Culto domenicale:
ore 10,00 Tempio dei Bellonatti

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Bellonatti

Archivio dei sermoni domenicali

Testo della predicazione: Giovanni 12,44-50

Gesù esclamò ad alta voce: «Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato; e chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se uno ode le mie parole e non le osserva, io non lo giudico; perché io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo. Chi mi respinge e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annunciata è quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare; e so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre me le ha dette».

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, l’evangelista Giovanni cerca di rispondere alla domanda: «Chi è Gesù?» e fa in modo che una risposta sorga dentro ciascuno di noi. Gesù stesso ha domandato ai suoi discepoli: «Chi dite voi che io sia?» (Matt. 16,15).

A Natale abbiamo tutti riflettuto sull’evento storico del Messia Gesù che nasce, che viene nel mondo e partecipa alla nostra umanità, ma oggi ci viene posta una domanda: Chi è questo Gesù che viene nel mondo? Che partecipa alla nostra fragilità, alla nostra provvisorietà, alla nostra debolezza umana?

Sono sicuro che ognuno di voi, a partire da quello che ha imparato a catechismo, risponderà che Gesù è il “Figlio di Dio”. Giusto, questa è una risposta teologica. Ma si possono dare diverse risposte: di tipo filosofiche, o teologiche, appunto, o spirituali, o dettate dall’anima o dalla passione della fede, quindi calate nella nostra esperienza di credenti. Qualcuno potrebbe rispondere: «per me Gesù è tutto»; un’altra persona: «un amico», oppure «una guida»un «sostegno», «il Salvatore», «il Redentore», «il Messia», ecc… Un catecumeno, una volta, mia ha risposto: «Un compagno di viaggio».

E per voi? Proviamo a riflettere un po’. Insieme.

Testo della predicazione: Michea 5,1-4

Da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni. Perciò egli li darà in mano ai loro nemici, fino al tempo in cui colei che deve partorire partorirà; e il resto dei suoi fratelli tornerà a raggiungere i figli d’Israele». Egli starà là e pascolerà il suo gregge con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. E quelli abiteranno in pace, perché allora egli sarà grande fino all’estremità della terra. Sarà lui che porterà la pace.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, un proverbio ebraico dice così: «Non sprezzare alcun uomo e non svilire alcun oggetto, poiché non vi è uomo che non abbia la sua ora e non vi è cosa che non trovi il suo posto» (Trattato dei princìpi). Betlemme era un villaggio tanto insignificante e così privo di importanza che quando i profeti dell'Antico Testamento lo nominavano, la gente si domandava: «Ma cosa può venire di buono da Betlemme? Cosa c'è di tanto significativo a Betlemme?». Perché il profeta pone l'accento sull’insignificanza del luogo da cui sarebbe venuto un re tanto importante che avrebbe cambiato le sorti del mondo?

     Facciamo un piccolo passo indietro di 2700 anni, e andiamo al 720 a.C. Israele vive sotto l'incubo dell'invasione degli Assiri, il Regno del Nord, Israele appunto, è già caduto nel 722 sotto i pesanti colpi inferti dall'Assiria; «A chi toccherà adesso?», si domandava con inquietudine il popolo.

«Toccherà a noi del regno di Giuda», risponde il profeta Michea, proclamando il giudizio di Dio e il suo duro castigo. Toccherà ad Israele che non pratica più il diritto e la giustizia! «I suoi Capi giudicano per ottenere regalie (3,11); opprimono le famiglie…» (2,1); E altrove: «Voi capi e magistrati del popolo: non dovreste occuparvi della giustizia? Ma voi odiate quel che è bene e amate quel che è male, spellate la gente, anzi le strappate la carne dalle ossa. Voi divorate il mio popolo… lo fate a pezzi… come se fosse carne da buttare nella pentola» (2,8-9; 3,1-3).

Testo della predicazione: Galati 5,1-6:

Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù. Ecco, io, Paolo, vi dichiaro che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. Dichiaro di nuovo: ogni uomo che si fa circoncidere, è obbligato a osservare tutta la legge. Voi che volete essere giustificati dalla legge, siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia. Poiché quanto a noi, è in spirito, per fede, che aspettiamo la speranza della giustizia. Infatti, in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione; quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, oggi è la Domenica della Riforma nella quale ricordiamo l’importanza che la Parola di Dio ha per la vita della chiesa e dei singoli credenti. Una Parola dalla quale la chiesa si era allontanata perseguendo propositi umani di potere e ricchezza. Quella del 31 ottobre del 1517 fu una scintilla che innescò dappertutto consensi perché la necessità di ritornare all’essenza della Parola di Dio era sentita dai più. Certo ci furono anche dissensi e opposizioni forti e la ricomposizione della chiesa “una” non fu più possibile fino ad oggi.

