Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Bellonatti

Archivio dei sermoni domenicali

Testo della predicazione: Marco 9,17-27

Uno della folla gli rispose: «Maestro, ho condotto da te mio figlio che ha uno spirito muto; e, quando si impadronisce di lui, dovunque sia, lo fa cadere a terra; egli schiuma, stride i denti e rimane rigido. Ho detto ai tuoi discepoli che lo scacciassero, ma non hanno potuto».  Gesù disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». Glielo condussero; e come vide Gesù, subito lo spirito cominciò a contorcere il ragazzo con le convulsioni; e, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù domandò al padre: «Da quanto tempo gli avviene questo?» Egli disse: «Dalla sua infanzia; e spesse volte lo ha gettato anche nel fuoco e nell'acqua per farlo perire; ma tu, se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». E Gesù: «Dici: "Se puoi!" Ogni cosa è possibile per chi crede». Subito il padre del bambino esclamò: «Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità». Gesù, vedendo che la folla accorreva, sgridò lo spirito immondo, dicendogli: «Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da lui e non rientrarvi più». Lo spirito, gridando e straziandolo forte, uscì; e il bambino rimase come morto, e quasi tutti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo sollevò ed egli si alzò in piedi.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, in questo racconto, Gesù ci dice: «Ogni cosa è possibile a chi crede». E non ci rassicura affatto, perché sappiamo che per noi ogni cosa che vorremmo non è possibile che accada. Non ci sarebbero più le guerre nel mondo, l’odio, la violenza. Solo a Dio «tutto gli è possibile», non a noi.

Perché Gesù va così avanti? Oltre le nostre possibilità? Perché vuole affermare con forza che si aspetta che ai credenti è permesso di partecipare, nella fede, alle opere che Dio compie, che non ne siamo estranei.

Eppure, a volte, vorremmo avere per noi stessi questa prerogativa che è di Dio: per esempio quando ci troviamo di fronte a persone in gravi difficoltà e senza via d'uscita, in una situazione di bisogno simile a quella del giovane epilettico del racconto biblico.

Marco ci dice che è posseduto da uno spirito muto, ci vuole dire che è tagliato fuori dalla comunicazione, è escluso dal rapporto con gli altri. Non può dialogare, né confrontarsi. Si getta nel fuoco e nell'acqua, cioè si comporta in modo autodistruttivo.

Purtroppo, non soltanto in persone malate, ma anche in quelle sane, possiamo riconoscere questo tipo di sofferenze; tante persone, oggi, sono come il giovane del racconto, mute, perché tagliate fuori dai rapporti umani, discriminati o respinti.

Testo della predicazione: Matteo 6,25-34

Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, Gesù affronta il tema dell’ansia perché sa bene che si tratta perfino di una sofferenza che non aggiunge nulla alla nostra vita, anzi ci toglie qualcosa: la serenità. Gesù insiste sul fatto che, spesso, la nostra ansia dipende da una errata priorità che diamo alle cose.

In effetti, ci sono tante cose nella vita alle quali diamo poca importanza, ma un giorno, quando facciamo un’esperienza intensa, quelle persone, parole o gesti, possono acquistare un significato profondo, e diventare per noi particolarmente cari e preziosi che cambiamo anche la nostra esistenza.

Per questo Gesù parla di una nuova concezione della vita che diventa un modo di essere e di porsi nei confronti della vita stessa e di Dio. Gesù ci invita a prendere sul serio e la vita e Dio. Gesù vuole ricordarci che come Dio è il creatore di tutti gli esseri umani, così egli non li abbandona a se stessi, ma continua ad prendersene cura sempre, come dire che il suo atto creatore non si è concluso nella prima pagina della Bibbia.

Gesù ci invita a guardare gli uccelli, belli e brutti (nel vangelo di Luca, si parla anche di corvi!) i vegetali, i fiori e persino le erbacce che continuano a ricevere l'attenzione di Colui che li ha creati. Gesù ci dice che anche per noi è così, anche noi dipendiamo dall’amore del Signore che ci sostiene nella vita. Gesù ci dice che Dio ci ha creati, non per buttarci nel vasto mondo chiedendoci di cavarcela da soli e di arrangiarci, ma continua ad amarci e a prendersi cura di ognuno di noi.

