbattuti tutti i muri di divisione fra ebrei e pagani, sono abbattuti quei paletti di recinzione che restringevano il campo d’azione di Dio al solo popolo d’Israele. Ora questa azione di Dio riempie tutta la terra, il disegno di Dio si realizza, come anche le antiche profezie, come quella del profeta Isaia che afferma: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe… voglio fare di te luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra» (Is. 49,6).

Il vecchio Simeone rende una testimonianza al Gesù, il Messia, annuncia una profezia che è predicazione non soltanto sul senso della venuta del Cristo nel mondo, ma innanzitutto sul senso che il Cristo, che illumina la mente e il cuore con la sua luce, potrà avere per ciascun essere umano. Gesù è quella luce che illumina il mondo e permette all’umanità di cambiare il suo destino.

Domenica, 14 Dicembre 2014 15:05

Sermone di domenica 14 dicembre 2014

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Testo della predicazione: Matteo 11,2-10

«Giovanni, avendo nella prigione udito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?» Gesù rispose loro: «Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri. Beato colui che non si sarà scandalizzato di me!» Mentre essi se ne andavano, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alla folla: «Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Ma che cosa andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Quelli che portano delle vesti morbide stanno nei palazzi dei re. Ma perché andaste? Per vedere un profeta? Sì, vi dico, e più che profeta. Egli è colui del quale è scritto: "Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero per preparare la tua via davanti a te"».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi è la terza domenica di Avvento, e ci ricorda che siamo in attesa; che la Chiesa di Cristo è in attesa della venuta del Signore. Questo è il messaggio del Natale: che Cristo viene per riscattare noi e il mondo.

Eppure, alla domanda sul Natale, i ragazzi del catechismo mi hanno risposto: «Natale è una festa, c’è il panettone, ci sono i regali». Solo una ragazza ha detto: «Una festa religiosa, ridotta però a commercio». In effetti, oggi, nella nostra società post-cristiana, l’Avvento è il periodo in cui ci si prepara a comprare i regali, grazie della tredicesima; l’Avvento rappresenta l’attesa, sì, ma di un regalo da ricevere; oggi, ancor di più, è “attesa” perché viviamo momenti di difficoltà economiche, e la tredicesima può servire per tappare dei buchi di bilancio famigliare, rimettersi in pari con la rata del mutuo o di bollette. I commercianti sono in trepidante attesa: sperano di intercettare una buona parte della tredicesima in tasca alla gente.

La Bibbia ci parla dell’attesa in modo diverso, ci dice che il percorso storico di un popolo, Israele, è vissuto come un tempo di attesa: di consolazione, di liberazione, di riscatto da angosce, paure, incertezze, debolezze, fragilità,malattie, morte.

È questa la storia dell’Avvento. Israele è in attesa del Messia, il liberatore. È in questo clima che nasce Giovanni il battista, in una famiglia il cui padre era sacerdote, Zaccaria che, con la moglie Elisabetta, attendono «la consolazione d’Israele».

Testo della predicazione: Efesini 5, 22-33

«Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa. Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l'acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso. Infatti nessuno odia la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma d'altronde, anche fra di voi, ciascuno individualmente ami sua moglie, come ama se stesso; e altresì la moglie rispetti il marito.»

Sermone

Care sorelle e cari fratelli,

questa domenica è quella più vicina alla giornata di mobilitazione mondiale contro la violenza sulle donne. Ascolteremo perciò l’evangelo di Gesù Cristo che ci interpella in ogni situazione della vita, avendo in particolare nella mente e nel cuore le relazioni tra uomini e donne quando la difficoltà diventa conflitto e violenza.

Essere credenti in Gesù Cristo non appartiene solo ad una parte della nostra vita e della nostra persona: quella che va in chiesa, che si impegna nella chiesa, quella che prega o legge la Bibbia; una parte per così dire spirituale, mentre la materialità dei nostri corpi, le nostre emozioni, pensieri ed azioni nella vita di tutti i giorni seguirebbero la loro logica. Dio salva tutta la tua vita e il servizio a cui ci chiama è per la vita quotidiana. Anche la nostra vita privata è il terreno del vivere la fede: proprio quella vita che non vede nessuno, che si vive nel segreto delle nostre case, dietro le porte chiuse, dietro finestre protette da tende. L’autore della lettera agli Efesini dice una cosa abbastanza normale per il suo tempo, ma non così ovvia per il nostro tempo. La fede non si ferma alla soglia della casa privata. La fede che si mostra nel riunirsi della comunità in sottomissione reciproca, in buone parole di incoraggiamento, mossi dallo Spirito Santo (Efesini 5,18-21), continua il suo agire oltre le soglie delle case, arriva fino alla vita privata.  La vita privata è il terreno di relazioni quotidiane dove tra le mura domestiche si relazionano un io e un tu, un uomo e una donna, in un  legame particolare spesso invisibile agli occhi degli altri. Oggi sappiamo che dietro le porte chiuse si celano la maggior parte delle violenze sulle donne, le case che a volte progettiamo per proteggere la vita di chi vi abita da eventuali violenze esterne, è il luogo segreto di violenze interne.

Testo della predicazione: Matteo 25,31-46

«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me". Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non m'accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste". Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me". Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna».