I movimenti di Riforma della chiesa erano nati secoli prima del gesto di Martin Lutero nel ‘500, e i valdesi del 1174 si inseriscono all’interno di uno di questi grandi movimenti, tutti soffocati sul nascere. Quello dei poveri di Lione (valdesi), fu l’unico a sopravvivere alle tempeste della repressione e alla Santa Inquisizione.

La stampa, che nel frattempo era stata inventata, aprì una nuova epoca dello sviluppo della comunicazione umana, fu una vera e propria rivoluzione che diede le ali al pensiero di Martin Lutero e di tutti riformatori. Non a caso il primo libro ad essere stampato fu la Bibbia.

Testo della predicazione: I Corinzi 13,1-8. 13

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente. L’amore è paziente, è gentile; l’amore non invidia, non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non tiene conto del male, non gioisce per l’ingiustizia, ma si rallegra per la verità; sopporta ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, è paziente in ogni cosa. L’amore non viene mai meno. Ora dunque queste tre realtà rimangono: fede, speranza, amore. La più grande di esse, però, è l’amore.

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, l’apostolo Paolo ci parla dell’amore, ma non fa un discorso filosofico, non dice quello che l’amore è con una serie di aggettivi, ma parte dalla concretezza della vita di tutti, dai nostri gesti di solidarietà, di affetto, fraternità, spiegando che tutto quello che facciamo non avrebbe senso se fatto senza amore, se non fosse ispirato dall'amore.

Neppure l’essere saggi, o preparati teologicamente ad affrontare la vita o a compiere gesti che sanno di miracoloso, hanno un valore in sé che possa dare un senso all’esistenza se non sono ispirati dall’amore di Dio.

Neppure l’essere martiri o benefattori generosi, in sé possiede un valore che dia un senso profondo alla nostra vita. L’apostolo sostiene, invece, che il credente fonda il suo essere sull’amore e che solo l’amore, che porta con sé qualcosa di divino, può davvero permetterci di uscire fuori dalla routine e dal non senso che spesso si presentano nelle nostre giornate.

L’apostolo Paolo parla dell’amore come di qualcosa che è sempre in azione, una forza che mette in moto le persone, le une verso le altre; l’amore permette l’incontro sereno, il confronto pacato, il dialogo costruttivo.

Testo della predicazione: Luca 12,15-21

Gesù disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni forma di avarizia; perché per chi è nell’abbondanza la sua vita consiste nei suoi beni». Raccontò loro una parabola con queste parole: «La terra di un uomo ricco diede un buon raccolto; egli ragionava tra sé e sé dicendo: “Che farò? Perché non ho un posto dove immagazzinare il mio raccolto”. E disse: “Farò così: demolirò i miei granai e ne costruirò di più grandi, e immagazzinerò lì tutto il mio grano e tutti i miei beni, e dirò alla mia anima: ‘Anima, hai molti beni da parte per molti anni. Riposati, mangia, bevi, goditela”. Ma Dio gli disse: “Sciocco, proprio stanotte la tua anima ti sarà chiesta indietro. A chi andranno le cose che hai preparato?” Così va per chi accumula per sé e non è ricco in Dio».

Sermone

Care sorelle, cari fratelli, la parabola dell’uomo ricco trae spunto da una domanda che un tale rivolge a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello di dividere con me l’eredità». Evidentemente, il fratello di quel tale voleva tenere tutto per sé; chissà, forse per volontà del padre, o forse perché era il primogenito cui spettava tutto, o forse per avarizia. Oggi, qualunque pastore che fa cura d’anime avrebbe cercato di aiutare l’uomo rimasto escluso dall’eredità, magari parlando al fratello, spiegandogli quanto sia importante dividere equamente l’eredità.

Gesù, invece, è molto duro nei confronti dell’uomo escluso dall’eredità, e lo mette in guardia dall’avarizia. Certo, è un argomento spinoso quello del possedere e Gesù ne parla davanti alla folla raccontando una parabola: «La terra di un uomo ricco diede un buon raccolto…».

Gesù vuole spiegare che quello del possedere può diventare un vero problema se gestito con avidità e avarizia. Esso si insinua in modo subdolo, nascosto, senza consapevolezza, sotto le mentite spoglie di un problema di equità, di giustizia, di correttezza. In realtà, però, il possedere può far perdere il senso di orientamento della nostra esistenza, e perfino il senso vero della vita.