Testo della predicazione: Luca 18,18-23. 28-30

Uno dei capi lo interrogò, dicendo: «Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dir falsa testimonianza; onora tuo padre e tua madre». Ed egli rispose: «Tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù, udito questo, gli disse: «Una cosa ti manca ancora: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, udite queste cose, ne fu afflitto, perché era molto ricco. Pietro disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli disse loro: «Vi dico in verità che non c'è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amor del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell'età futura la vita eterna».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, dalla Bibbia abbiamo ascoltato un racconto in cui un giovane, molto ricco, domanda a Gesù cosa deve fare per ottenere la Vita eterna, la salvezza eterna.

Gesù risponde: “Segui i comandamenti di Dio”! Eppure, questi erano osservati attentamente e alla lettera dal giovane ricco che, però, lo stesso, domanda a Gesù cosa deve fare per avere la certezza della Vita eterna.

Eppure, questo giovane dovrebbe avere la coscienza a posto, fa tutto quello che gli è comandato, è uno scrupoloso osservatore dei precetti, attento a tutte le leggi dell’antico Israele. Eppure, sente che tutto questo non basta, che qualcosa gli manca.

Perché?

In fondo, può sentirsi una persona a posto con se stessa e con Dio, può sentirsi una persona perdonata, perché lo meriterebbe davvero, ha tutte le carte in regola per essere benedetto da Dio nella vita terrena e “anche dopo”.

Testo della predicazione: Marco 7,31-37

Gesù partì di nuovo dalla regione di Tiro e, passando per Sidone, tornò verso il mar di Galilea attraversando il territorio della Decapoli.
Condussero da lui un sordo che parlava a stento; e lo pregarono che gli imponesse le mani. Egli lo condusse fuori dalla folla, in disparte, gli mise le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: «Effatà!» che vuol dire: «Apriti!» E gli si aprirono gli orecchi; e subito gli si sciolse la lingua e parlava bene. Gesù ordinò loro di non parlarne a nessuno; ma più lo vietava loro e più lo divulgavano; ed erano pieni di stupore e dicevano: «Egli ha fatto ogni cosa bene; i sordi li fa udire, e i muti li fa parlare».

Sermone

All'inizio, la parola stentata: un uomo chiuso nel proprio handicap; di fatto, nel proprio isolamento: “Condussero da lui un sordo che parlava a stento”. Al centro una parola, una sola, di Gesù: «Effatà che vuol dire: «Apriti!». Alla fine, la parola si mette a circolare, si diffonde; commenta, interpreta e, così facendo – al pari del coro nelle antiche tragedie greche – ci dà una chiave di lettura: «Ha fatto bene ogni cosa».  Sembra una replica dell’esclamazione della sera del sesto giorno della creazione in Genesi 1 che valuta la creazione dell’essere umano (uomo e donna) come “molto buona” o “ben fatto!”. L'atto di Gesù, dunque, può essere letto come una nuova Genesi, come la ripresa nel bel mezzo della storia umana di quel poema della creazione. A questa eco di Genesi 1 («Ha fatto bene ogni cosa»), l’acclamazione della folla ne aggiunge un’altra: «I sordi li fa udire, e i muti li fa parlare». Qui si allude a una di quelle profezie di cui era piena la storia d’Israele: la speranza escatologica cantata da Isaia, al tempo della grande crisi dell’esilio, come la promessa di un nuovo Esodo, di una liberazione dell’intera vita. Il racconto intreccia quei due riferimenti al poema delle origini e alla speranza ultima, a Genesi 1 e a Isaia, come per darci un’unica chiave di lettura: Gesù è il principio e la fine, in lui tutto si ricrea, tutto si rinnova.

Testo della predicazione: Matteo 21,28-32

Un uomo aveva due figli. Si avvicinò al primo e gli disse: "Figliolo, va' a lavorare nella vigna oggi". Ed egli rispose: "Vado, signore"; ma non vi andò. Il padre si avvicinò al secondo e gli disse la stessa cosa. Egli rispose: "Non ne ho voglia"; ma poi, pentitosi, vi andò. Quale dei due fece la volontà del padre?» Essi gli dissero: «L'ultimo». E Gesù a loro: «Io vi dico in verità: i pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, questa parabola di Gesù fa ricordare tutti noi quando ricevevamo ordini dai nostri genitori, dagli insegnati, o comunque, dagli adulti. Non sempre avevamo voglia di dare seguito agli ordini ricevuti, soprattutto quando implicavano una certa fatica da parte nostra. Allora, talvolta, rispondevamo di sì, perché non potevamo farne a meno, talora di “no” in modo convinto. All’epoca di Gesù, l’ubbidienza e il rispetto al padre erano dovuti: il primo figlio dice al padre: “vado, signore”. Dire di “no” spudoratamente, era un grave affronto.