Sermone

La scena che si apre ai nostri occhi, leggendo il brano di oggi, è una scena di giudizio. In tutti i popoli orientali il giudizio inequivocabile delle divinità si esprimeva con la stessa presen­tazione mitica: appariva un trono sul quale sedeva la divinità che si preparava a esercitare la sua giustizia. Anche gli autori biblici e Gesù stesso parlano con le categorie del tempo, con gli stessi modelli. Anche il libro di Daniele contiene una scena simile: Dio siede su un trono, si tiene il giudizio e i libri vengono aperti; anche nell’Apocalisse è presentata la stessa scena. Il profeta Isaia, prima di annunciare il duro giudizio di Dio contro Israele, riferisce di vedere Dio nel Tempio, assiso su un trono.

Tuttavia, il racconto di oggi ci, comunque lo leggiamo, ci disorienta, noi che abbiamo una sensibilità biblica per la quale Dio rimane pur sempre un Dio d’amore che non infierisce alcun male a nessuno.

La Bibbia, in ogni pagina, non si stanca mai di spiegarci che  è sempre Dio che instaura un rapporto con noi, è Dio che decide di fare un patto con noi, di venire nel mondo e di offrire se stesso, in Gesù Cristo, per noi. Non si tratta mai di una nostra decisione, ma della nostra adesione a Dio che ci tende la mano e ci tira fuori dalla nostra impossibilità di riscattarci da soli.

Eppure, tante volte, non ci dice niente il fatto che Dio sia divenuto essere umano, che si sia rivelato a noi come essere umano e non come Dio, nella debolezza umana piuttosto che con miracoli eclatanti e sbalorditivi. Si tratta di una pietra sulla quale inciampiamo e che cerchiamo di rimuovere, perché ci fa problema un Dio debole, che non può difendersi, che muore sulla croce. È uno scandalo per noi che Gesù si identifichi con le persone più reiette della società: gli stranieri, i poveri, i carcerati, i malati… 

Che c'entrano le persone con Dio?

Testo della predicazione: Esodo 34,4-10

«Mosè, dunque, tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò la mattina di buon’ora, salì sul monte Sinai come il Signore gli aveva comandato, e prese in mano le due tavole di pietra. Il Signore discese nella nuvola, si fermò con lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, e gridò: «Il Signore! il Signore! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!» Mosè subito s’inchinò fino a terra e adorò. Poi disse: «Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua eredità». Il Signore rispose: «Ecco, io faccio un patto: farò davanti a tutto il tuo popolo meraviglie, quali non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché tremendo è quello che io sto per fare per mezzo di te».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, senz’altro sarà capitato a tutti noi di rompere un’amicizia perché gli amici si sono comportati in modo scorretto, perché hanno tradito le nostre attese, le nostre riservatezze, le nostre confidenze, o hanno parlato male di noi o agito in modo sconveniente o irrispettoso.

La stessa cosa è accaduta nel rapporto tra Dio e Israele, suo popolo, quando Mosè scese dal monte Sinai con le Tavole della legge, i dieci comandamenti.

L’attesa del popolo era diventata lunga, troppo lunga, snervante, e il popolo si convinse che Mosè, salito sul Monte, non sarebbe più tornato e che si fossero sbagliati circa l’identità di quel Dio che li aveva liberati dall’Egitto dove erano stati schiavi per 400 anni. Così, costruirono un dio da onorare e dal quale farsi accompagnare verso il lungo cammino che li attendeva: un vitello d’oro.

A noi fa sorridere tutto questo, è davvero singolare, quanto contraddittorio, che la fiducia di un popolo fosse riposta sulla figura di un animale.

Ciò vuole semplicemente indicare a quale punto di stoltezza e stupidità possa arrivare l’essere umano riguardo alla sua fedeltà verso chi gli ha fatto del bene, a chi lo ha salvato, verso chi deve riconoscenza e amicizia.

Mosè rompe le Tavole della legge perché reputa che, a questo punto, la fedeltà a Dio e di Dio sia compromessa, che si sia rotto il forte cordone che teneva legato il popolo a Dio.

Testo della predicazione: Efesini 5,15-21

Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore. Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore; ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo; sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo.

Sermone

     Cari fratelli e care sorelle, alle orecchie di un protestante suonano un po’ sospette le parole dell’autore della lettera agli Efesini, perché sembra voglia dare indicazioni moralistiche che non siano conseguenza della propria coscienza e della propria libertà.

     In fondo questa lettera, probabilmente una circolare a cui ogni chiesa dell’Asia minore metteva la propria intestazione, è stata scritta per esortare i credenti a non perdersi nei modi di essere e di fare della realtà sociale dell’epoca: l’autore parla di “giorni malvagi” e invita i credenti a un’etica di coerenza con la propria fede, anche quando diventa difficile, proprio per far fronte a momenti faticosi della vita.

     Si tratta di tempi difficili, malvagi, perché dominati dal male, colpiti dalla violenza, dalla disonestà, dalla cattiveria e dall’immoralità. Alcuni credenti non si ponevano alcun problema sulla loro doppia morale, per la quale nella chiesa erano onesti e fuori disonesti, cioè, come tutti gli altri. Oggigiorno, quando un politico è accusato di corruzione si difende dicendo che “così fan tutti”, che è normale. Ecco, questi credenti che si comportavano in questo modo si adeguavano al tempo della malvagità, a quello dell’ingiustizia sociale.

     Per questo, nella lettera agli Efesini vi è un richiamo alla saggezza e all’intelligenza, il richiamo di rifuggire la stoltezza e la stupidità.