Gesù parla, dunque, di avidità e di ricchezze, di possesso e di denaro, ma anche di potere che si acquisisce con la ricchezza. È vero, infatti, il detto: «Chi paga, comanda».

Bisogna, tuttavia, notare che Gesù non dà nessun giudizio negativo al fatto che questo agricoltore sia ricco o che i suoi campi abbiamo dato un raccolto abbondante. Gesù pone l’accento sull’autoreferenzialità dell’uomo.

Testo della predicazione: Isaia 49,1-6

Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! Il Signore mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre. Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra, e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa è presso il mio Dio». Ora parla il Signore che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del Signore, il mio Dio è la mia forza. Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».

Sermone

Care sorelle e fratelli, in questo “Canto del servo” del profeta Isaia, il Signore dichiara di aver scelto un suo servo per affidargli una missione da compiere.

Israele è ancora in esilio forzato in Babilonia (l’attuale Iraq), e il profeta, agli albori della sua predicazione, proclama che il tempo della schiavitù è compiuto, che la gloria del Signore si rivelerà proprio nella liberazione di Israele, come fu un tempo liberato dalla schiavitù d’Egitto. Per questo prorompe in un canto che dice: «Consolate, consolate il mio popolo…»; Dio invia, quindi, un araldo per annunziare a Israele “la buona notizia” che il Signore viene, ancora una volta, per liberare.

L’intento del profeta è quello di ridestare negli esiliati la speranza di tornare a casa, nella terra promessa. Una speranza che gli ebrei non avevano più, anzi dicevano: «la nostra speranza è tramontata, siamo perduti per sempre» (Ezechiele 37).

Ma qui, il profeta Isaia prorompe in un canto di gioia tanto grande da permettergli di rivolgerlo perfino alle Isole lontane e ai popoli che vivono ai confini della terra a cui, magari, non importava nulla, ma il senso è che i gesti di liberazione vanno condivisi, raccontati, annunziati.

Così succede quando ci si sposa o quando ci nasce un figlio o quando ci accade qualcosa di molto importante: lo raccontiamo a tutti, anche a quelli che non hanno alcun interesse. In noi nasce la certezza che ciò che è successo in piccolo nella nostra storia, nella nostra vita, coinvolga tutti gli altri, il mondo intero, tutta la storia attorno a noi.

Testo della predicazione: Galati 5,22. 23. 25; 6,1-2. 7-10 – 22

Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, generosità, fiducia. 23 Contro queste cose non c’è legge. 25 Se viviamo nello Spirito, con lo Spirito siamo concordi. 6,1 Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche trasgressione, voi rialzatelo con spirito di mansuetudine. Vigila su te stesso, perché anche tu non sia messo alla prova. 2 Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo. 7 Non vi ingannate! Dio non si fa prendere in giro. Ciò che uno semina, anche raccoglierà, perché chi semina per la propria carne, raccoglierà rovina; chi semina per lo Spirito, dallo Spirito mieterà vita eterna. Non stanchiamoci di fare il bene. L momento opportuno, infatti, se non ci saremo stancati, mieteremo. Ora, dunque, dato che ne abbiamo l’occasione, facciamo del bene a tutti.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, di questo brano mi ha molto colpito la frase: «Portate i pesi gli uni degli altri». Com’è possibile portarli? Se penso a chi nel mondo ha fame o sete, o è perseguitato a motivo delle sue convinzioni religiose o politiche o perché è omosessuale o disabile; mi sono apparse le immagini di chi attraversa i mari, che diventano spesso la loro tomba, per cercare una vita dignitosa, lontano da guerre, conflitti, ingiustizie, precarietà, vessazioni. Ma senza andare così lontano mi sono apparse le immagini delle tante persone, vicine a noi, senza un lavoro, o dei poveri che bussano alla porta della chiesa per chiedere una borsa della spesa. Ho visto le tante persone accanto a me che percorrono una strada di dolore, di sofferenza, di disperazione, di inquietudine.

Ho pensato che è davvero difficile portare questi pesi, i pesi dei tanti fratelli e delle tante sorelle della comunità umana.

Eppure, per l’apostolo Paolo questa è una condizione per essere credenti autentici. Senza paura e senza reticenze afferma: «Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo».

Non si tratta di un suo consiglio, ma del modo di mettere in pratica la legge di Cristo.

Ma qual è la legge di Cristo? Per Paolo è la legge dell'amore.

Testo della predicazione: I Tessalonicesi 1,2-10

Noi ringraziamo sempre Dio per voi tutti, ricordandovi nelle nostre preghiere, rammentando l'opera della vostra fede, la fatica dell'amore e la costanza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo davanti a Dio, nostro Padre. Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti, il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena certezza. Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore, avendo accettato la Parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia dello Spirito Santo, al punto da diventare un esempio per tutti i credenti (…).