I figli della parabola sono molto diversi, uno risponde di sì alla richiesta del padre di andare a lavorare nella vigna di famiglia, ma poi non va; l’altro risponde di no, ma poi ci va.

Quale dei due figli è stato ubbidiente al padre? Chi ha detto “sì” o chi ha detto “no”? Risposta: chi ha detto “no”!

Gesù, nella sua parabola, non spiega il comportamento dei due figli e perché danno quelle risposte; a Gesù importa che noi che l’ascoltiamo, possiamo identificarci con l’uno o con l’altro figlio rispetto alla volontà di Dio.

Gesù ha davanti a sé dei leader religiosi che sono molto scettici nei suoi confronti, e cercano di scavare dentro il suo messaggio per capire cosa pensa veramente, e qual è lo scopo della sua predicazione.

Testo della predicazione: Matteo 7,24-27

Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia. E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa, ed essa è caduta e la sua rovina è stata grande.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, la casa sulla roccia è una parabola che l’evangelista Matteo a conclusione delle beatitudini e del discorso sul discepolato, cioè sul seguire Gesù. L’evangelista sottolinea che la predicazione di Gesù, il cosiddetto Sermone sul Monte, si attende da noi una risposta chiara, senza vie di mezzo: possiamo essere tra coloro che dopo aver ascoltato Gesù costruiscono la loro casa sulla roccia, l’avranno messa in pratica, oppure sulla sabbia, non avendo messo in pratica quanto ascoltato.

In effetti questa parabola si inserisce nella tradizione biblica in modo parallelo all’Alleanza dell’Antico Testamento, anche lì Dio promette benedizioni per coloro che osservano la legge di Dio e la mettono in pratica e minacce di maledizione per coloro che la trasgrediscono. In Deuteronomio leggiamo:

Ora, se tu ubbidisci diligentemente alla voce del Signore tuo Dio, avendo cura di mettere in pratica tutti i suoi comandamenti che oggi ti do, il Signore, il tuo Dio, ti metterà al di sopra di tutte le nazioni della terra; e tutte queste benedizioni verranno su di te e si compiranno per te, se darai ascolto alla voce del Signore tuo Dio.

Appare chiaramente la parola ascoltare (shema’) e la parola fare (asha’), perché l’ascolto della Parola di Dio produce sempre delle conseguenze pratiche.

Testo della predicazione: Luca 15,1-7

Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta". Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, Gesù si rivolge ai farisei e agli scribi, dottori delle Scritture, che ritenevano sconveniente il comportamento di Gesù il quale si presentava come un Rabbi, un maestro. Per questi teologi era necessaria una separazione netta tra buoni e cattivi, giusto e sbagliato, bianco e nero, per non perdere il senso della giustizia; quindi le due categorie opposte non vanno trattate allo stesso modo: i buoni vanno premiati, i cattivi puniti. Per i farisei era in gioco l’educazione dei giovani che non traevano un buon esempio da un maestro come Gesù che, invece, andava a mangiare a casa di malfattori, di prostitute, di peccatori come i pubblicani, cioè gli esattori delle tasse per conto dei Romani.

Agli occhi dei pii farisei, che avevano l’incarico di educare il popolo alla fede e a una corretta morale, Gesù doveva sembrare pericolosamente distruttivo, perché legittimava le persone moralmente dubbie, sedendosi a tavola con loro, condividendo, così, con loro non solo il cibo, ma anche la loro stessa vita, la loro storia, quindi i loro malaffari. In altre parole, era come diventare come loro.

Gesù risponde con tre parabole:

  • con quella della pecora smarrita e ritrovata (quella alla nostra attenzione),
  • con quella della moneta perduta e ritrovata
  • con quella del figlio perduto e ritrovato (il figliol prodigo).

Nella nostra parabola, Gesù dice: «Chi di voi non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché la ritrova?». Nessuno! La risposta è che nessuno lo farebbe, nel senso che si andrebbe alla ricerca della pecora perduta solo se le novantanove sono al sicuro, dentro un ovile, non certo nel deserto pieno di pericoli e di animali predatori!