Infatti, da voi la Parola del Signore si è sparsa, non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la fama della fede che avete in Dio è giunta in ogni luogo (…). Tutti raccontano (…) del vostro servizio al Dio vivente, nell'attesa del Figlio suo dai cieli e che Egli ha risuscitato dai morti.

Sermone

Cari fratelli e care sorelle, l’apostolo Paolo ringrazia Dio perché i credenti della chiesa di Tessalonica sono fermi nella fede in Cristo. È stato l’apostolo stesso a fondare quella chiesa con la predicazione del Vangelo, un vangelo annunciato con passione e con piena certezza, come dirà egli stesso. Ora, però, l’apostolo è altrove, e non ha modo di visitare i credenti tessalonicesi per consolidarli ulteriormente nella fede, però, avendo inviato Timoteo, un suo compagno nella predicazione, ha ricevuto buone notizie, senz’altro inattese, che lo riempiono di gioia. Così scrive, con grande riconoscenza, una lettera, quella di cui abbiamo ascoltato la parte iniziale.

L’apostolo afferma di pregare, prega per i credenti che sono vittime di persecuzioni, sofferenze e difficoltà di vario genere, prega perché la fede di questi credenti non vacilli a causa delle prove.

A un certo punto, la preghiera dell’apostolo si trasforma: da preghiera di richiesta diventa una preghiera di ringraziamento. Non ringrazia i credenti per essere fedeli, ma ringrazia Dio che li sostiene e li rende forti nelle prove e nelle difficoltà della vita.

Perciò, i credenti di Tessalonica sono ricordati dall’apostolo Paolo, nelle sue preghiere, per:

  • l’opera della loro fede;
  • la fatica del loro amore;
  • la costanza della loro speranza.

Testo della predicazione: Atti 3,1-10

Mentre Pietro e Giovanni salivano al tempio in occasione della preghiera dell'ora nona, un tale, zoppo dalla nascita, veniva portato lì. Ogni giorno lo ponevano vicino alla porta del tempio detta “Bella”, per chiedere l'elemosina a quelli che entravano nel santuario. Questi, vedendo Pietro e Giovanni sul punto di entrare nel santuario, chiese loro l'elemosina. Allora Pietro, insieme a Giovanni, fissato lo sguardo su di lui, disse: «Guardaci!» Ed egli aspettandosi di ricevere qualcosa da loro, li osservava. Pietro disse: «Non possiedo argento e oro, ma quel che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» Lo prese allora per la mano destra e lo fece alzare. Immediatamente, i suoi piedi e le sue caviglie acquistarono vigore. Con un balzo si mise in piedi e cominciò a camminare. Poi, entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. E tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio. Lo riconoscevano, infatti, come colui che stava seduto a chiedere l'elemosina accanto alla porta "Bella" del tempio, e furono colmi di stupore e di smarrimento per quanto gli era successo.

Sermone

Care sorelle e cari fratelli, il centro del racconto che abbiano ascoltato è la parola che Pietro rivolge allo zoppo: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati cammina».

Pietro e Giovanni si recano nel tempio per pregare e, attraversando una delle porte del tempio, incontrano un paralitico, così fin dalla nascita, che chiede l’elemosina. Ma i due apostoli non hanno soldi, non hanno delle monete d’argento o d’oro da dare all’uomo che ha pur bisogno di sopravvivere non potendo lavorare. Non riceve la pensione d’invalidità civile!!!

I due possono passare oltre, far finta di niente, cambiare strada, evitare l’uomo. Non poter aiutare spesso ci fa sentire mancanti. Ma se i due apostoli avessero avuto dei soldi con sé avrebbero potuto assolvere a un loro dovere, come tutti gli altri, e sentirsi sufficientemente buoni e altruisti.

Eppure, tante volte non ci rendiamo conto di quanto smorziamo l’amore, la compassione e la tenerezza quando deleghiamo al denaro, alla nostra offerta o a un regalo anche prezioso, il nostro amore, le nostre attenzioni, i nostri affetti, le nostre cure. In fondo l’elemosina non ci impegna a farci carico dell’altra persona, non ci impegna come persone, come credenti, ma mantiene quella certa distanza per non essere troppo coinvolti in un rapporto, in una relazione che potrebbe sfociare in qualche legame forte.

Pietro e Giovanni si sentono chiamati invece a instaurare un rapporto umano e un vincolo forte di solidarietà.