Testo della predicazione: Giovanni 3,1-8

C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da Gesù, e gli disse: «Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi segni miracolosi che tu fai, se Dio non è con lui». Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, per tutti, il buio e la notte, sono sinonimi di paura, luoghi per non essere visti. Il buio interiore può rappresentare la condizione della nostra coscienza, o della nostra sofferenza, del nostro dolore.

Nel Vangelo di Giovanni, il buio e le tenebre hanno proprio il senso dello sgomento e dell’angoscia, tanto che quando Giuda lascia Gesù per consegnarlo ai suoi nemici «era notte». E sì, era davvero notte nell’animo di Giuda. Ma anche nell’animo di Pietro che rinnega, per tre volte, il suo maestro, di notte, prima che faccia giorno, prima che il gallo canti.

Un vecchio di nome Nicodemo incontra Gesù di notte. Era un capo dei Giudei, un dottore d’Israele, pare, simpatizzante di Gesù e del suo messaggio. Incontra Gesù di notte, col favore delle tenebre: certamente non voleva compromettere la sua reputazione dal momento che incontrava un maestro considerato sovversivo dai suoi amici. Gesù, infatti, interpretava la legge di Mosè, non l’applicava letteralmente, non in modo restrittivo, ma rispettoso della dignità e della libertà umana; diceva: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» e poi ancora: «Voi avete udito che fu detto dagli antichi… ma io vi dico». Gesù predicava un rapporto con Dio profondo, non superficiale, legato alla mera ubbidienza a una legge, benché promulgata da Mosè. Per Gesù non era sufficiente essere discendenti di Abramo per essere popolo di Dio, per Gesù era necessario il proprio rapporto, intimo e personale con Dio, condiviso con tutti: uomini, donne, bambini. 

Perché Nicodemo vuole incontrare Gesù?

Testo della predicazione: Giovanni 7,37-39

Nell'ultimo giorno della festa, il più solenne, Gesù si alzò ed esclamò a voce alta: «Se uno ha sete si avvicini a me, e chi ha fede in me beva! Come dice la Scrittura: da lui sgorgheranno fiumi d'acqua viva». Gesù diceva questo, pensando allo Spirito di Dio che i credenti avrebbero poi ricevuto. A quel tempo lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato innalzato alla gloria.

Sermone

Cari fratelli e sorelle, il breve discorso di Gesù relativo ai fiumi d'acqua viva si inquadra nell'ambito della Festa ebraica delle Capanne che ricordava al popolo d'Israele il periodo in cui aveva vagato a lungo nel deserto, prima di raggiungere la terra promessa, dopo che Dio li aveva fatti uscire dal paese della schiavitù: l'Egitto. Perciò, la gente costruiva delle capanne con canne e rami di alberi, e vi abitava per ricordare, con gratitudine, che il paese in cui abitavano era quello che Dio aveva donato loro dopo averlo promesso ad Abramo e prima ancora che fossero erranti nel deserto.

Non solo, ma la Festa delle capanne indicava anche il trionfo di Dio, per questo il profeta Zaccaria descrive il re Messia che giunge a Gerusalemme vittorioso (12,10) per la festa delle Capanne, in quel giorno il Signore farà zampillare una sorgente per purificare Gerusalemme (13,1), la Festa delle Capanne, quindi, portava anche il messaggio della venuta del Messia.

L'acqua era un simbolo importante della Festa delle Capanne: se durante la settimana della festa pioveva, questo significava “piogge abbondanti” per i campi e le messi. Ancora oggi gli arabi della Giordania, guardano se piove durante la celebrazione della Festa delle Capanne in Israele come segno del tempo che farà.

In ciascuna delle sette mattine della Festa, una processione scendeva alla fonte di Gihon sul fianco della collina del Tempio, qui un sacerdote riempiva d'acqua una brocca d'oro, mentre il popolo ripeteva in coro il versetto di Isaia (12,3) che dice: «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza»; poi la processione saliva al Tempio attraverso la porta dell'Acqua e le persone portavano in mano i simboli della festa: nella mano destra il lulab una fascio di ramoscelli di mirto e salice legati con una palma (i rami usati per costruire le capanne dentro cui abitavano gli israeliti durante i sette giorni della Festa) e nella mano sinistra l'ethrog, un limone, segno del raccolto. Anche qui, in questa fase della Festa si cantavano i Salmi da 113 a 118: «Quando Israele uscì dall'Egitto… i monti saltellarono come montoni e i colli come agnelli. Trema o terra alla presenza del Signore che mutò la roccia in lago, il macigno in una sorgente d'acqua (114). Celebrate il Signore perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno».